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Francesca Romana Morelli
Leggi i suoi articoliIn Europa si scoprì la ricetta per ottenere l’impasto della porcellana nel Settecento, nonostante ciò i manufatti creati in Cina e in Giappone per l’Occidente e commerciati dalle Compagnie delle Indie risultavano comunque più lucenti e duri, più gradevoli al tatto e alla vista per una certa imperfezione e una sensibilità nel disegno.
Ne è una prova quanto scrisse l’imperatore cinese Qianlong (1711-99) a Giorgio III d’Inghilterra: «(…) Non sussiste alcuna necessità di introdurre merci barbare come contraccambio dei nostri prodotti. Dal momento però che tè, sete e porcellane prodotti dal Celeste Impero sono una necessità irrinunciabile dei popoli europei e di Voi stesso, il commercio (…) sarà concesso anche in futuro».
Fino al 31 gennaio la galleria Goffi Carboni presenta una scelta di piatti in porcellana, eseguiti soprattutto nel Settecento in Cina e in Giappone e un raro insieme di cinque pezzi in maiolica italiana con stemmi araldici, databili allo stesso periodo.
«Si va da quelli a decoro occidentale, come il piatto lobato, a una coppia di porcellane cinesi destinata al mercato giapponese o i due piatti giapponesi che prendono come modello i cinesi di un secolo prima, spiega Giovanni Carboni.
La storia della porcellana è anche la storia di un continuo rimando ad altre culture, che si fondono spesso insieme. Inoltre l’apparente semplicità della decorazione di alcuni piatti nasconde talvolta un significato simbolico estraneo alla cultura occidentale, come i pipistrelli stilizzati presenti su un ovale in porcellana cinese della fine dell’Ottocento, che sono segni di felicità e longevità, ricorrenti nei racconti leggendari della loro cultura tradizionale».

Uno dei piatti in porcellana orientale esposto da Goffi Carboni
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