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Magazzino del Sale trasformato in spazio espositivo da Renzo Piano nel 2008

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Magazzino del Sale trasformato in spazio espositivo da Renzo Piano nel 2008

Vedova non solo Fondazione ma finalmente Museo

«Esporremo le opere in maniera continuativa, a confronto con i grandi artisti del nostro tempo, e acquisiremo un terzo spazio», anticipa Alfredo Bianchini, presidente dell’istituzione

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Lo studio in quello che era un antico squero; la casa affacciata sul Canale della Giudecca; la sede della Fondazione da lui istituita nel 1998; il Magazzino del Sale (uno dei nove costruiti nel XV secolo dalla Repubblica di Venezia per conservare quella merce allora così preziosa) da lui salvato quando stava per essere sventrato, e affidato nel 2008 a Renzo Piano che ne ha tratto un perfetto luogo espositivo: in poche centinaia di metri, alle Zattere, si addensano i luoghi identitari di un artista (ma anche partigiano, polemista e militante dall’inesauribile passione civile) come Emilio Vedova (Venezia, 1919-2006), che ha molto viaggiato nel mondo ma che da Venezia non si è mai staccato. Scomparso lui (a un mese dalla morte della moglie, inseparabile), è la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, presieduta dall’avvocato veneziano Alfredo Bianchini, già deputato al Parlamento, a curarne l’eredità artistica e culturale, seguendo la linea tracciata da Germano Celant, che fino alla scomparsa nel 2020 ne è stato il curatore, guardando al futuro. 

Avvocato Bianchini, una curiosità: quando ha conosciuto Emilio e Annabianca Vedova?  
Era il 1966 e facevo i primi passi di avvocato in un importante studio veneziano. Si presentarono chiedendo l’assistenza del «grande capo» che, molto impegnato e in partenza da Venezia, non poté occuparsi del loro problema. Li ascoltai io: la Rai sperimentava allora dei documentari a colori e aveva realizzato «Un’ora con Emilio Vedova». Il risultato non piacque a Emilio e Annabianca, che volevano bloccarne la messa in onda, prevista di lì a poco. Poiché, come mi dissero, «avevo fatto loro una buona impressione» mi affidarono l’incarico. Opporsi alla Rai del tempo sembrava un’impresa impossibile, ma riuscii a bloccarlo e ad aprire una trattativa che portò a una revisione del filmato. Da allora Vedova e la moglie (una donna colta a cui lui, che si era dovuto fermare alla terza elementare, doveva la sua formazione culturale) mi «adottarono», come legale e come amico. E, dopo una vita d’amicizia, mi nominarono presidente della Fondazione, che divenne operativa nell’autunno del 2006, dopo la loro scomparsa.  

La mostra inaugurale «Emilio Vedova/Renzo Piano», curata da Celant, è però del 2009.
Sì, quando il Magazzino del Sale ci fu assegnato, occorreva restaurarlo e dotarlo di tutte le tecnologie necessarie per ospitare al massimo livello le opere dei massimi artisti. Vedova ne aveva lungamente discusso con l’architetto Renzo Piano, che ideò una struttura lignea interna (sotto alla pedana corrono tutti gli impianti) appoggiata e non ancorata ai muri o al suolo, smontabile in 24 ore. E ideò la «machina robotica» che estrae le opere dal deposito con bracci meccanici, facendo di questo spazio un «evento dinamico», proprio come Vedova voleva. 

Alfredo Bianchini

Quanto ha contato, per la Fondazione, la presenza di Germano Celant, che avevate messo da subito al vostro fianco?
Il ruolo di Celant è stato fondamentale: lui aveva curato la grande antologica del 1984 al Museo Correr, e benché Vedova allora fosse già ben noto negli Stati Uniti, in Canada, grazie all’Expo del 1967, e in Germania dove aveva vissuto negli anni ’60, a Londra, per esempio, era poco noto. Quella mostra lo consacrò. Tuttavia dopo la sua morte si trattava di farlo conoscere al meglio nel mondo intero, perché in vita Vedova non si era curato dei rapporti con le gallerie internazionali, quindi nel 2006 nominai Celant curatore artistico e scientifico. Ma si trattava anche (e a questo tengo moltissimo) di metterne in luce l’attualità: Vedova è stato sì un artista del XX secolo ma era proiettato nel XXI. La sua contemporaneità sta nel suo pensiero e nel suo linguaggio: un segno che esprimeva spazio, tempo, lo scontro delle situazioni, il bene e il male, un segno perenne, fuori del tempo eppure fortemente presente e reale. Celant lo capì e realizzò mostre che mettessero in luce i suoi rapporti con artisti come Georg Baselitz, Louise Bourgeois, Anselm Kiefer, Roy Lichtenstein e Alexander Calder. Oltre a eventi con musicisti come Stefano Bollani e Chick Corea. Provammo così che Vedova era in grado di dialogare alla pari con i più grandi artisti mondiali. Scomparso Celant, ho chiesto a Philip Rylands di entrare nel Consiglio d’amministrazione e nel Comitato scientifico, qui con Gabriella Belli e Luca Massimo Barbero. Belli ha curato la straordinaria mostra su Vedova del 2023-24 nel museo M9 di Mestre e sta preparando quella che si terrà dal prossimo novembre al Forte di Bard in Valle d’Aosta e la successiva, dell’autunno 2025, a Palazzo Madama a Torino. E Rylands ha curato la (bellissima, Ndr) mostra di Eduard Angeli visibile nel Magazzino del Sale fino al 24 novembre. 

Quali sono i progetti futuri? 
Continuare a investire nei rapporti internazionali con mostre  nel mondo (solo nel 2023 il museo di Guangzhou, in Cina, ci ha chiesto due opere per l’inaugurazione della nuova ala e si sono tenute una personale a Seul e mostre a Salisburgo e Londra). E consolidare la collaborazione con altri importanti enti come la Fondazione Burri, da cui è nata la mostra di ritratti di Aurelio Amendola a Burri, Vedova e Nitsch, a cura di Bruno Corà, in corso nello Spazio Vedova, il suo ex studio. Ma c’è un progetto, audace, cui tengo particolarmente.  

Quale?
Desidero creare un Museo Vedova. Credo che sia sbagliato gestire la collezione di una fondazione come se fosse il «tesoro» delle grandi famiglie del passato. Le fondazioni devono condividere il proprio patrimonio, mostrandolo continuamente, seppure a rotazione. Intendiamo quindi aprire costantemente al pubblico, e non solo in occasione delle mostre. Sarà un investimento importante ma potremo mostrare continuativamente l’opera di Vedova, a confronto con i grandi artisti del nostro tempo. A decidere quali opere esporre di volta in volta nel museo (che sarà una gemmazione della Fondazione) sarà il Comitato scientifico, cui si aggiungerà un direttore, da nominare. 

Per il museo rimarranno le due sedi attuali, del Magazzino del Sale e dello Spazio Vedova?
No, saranno di più: non posso dire nulla di più ma stiamo acquisendo un altro importante spazio in zona. Questa è un’anticipazione esclusiva per «Il Giornale dell’Arte».  

E l’Archivio?
Dell’archivio dei dipinti è quasi terminata la digitalizzazione, mentre continua quella dei documenti, grazie alla competenza del gruppo di lavoro della Fondazione. 

Ada Masoero, 18 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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