Maichol Clemente
Leggi i suoi articoliHo sempre pensato, e ritengo di essere in buona compagnia, che i repertori siano tipologie di libri importanti, il più delle volte imprescindibili. A essi si affiancano, su un piano ovviamente differente, i cataloghi, che siano poi di collezioni museali, di raccolte private o di un patrimonio più vasto, questo è un discorso secondario, non marginale però. Catalogare significa conoscere, o almeno, se il lavoro svolto è fatto minimamente bene, venire in possesso delle coordinate basilari riguardanti le opere schedate: il dove sono, tecnica e materiale d’esecuzione, le loro misure, il loro stato di conservazione nel momento in cui sono state prese in esame e, nel migliore dei mondi possibili, il loro autore e la data/le date di realizzazione. Se imprese cartacee non mancano (l’augurio sincero è che si continuino a pubblicare), operazioni di questo tipo sono oggi più facilmente gestibili attraverso la creazione di database digitali.
Un caso virtuoso, a livello nazionale, mi sembra sia, e proprio sul versante della scultura, quello dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Sono anni, decenni, che attraverso la sua Fototeca ha messo online, a disposizione di tutti, studiosi e non, un ricco patrimonio di immagini, risultato di mirate campagne fotografiche e di schedatura. Se sotto la gestione di Giuseppe Pavanello si è svolta un’ampia, quasi completa, documentazione della statuaria veneta da giardino (dal XVI al XIX secolo, curata scientificamente da Monica De Vincenti) e la creazione di un «Atlante» delle opere di Tullio Lombardo e della bottega famigliare (a cura di Matteo Ceriana), con quella di Luca Massimo Barbero, attuale direttore dell’Istituto, si è arrivati a catalogare le sculture del Cinquecento conservate nelle chiese di Venezia.
I numeri, al 2020, sono considerevoli: 2.656 le schede consultabili per le opere da giardino, con un totale di 8.701 immagini allegate; 695 quelle associate all’Atlante Lombardo, con disponibili alla consultazione digitale 2.654 foto; 352, invece, quelle relative all’ultimo insieme, con un bacino di fotografie che si aggira intorno ai 3mila scatti.
Un lavoro considerevole, dunque, quello fin qui svolto. Merito di ciò va anche dato a Simone Guerriero, che ha a suo tempo coordinato i vari progetti e il lavoro di molte collaboratrici e collaboratori che negli anni si sono avvicendanti in quelle stanze. Al contrario di quel che si può pensare, non sono mancati più tangibili risvolti cartacei. Alla statuaria da giardino, cioè a una delle specificità caratterizzanti la storia artistica della Serenissima Repubblica, è stato riservato l’onore di una pubblicazione.
Un volume, a cura di Monica De Vincenti ed edito da Marsilio nel 2014, dedicato alle opere presenti su tutto il territorio della provincia di Vicenza, terra dove operò tra Sei e Settecento una delle più prolifiche botteghe di scultori: quella dei Marinali. Sfogliarlo non solo dà la misura della quantità di sculture prodotte per le ville dell’entroterra vicentino, ma illustra la varietà dei soggetti affrontati, delle soluzioni adottate, degli artisti impiegati, delle dispersioni otto-novecentesche e, soprattutto, del progressivo deteriorarsi di questi affascinanti manufatti. Catalogare significa conoscere. E conoscere vuol dire ricordare. E per ricordare bisogna prima di tutto conservare.
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