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Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliChi era Vasco dei Vasari? Lo pseudonimo con cui per un tempo si firma Vinicio Paladini (1902-71), un autore la cui vicenda sta all’esatto opposto di ciò che l’odierna mostra futurista di Roma, appiattita su preoccupazioni squisitamente politiche, vorrebbe fra troppi omissis raccontare univocamente. Ebbene, Vinicio Paladini, dioscuro di un altro grande dell’epoca, Ivo Pannaggi, nel 1922 mette in scena alla Casa d’Arte Bragaglia un pionieristico «Ballo meccanico futurista» (e l’anno è lo stesso del «Triadisches Ballett» di Oskar Schlemmer...) pubblicandone sulla rivista «La nuova Lacerba» il Manifesto dell’arte meccanica futurista: Paladini illustra il testo con il personaggio centrale del «Proletario». D’altronde è affascinato dall’impeto delle avanguardie sovietiche, che molto devono al Futurismo e lo dichiarano: nel 1925 pubblica anche il saggio Arte nella Russia dei Soviets.
Poi, nel 1926, ecco Paladini collaborare a «Veglia», rivista fondata e diretta a Parigi da Virgilia D’Andrea, agitatrice anarchica che Errico Malatesta, eminente compagno di strada di Bakunin e Kropotkin, definisce «la poetessa dell’anarchia». Qui Paladini pubblica l’articolo come Vasco dei Vasari, prudenza necessaria, la sua, visto che è ancora in Italia. L’influenza dell’anarchia nell’arte, in cui cita tra gli altri Cezanne, Degas, Courbet, Manet, Van Gogh come esponenti della genìa degli autori che hanno scelto il rifiuto di ogni logica di controllo politico e non hanno piegato la testa di fronte alle imposizioni del potere.
Un personaggio dunque fortemente anomalo, se si guarda al Futurismo fascistizzato propugnato da Marinetti e dai suoi tardivi emuli. Anche negli anni a seguire, quando si laurea in architettura e aderisce al Miar, Movimento italiano per l’architettura razionale, Paladini è ben consapevole che il fascismo è dall’altra parte della barricata, ma non demorde affatto. Preferisce guardare piuttosto al radicalismo dadasurrealista di marca tedesca, accelerando sul piano dei fotomontaggi e collage, in chiave «immaginista». Certo, si può considerarlo anche un minore, ma meglio un Vasco dei Vasari allora che uno pseudoOsho di oggi, prestato a un’operazione sgangherata come la mostra futurista della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea (Gnamc).
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