Olga Gambari
Leggi i suoi articoliL’anima della collezione è Michele Cristella, giovane imprenditore con la passione per l’arte. Il fondatore della omonima collezione, insieme a Ramona Ponzini e Matteo Mottin, duo curatoriale di Treti Galaxie, raccontano la nascita ed evoluzione della mostra aperta il 4 marzo e allestita negli spazi del Gruppo Cristella, impresa attiva nel settore degli autotrasporti e del commercio dei carburanti.
Come è nata questa passione per l’arte?
[M.C.] In maniera indipendente dalla mia famiglia. Ho imparato il lavoro sul campo nella nostra azienda, mentre sui banchi coltivavo passioni (dal liceo artistico alla laurea in beni culturali e storia dell’arte, Ndr), che spero mi diano dei frutti, magari non calcolabili in termini economici ma sicuramente in termini vitali. La collezione è nata nel 2015, il mio primo interesse sono stati gli artisti che si confrontavano con i nuovi media, un’arte che sapesse fare una ricerca sociologica e tecnologica. Ora mi definisco un collezionista adolescente che deve provare un po’ di tutto, che si innamora di media estremamente differenti, in particolar modo nell’ultimo periodo la pittura, con un’attenzione speciale per l’Italia e per gli Stati Uniti, soprattutto Los Angeles.
Nel 2019 la Collezione Cristella ha istituito il premio Ducato Prize.
[M.C.] Il premio, nato dall’assist della giovane curatrice Alberta Romano, non è particolarmente importante da un punto di vista economico, 10mila euro al vincitore, ma nella partecipazione, perché ogni edizione istituiamo una giuria di alta qualità, che nel contatto diretto con i candidati offre loro sia una possibilità di crescita sia di creazione di nuove relazioni e confronti. Per esempio, due finaliste dell’ultima edizione, June Crespo e Chiara Enzo, sono andate poi alla Biennale d’Arte di Venezia.
Si tratta di una corporate collection?
[M.C.] No, è privata, anche se l’azienda supporta il finanziamento del Ducato Prize e poi alcune produzioni di artisti; l’anno scorso abbiamo sponsorizzato la realizzazione di un’opera di Elisa Giardina Papa, anche lei poi presente alla Biennale di Venezia, e la produzione di Arianna Carossa alla Fonderia Battaglia di Milano. Queste azioni di produzione vengono sostenute dall’associazione culturale Coil Art Motive, che ho costituito partendo dalla parola coil, il brand principale della nostra azienda.
Una collezione privata che ha sviluppato nel tempo una vocazione pubblica, dal Ducato Prize a questa mostra che si apre ai suoi dipendenti, inserendola letteralmente nella vita quotidiana dell’azienda, e al pubblico.
[M.C.] Ho iniziato nel 2018 a inserire le opere della collezione negli ambienti dell’azienda, finché mi sono reso conto che avevo il desiderio di affrontare la questione del rapporto tra le opere esposte e l’utenza, costituita in primis dai collaboratori, offrendo loro chiavi di lettura per un dialogo. Quest’obiettivo l’ho condiviso con Ramona e Matteo di Treti Galaxie (autori di progetti che mettono sempre al centro il coinvolgimento dello spettatore, Ndr).
Come avete immaginato il progetto?
Ramona Ponzini: Ci siamo chiesti quale fossero le esigenze, da un lato quelle di Michele di vivere con le sue opere anche nell’ambiente lavorativo, dall’altra dei suoi collaboratori e di come vivessero queste presenze. Abbiamo deciso di metterci in un punto di vista altro, il loro, e visto che chi idealmente accoglie Michele e i suoi collaboratori è l’azienda, abbiamo pensato che essa stessa potesse venire evocata in quanto entità. Così abbiamo selezionato trenta opere legate all’idea di movimento, di trasmissione di energia, una circolarità che fa riferimento al brand della società, coil, dall’inglese spirale, bobina.
Matteo Mottin: Le statistiche dicono che in media il tempo dedicato da una persona a un’opera d’arte in un contesto canonico è di 8 secondi, compresa la lettura della didascalia. Ci siamo domandati come fare a mediare il rapporto tra le opere e le persone che tutti i giorni ci passano di fronte. Così abbiamo inventato un tipo di narrazione aperta che va a inanellare tutte le opere e dà spunti di osservazione che entrano in relazione con le altre opere. La mostra è un librogame (un adattamento dell’esperienza del libro-gioco, un’opera narrativa che invece di essere letta linearmente dall’inizio alla fine, offre al lettore la possibilità di partecipare attivamente alla storia, decidendo tra alcune possibili alternative, mediante l'uso di paragrafi o pagine numerate, Ndr): di fronte a un’opera si hanno due scelte, che portano su altrettanti percorsi diversi. Ogni opera viene raccontata da un breve testo che non è esaustivo ma si completa con gli altri, ci sono didascalie scientifiche ma anche un haiku, un’ode.
[R.P.] La nostra è una psico-curatela, e questi sono dei ganci cognitivi, oltre il nozionismo, che stimolano a livello viscerale per attivare una ulteriore ricerca personale. Una fruizione attiva e partecipe per le persone e per le opere.
[M.C.] La mostra sarà aperta su appuntamento e vorrei nei prossimi mesi proporre alle scuole visite guidate anche dagli artisti. Mi piacerebbe arrivare a sessant’anni con la gente che nei bar parli di arte oltre che calcio.
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