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Allan Kaprow mentre spiega un happening, 1964. Fotografo sconosciuto. Getty Research Institute, Los Angeles. © J. Paul Getty Trust. Courtesy Allan Kaprow Estate and Hauser & Wirth

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Allan Kaprow mentre spiega un happening, 1964. Fotografo sconosciuto. Getty Research Institute, Los Angeles. © J. Paul Getty Trust. Courtesy Allan Kaprow Estate and Hauser & Wirth

Allan Kaprow al Museo del Novecento

Intere generazioni di artisti sono stati influenzati dai suoi environment e happening

Laura Lombardi

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Firenze. La figura di Allan Kaprow, (Atlantic City, 1927-Encinitas, 2006) ha influenzato intere generazioni di artisti, con gli environment e gli happening, che videro, dagli anni Sessanta, la radicale messa in discussione, espressa anche in alcuni testi teorici, dei mezzi di espressione tradizionale, a favore della contaminazione tra arti visive, danza, musica e teatro.

Tuttavia altri aspetti della produzione dell’artista, essenziali per intendere l’approdo all’interazione tra spazi, materiali e persone, nella convinzione che «il confine tra arte e vita dovrebbe essere mantenuto fluido, e forse indistinto, il più possibile» (come scriverà nel 1965), sono meno noti al grande pubblico; aspetti che sono ben messi in luce dalla mostra «Allan Kaprow. I will always be a painter – of sorts» a cura di Sergio Risaliti e Barry Rosen, al Museo del Novecento fino al 4 giugno, promossa dal Comune di Firenze, realizzata in collaborazione con Allan Kaprow Estate e Hauser & Wirth, che si articola seguendo un percorso «a ritroso».

Al piano terra troviamo il video «Fluids» (1967) ma anche «Fold fluids», la reinvention di quell’happening affidata a un gruppo di artisti (Davide D’Amelio, Anna Dormio, Bekhbaatar Enkthur, Esma Ilter, Giulia Poppi, Negar Sh.), mentre al primo piano, nel loggiato rinascimentale, quella dell’environement «Words» (1962) grazie al progetto di Dania Menafra «Wom!» acronimo di «Word of Mouth». Si prosegue con la produzione grafica ed editoriale, strettamente legata alla ricerca e alle sperimentazioni di Kaprow, con una propria valenza estetica: i poster e i booklet, una sorta di ‘manuali di istruzioni’ dei singoli progetti, accompagnate da scatti fotografici degli stessi.

Seguono i video e le azioni più celebri degli anni Settanta (esposti nella sala Cinema), tra cui quel «Then», opera in tre parti del 1974, realizzata proprio a Firenze, per art /tapes/22 di Maria Gloria Bicocchi. Si giunge infine al corpus di 20 dipinti e 19 disegni, per la prima volta esposti in Italia, nei quali Kaprow, meditando sugli insegnamenti dell’Action Painting di Jackson Pollock, matura la sua concezione di apertura dell’opera nello spazio.

In quelle tele, dipinte tra il 1954 e il 1956, riconosciamo New York e l’ambiente del suo studio, poi figure e oggetti, tracciati in modo rapido e sintetico, mentre nei dipinti del decennio precedente, esplosioni cromatiche si alternano a altre di più cupa meditazione, eco della coeva pittura europea. Il 4 aprile, nell’ambito di «Museo Novecento Off», Jacopo Miliani recluterà, per la reinvention di «Fluids», quaranta persone in un happening che dal Museo Novecento arriverà fino a Piazza della Signoria e ritorno. Infine Elena Mazzi, il 5 maggio, sarà protagonista di «Red/Fluid» alla Manifattura Tabacchi.
 

Laura Lombardi, 23 febbraio 2020 | © Riproduzione riservata

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Allan Kaprow al Museo del Novecento | Laura Lombardi

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