Monica Trigona
Leggi i suoi articoliAlla vigilia dell’apertura di The Phair, fiera che dal 5 al 7 maggio presso il Padiglione 3 di Torino Esposizioni coinvolge gallerie con progetti artistici legati al tema dell’immagine fotografica, le Ogr hanno ospitato una tavola rotonda che ha visto confrontarsi quattro «high profile speakers» del mondo della fotografia: Tanya Kiang, curatrice del Photo Museum Ireland di Dublino, Duncan Forbes, Head of Photography del V&A South Kensington, Fanny Brülhart, curatrice associata del Photo Elysée di Losanna e Xavier Canonne, direttore del Musée de la Photographie de Charleroi, Belgio. L’incontro è stato moderato da Benjamin Jaeger, proprietario di JAEGER.ART di Berlino e membro del board curatoriale di The Phair, mentre in sala non è passata inosservata la presenza di Menno Liauw, direttore artistico del nuovo Festival internazionale di fotografia che si svolgerà a Torino nella primavera del 2024.
Photo Museum Ireland, Dublino: spazio ai giovani, ma salvaguardando gli archivi
Si è partiti dal museo più piccolo, ma non meno interessante, il Photo Museum Ireland di Dublino, di cui Tanya Kiang ha tracciato la genesi. Definito dalla stessa direttrice il «new kid on the block» del sistema in quanto molto piccolo, questa realtà è stata fondata da John Osman nel 1978 come The Gallery of Photography. Lo scorso anno ha cambiato nome in Photo Museum Ireland. Kiang ha mostrato le immagini di una costruzione che dal 1996, giorno dell’insediamento nel museo, ha rivelato da subito una certa carenza di spazi utilizzabili. Inizialmente non esisteva l’ultimo piano, realizzato successivamente, nel 2008. Il museo, che è nel centro di Dublino, si trova in un quartiere che vanta un certo fermento culturale e sono solo in sei gli operatori che vi lavorano. La direttrice ha rimarcato la necessità di alternare le mostre temporanee, una dopo l’altra, non contestualmente, proprio per la mancanza di aree espositive ma ha anche vantato la dinamicità delle loro iniziative.
All’entrata del museo, è interessante notare l’artists project space dove una sola parete ospita progetti di giovani artisti e dove un ampio schermo è messo a disposizione per la proiezione di progetti (spazio ideale per chi aderisce a programmi di residenza). Nel seminterrato della struttura esiste anche una sala dedicata allo sviluppo, una dark room, che accoglie massimo sei persone. La salvaguardia delle ricerche fotografiche è un punto caldo tra gli obiettivi del museo: insegnare come scannerizzare, catalogare e sfruttare le opportunità che ci sono oggi sono considerate delle priorità. Nell’ottica di aiutare i fotografi nel loro lavoro, sono a disposizione mezzi (come uno scanner di qualità professionale e hardware digitali) che possano essere utili da un punto di vista tecnico.
La storia nazionale (la Repubblica d’Irlanda è nata nel 1922 e dal 2016 ad oggi si sta celebrando nel Paese l’importante ricorrenza) rappresenta un campo d’indagine molto sentito dall’istituzione per far comprendere alle persone le proprie origini. È stato quindi promosso un programma dedicato alle fotografie storiche digitalizzando diverse immagini della ricca collezione Show. Kiang ha insistito sull’importanza di digitalizzare le prime foto della storia. Lavorare con archivi storici è parte importante del lavoro del museo: album di famiglia e foto personali, di cui spesso i possessori non comprendono il valore storico e artistico, acquistano un significato importante in mani esperte e oltre a essere scannerizzate per la famiglia stessa vanno ad arricchire l’archivio digitalizzato del museo. Il Photo Museum Ireland ha infatti, recentemente istituito la National Photography Collection, una risorsa culturale e patrimoniale che vuole preservare pratiche individuali, un vero archivio creativo.
La collezione di fotografia nazionale è quindi frutto del patrimonio di stampe del Photo Museum Ireland (opere d’arte acquistate o donate da artisti) e presto sarà disponibile per la consultazione online. Nell’ottica di ottenere un nuovo spazio più grande e con le necessarie strutture archivistiche, la National Photography Collection fa parte di un più ampio piano di sviluppo strategico.
