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Da molti anni Yukinori Yanagi (Fukuoka, Giappone, 1959) vive e lavora lontano dalla scena pubblica, sull’isola di Momoshima. Maestro famoso e molto influente non solo in Giappone, formatosi alla Yale University, dove ha conosciuto l’approccio concettuale all’arte, nel 2000 ha però abbandonato gli Stati Uniti, spinto dalle contraddizioni della loro economia e, tornato in Giappone, si è dedicato soprattutto a un’arte pubblica dal forte portato politico e sociale, scegliendo soprattutto i siti industriali non più in uso. Come Pirelli HangarBicocca, a Milano, che dal 27 marzo al 27 luglio gli dedica la prima grande antologica in Europa, ricca di opere note degli anni Novanta e 2000 e di lavori recenti: un ritorno in Italia, il suo, 32 anni dopo la 45ma Biennale di Venezia, dove presentò «The World Flag Ant Farm», con le bandiere di centinaia di Paesi realizzate con sabbia e «minate» da schiere di formiche. La versione odierna di quell’opera chiude la mostra «Yukinori Yanagi. Icarus» (monografia Marsilio), curata da Vicente Todolí con Fiammetta Griccioli. Ne parliamo con Vicente Todolí, dal 2012 direttore artistico dell’istituzione milanese.
Qual è il filo che, con Fiammetta Griccioli, ha seguito nell’ordinare la mostra?
Yanagi Yukinori è un artista che seguo da tempo. Mi aveva molto colpito «The World Flag Ant Farm»: 200 bandiere di sabbia colorata che venivano sgretolate dalle formiche, l’opera con cui vinse il premio ad «Aperto ’93» alla Biennale di Venezia e ottenne una notorietà internazionale. Ma nonostante la fama e il successo di mercato, Yukinori è sempre rimasto fedele alla sua pratica e ha portato avanti in modo rigoroso la sua ricerca, realizzando non solo opere di grande impatto che continuano a essere pregnanti oggi, ma anche progetti su larga scala, coinvolgendo il territorio, le comunità e gli artisti a lui vicini. Dunque, mi sembrava importante riportare l’attenzione su questo artista e dedicargli un’importante antologica. Insieme a lui abbiamo scelto un nucleo di opere che non solo entrassero in risonanza con gli spazi industriali, ma che nel loro insieme potessero dare forma al leitmotiv della sua poetica: la costante rimessa in discussione dell’identità, dei confini, delle nazioni.
La predilezione dell’artista per i siti industriali dismessi ha giocato un ruolo nell’ordinare questa mostra in un luogo come Pirelli HangarBicocca? Come ha reagito l’artista di fronte a questi spazi?
Certamente il suo interesse per i siti industriali dismessi ha contribuito alla realizzazione del progetto espositivo, ma anche la sua capacità di confrontarsi con l’architettura e di dialogare con spazi su grande scala. Era molto felice quando è venuto la prima volta e, tornato in Giappone, ha completamente ripensato il percorso della mostra, aggiornando opere del passato e riconfigurandole per gli spazi di Pirelli HangarBicocca.

Una veduta dell’installazione di Yukinori Yanagi, «EC Flag Ant Farm», 1992, nella Galleria Ghislaine Hussenot, Parigi, 1992. Foto: Yanagi Studio, Collezione Benesse Holdings, Inc., Okayama
C’è, in mostra, un’opera «esemplare», che a suo parere riassume in sé tutti i principi fondanti della ricerca di Yanagi?
Sì, è «Ground Transposition-Hiroshima», presentata la prima volta nel 1986, in una versione leggermente diversa, in una miniera di pietra Ohya: si tratta di una o più sfere riempite di elio e ricoperte di terra, che fluttuano nello spazio. La terra con cui Yanagi le ricopre proviene sempre da contesti dal forte valore sociale e politico come, appunto, Hiroshima. In un’occasione ha scelto invece la terra proveniente dal deserto di Manzanar, un campo di concentramento per giapponesi in California. L’opera contiene in sé il principio cardine della sua pratica, che lui stesso definisce «wandering as a permanent position», ovvero il vagare come condizione permanente. Il titolo, apparentemente un ossimoro, racchiude il concetto di radicamento e di movimento e ci fa riflettere su come i concetti di Nazione, territorio e appartenenza siano precari e in costante ridefinizione: questo mi sembra molto attuale ancora oggi.
Yanagi ha vissuto lungamente negli Stati Uniti, ma poi ne è, per così dire, fuggito, tornando in Giappone. Quali sono, nel suo lavoro, le influenze del pensiero e dell’arte occidentali?
Lui stesso ha dichiarato come sia stato influenzato non solo dalla corrente artistica giapponese Mono-Ha ma anche dalla Land Art americana: lo possiamo vedere nella scelta dei materiali, sia naturali (acqua, terra, e sabbia) sia industriali (container da trasporto, neon) e dal desiderio di lavorare spesso in luoghi non convenzionali. Anche da un punto di vista formale emerge una risonanza con gli artisti della Minimal Art come Robert Morris o Dan Flavin, per la scelta di forme elementari e per la ripetizione di moduli, come in «The World Flag Ant Farm» o «Article 9». Dal 1988 al 1990 Yanagi studia alla Yale University, dov’è allievo di Frank Gehry e di Vito Acconci. Ed è proprio Vito Acconci, artista visivo e performativo, ad avere un ruolo decisivo nella pratica di Yanagi, influenzando il suo lavoro anche quando tornerà in Giappone.
Dall’inizio del nuovo millennio Yanagi crea prevalentemente opere di arte pubblica, dal forte messaggio simbolico e sociale. Quali sono, a suo parere, le più significative?
Ho avuto personalmente l’occasione di visitare due dei suoi progetti più rilevanti: l’Inujima Seirensho Art Museum e Art Base Momoshima. In modo diverso sono due musei dove arte, ambiente e architettura si fondono per dare vita a realtà che preservano e riqualificano il territorio, offrendo nuove possibilità di pensiero e riflessione. A Inujima, insieme all’architetto Hiroshi Sambuichi, ha riconvertito gli spazi di una fabbrica di rame abbandonata in un museo, creando opere monumentali permanenti che riflettono sul pensiero del controverso e celebre poeta Yukio Mishima. Questa operazione ha evitato che l’isola diventasse una discarica per rifiuti industriali. Infatti, nella sua poetica riscontriamo spesso una preoccupazione per l’ecologia e per l’impatto dell’essere umano sull’ambiente. Mentre Art Base Momoshima, dove Yukinori Yanagi attualmente vive, è un museo in cui, coinvolgendo la comunità locale, riconverte alcuni edifici abbandonati, come la vecchia scuola e il teatro, trasformandoli in spazi per l’arte. Qui presenta sia opere di altri artisti sia i suoi progetti più iconici.

Una veduta dell’installazione di Yukinori Yanagi, «Wandering Position», 1997, alla Chisenhale Gallery, Londra, 1997. Foto: Yanagi Studio