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Micaela Zucconi
Leggi i suoi articoli«Le rive e i moli hanno sempre significato per me i tratti più sensibili della fisionomia della mia città», scrive Giani Stuparich (1891-1961) in Trieste nei miei ricordi (Garzanti, 1948). La teoria di palazzi, la piazza Unità d’Italia (la più grande d’Europa affacciata sul mare), il Molo Audace è un’introduzione luminosa a strade, vicoli, piazzette dietro la sua facciata: monumenti, teatri e caffè, avamposti di inquietudini culturali, fermenti artistici e politici. La esploriamo attraverso la visione di alcuni scrittori, poeti e artisti.
Museo di letterati
Il Lets, il Museo della Letteratura, è stato inaugurato nel 2024 in piazza Attilio Hortis al pianterreno di Palazzo Biserini, già sede della storica Biblioteca Civica: spazi sin dall’800 frequentati da assidui intellettuali, che ritroviamo nel museo in un excursus dalla fine del XIX secolo ai nostri giorni. Da James Joyce (1882-1941), Umberto Saba (1883-1957), Ettore Schmitz alias Italo Svevo (1861-1928), Scipio Slataper (1888-1915) sino alle generazioni postbelliche della Prima e Seconda guerra mondiale: Giani Stuparich, Fulvio Tomizza, Boris Pahor fino a Bobi Bazlen, fondatore di Adelphi con Luciano Foà e Alberto Zevi, e Claudio Magris.
«Trieste gode di una condizione eccezionale per una città di piccole dimensioni. Sarà l’aria, la bora, il porto, le lingue, ma per oltre un secolo ogni decade ha sfornato autori divenuti noti a livello nazionale e internazionale», spiega Riccardo Cepach, responsabile del museo. Una calamita che attira anche autori contemporanei come il tedesco Veit Heinichen, Laila Wadia, indiana di origine, o Gabriella Musetti (suo un saggio sulle scrittrici triestine del primo Novecento), a far compagnia agli «indigeni» come Pietro Spirito, Paolo Rumiz, Luigi Nacci e Mauro Covacich, per citarne alcuni. Lets illustra magistralmente le dinamiche degli ambienti letterari e artistici triestini. Poche le presenze femminili, che a Trieste erano tante, attive e riconosciute (come racconta il volume Bianco, rosa e verde. Scrittrici a Trieste fra ’800 e ’900, di Roberto Curci e Gabriella Ziani, Lint Editoriale, 2008). Tra queste Anita Pittoni (1901-82) a lungo dimenticata, innovativa artigiana tessile, stilista e poetessa, anima della casa editrice Lo Zibaldone e figura di primo piano della cultura cittadina. Il poeta, scrittore, saggista e sceneggiatore Claudio Grisancich (1939) ricorda la casa atelier della centrale via Cassa di Risparmio 1 (una targa segnala il sito), che frequentava da giovanissimo agli incontri del martedì. Protagonisti di questo cenacolo (mai salotto!): Giani Stuparich («Compagno di Anita, una relazione che la pur laica Trieste non perdonava, essendo lui sposato»), il poeta dialettale Virgilio Giotti («Parlava solo un italiano purissimo appreso a Firenze»), Giorgio e Guido Voghera, artisti come Ruggero Rovan («Il Rodin triestino»), la pittrice Maria Lupieri e lo scultore Marcello Mascherini (il Museo Revoltella conserva diverse delle loro opere), l’artista e poeta Ugo Pierri (1937) e più avanti Pier Antonio Quarantotti Gambini.
Caffè, bar e osterie
Erano i luoghi di ritrovo prediletti per tutte queste generazioni di intellettuali: caffè, bar e osterie, come quelle di piazza Barbacan, intorno al cosiddetto Arco di Riccardo (di epoca romana), oggi affollata di locali molto frequentati, amati da Joyce nei suoi itinerari etilici. Scomparsi i Caffè Garibaldi e il Bar Nazionale, ricordati da Stuparich, resistono il Caffè Tommaseo sulle Rive, aperto dal 1830, già centro del movimento irredentista triestino, e l’Antico Caffè San Marco (con decorazioni in stile Secessione viennese e dipinti di affermati pittori triestini), punto di riferimento dal 1914, oggi arricchito da un’interessante libreria. Per anni Claudio Magris ha amato scrivere qui, sempre allo stesso tavolo. Il Bar Libreria Knulp in via Madonna del Mare, da oltre vent’anni reinterpreta invece in modo attuale lo spirito dei caffè letterari. Vi passano spesso Cepach, Pieri e Nacci (mentre Heinichen preferisce il Bar Gran Malabar, in piazza San Giovanni).
Memorie sveviane al Giardino Pubblico Muzio de Tommasini, in via Giulia, tanto presente nelle opere dello scrittore, con 31 busti di glorie cittadine (ne parla Claudio Magris nel suo Microcosmi, Garzanti, 1997). Altri ambiti diventano squisitamente poetici e intimi nelle liriche di Claudio Grisancich («Ho tutta Trieste dentro di me»). Il Teatro lirico Giuseppe Verdi, il famoso tram che porta a Opicina e si ferma all’Obelisco, da dove partire per cercare i profumati ciclamini del Carso. La natia via San Michele, da percorrere per scoprire la città vecchia, via Diaz e la pasticceria Penso (purtroppo chiusa), e il quartiere Barcola per un bagno in mare, un classico triestino (testi nella raccolta Gente Mia, Hammerle Editori in Trieste, 2019).
Marion Wulz, «Corso Cavour all’altezza della Chiesa Greco Ortodossa a Trieste», 1950. Per gentile concessione di Fondazione Alinari per la Fotografia
Donne in primo piano
Negli anni Venti del ’900 muoveva i primi passi da artista Leonor Fini (1907-96), amica del pittore Arturo Nathan e della sorella Daisy. Arrivata bambina da Buenos Aires e cresciuta nella città giuliana, prima di lasciarla per Milano e poi Parigi, aveva abitato, tra i vari indirizzi, in viale XX Settembre (tipica passeggiata cittadina) dopo il Politeama Rossetti, altro comune luogo di incontro. Fini era stata allieva del pittore Edmondo Passauro che nel 1926 aveva ritratto una signorina Wulz. Forse Marion (1905-93), se si confrontano ritratti fotografici e dipinto, che con la sorella Wanda (1903-84) proseguiva l’attività dello studio fotografico del padre Carlo (e, prima, del nonno Giuseppe). Belle e indipendenti, professionalmente affermate, le Wulz erano molto amiche di Anita Pittoni (1901-82) che aveva abitato con loro nella casa atelier di Palazzo Hierschel, in corso Italia, dal 1928 fino circa al 1932, in un proficuo sodalizio d’arte. «Un esempio di emancipazione femminile e un eccezionale livello artistico, in un contesto culturale intessuto di contaminazioni letterarie e artistiche», sottolinea la professoressa Federica Muzzarelli, curatrice con Antonio Giusa della recente mostra «Fotografia Wulz. Trieste, la famiglia, l’atelier». Il Comune di Trieste ha dedicato a Wanda e Marion il giardino pubblico di via Catullo. Da visitare l’abitazione e studio della pittrice Alice Psacaropulo (1921-2018), allieva di Felice Casorati, all’ultimo piano della villa di famiglia in via Commerciale, disegnata dall’architetto Giovanni Berlam. Vi si conservano anche opere di Casorati, Scomparini, de Pisis e Fini. Nel clima artistico cittadino spicca poi Miela Reina (1935-72), eclettica artista e sceneggiatrice, molto stimata da Gillo Dorfles. Con la sua Galleria La Cavana, aperta con il pittore Enzo Cogno negli anni Sessanta nella zona omonima della città allora quasi malfamata, rompe gli schemi dell’arte triestini e si afferma con importanti collaborazioni come quella con Emilio Isgrò. Il suo archivio, in viale Miramare 37, ricco di oggetti, dipinti, grafiche, disegni, fotografie e scenografie, video e musica è finalmente aperto al pubblico (la prima domenica del mese o su prenotazione), curato dalla nipote Lucia Budini.
Libri e itinerari
Riaperta a gennaio 2025, dopo un restauro filologico, la Libreria antiquaria Umberto Saba, in via San Nicolò, gestita ora da Massimo Battista (che segue pure la Zeno Bandini di via Lazzaretto Vecchio, dedicata a libri rari antichi e moderni). Lo aiuta la giovane Flavia, nipote del precedente titolare Mario Cerne, figlio del famoso Carletto, commesso e poi socio dello stesso Saba. Drogheria 28, di Simone Volpato, in via Ciamician, è invece specializzata nella scoperta e studio di biblioteche private e di prime edizioni. Infine, la vicina Muggia riserva, in via Roma, la sorpresa del Museo di Arte Moderna Ugo Carà (1908-2004), con oltre 100 lavori del maestro. Itinerari dedicati a singoli personaggi del pantheon letterario triestino sono stati approntati dalla Regione Friuli Venezia Giulia. Il più recente parte dalla casa di Anita Pittoni, alla quale il museo di arte nella moda Its Arcademy, nella stessa via, ha dedicato una sala con il progetto di celebrarla ogni anno nel giorno del suo genetliaco (il 6 maggio, Ndr).
Marion Wulz, «Ritratto di Wanda [Wulz] con abito di Anita Pittoni», 1930. Per gentile concessione di Fondazione Alinari per la Fotografia
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