Victoria & Albert, Londra: il primo museo al mondo a collezionare fotografia apre il 25 maggio l’ampliamento del Photography Centre
L’intervento di Duncan Forbes, Head of Photography del V&A South Kensington, era particolarmente atteso. Il prossimo 25 maggio il museo festeggerà infatti l’agognato completamento del Photography Centre. Lo studioso inglese ha ricordato che la storia della collezione di fotografia del Victoria and Albert Museum è iniziata nel 1852, anno della sua fondazione. Primo museo al mondo a collezionare scatti (tra i primi in collezione vanta quello della prima Esposizione Universale del 1851, al Crystal Palace di Londra, di uno dei pionieri del mezzo, Benjamin Brecknell Turner, e uno familiare di Sir Henry Cole ad opera di un anonimo) deve al suo primo direttore, Cole, l’intuizione dell’importanza del mezzo fotografico. Nel 2017 le già cospicue collezioni del centro si sono notevolmente arricchite inglobando la Royal Photographic Society (Rps) Collection.
Dopo aver sottolineato i diversi ruoli acquisiti nel tempo dall’immagine e i suoi sviluppi nel documentare all’inizio l’industria manifatturiera (fine Ottocento) sino al panorama musicale (anni Sessanta del Novecento), Forbes si è soffermato sul cambiamento nel gusto del pubblico che ha influenzato l’eterogeneità di mostre offerte dal museo. Complessivamente, saranno sette le gallerie del nascente Photography Centre, per un totale di 1.000 metri quadrati di spazio espositivo, e saranno così denominate: Inside the camera, Photography now (2 aree), Photography and book, Digital gallery, Photography 1840s-Now.
Piccola curiosità svelata da Forbes: Inside the camera permetterà letteralmente di camminare dentro il cuore di una macchina fotografica scoprendone i meccanismi sovradimensionati.
Il programma del centro si articolerà tra la promozione della collezione permanente, le acquisizioni, i prestiti, Il Parasol Foundation Women in Photography Project (programma curatoriale internazionale che sostiene le donne nella fotografia), le pubblicazioni, le mostre temporanee e la ricerca. A tal proposito, in questo momento, il centro ospita cinque dottorandi e dei borsisti. Circa le acquisizioni, invece, Forbes ha raccontato ai presenti del Photographs Acquisition Group, i cui membri sostengono il V&A con donazioni a un fondo essenziale per le acquisizioni di fotografia. Dal 2011, il gruppo ha permesso di acquisire opere esposte nel centro di fotografia, nelle mostre, nelle pubblicazioni o utilizzate per progetti educativi e nuove ricerche.
I lavori, ha precisato Forbes, non sono necessariamente di «star» dell’immagine stampata ma sono spesso prodotti da bravi artisti mid-career. Il gruppo di filantropi è fondamentale per discutere anche di eventuali «gap» della collezione e per individuare aree di ricerca su cui concentrare gli sforzi del centro (gli ultimi tre anni ad esempio si è svolto un focus sull’Asia del Sud). Il centro, che commissiona all’anno un solo progetto fotografico, acquisisce solo fotografie contemporanee (comunque comprende oltre 800mila fotografie dal 1839 a oggi). Tra le ultime acquisizioni, Forbes ha ricordato opere di Antony Cairns, Natalie Czech, Poulomi Basu, Lise Oppenheim, Noémie Goudal e Tarrah Krajnak.
Photo Elysée, Losanna: 1.200.000 foto e un museo condiviso con design e arti applicate
Fanny Brülhart è da due anni curatrice associata al Photo Elysée di Losanna. Dell’importante istituzione svizzera ha ricordato la storia che ha inizio quasi una quarantina di anni fa. La collezione del museo, che oggi conta oltre 1.200.000 fotografie (da immagini risalenti agli anni Quaranta del 1800 fino all’avvento del digitale), è stata iniziata da Paul Vionnet, pioniere della fotografia, ed è stata incentrata sulla storia e sul patrimonio del Cantone di Vaud. La raccolta ha dato origine al Musée de l’Elysée nel 1985 come museo dedicato all’immagine.
Il museo, che ospita oggi numerosi fondi o archivi fotografici completi, come quelli di Sabine Weiss ed Ella Maillart, Nicolas Bouvier, Charlie Chaplin e altri ancora, dallo scorso giugno ha sede in un affascinante edificio condiviso con il mudac, museo del design e delle arti applicate.
Brülhart ha sottolineato che, sotto la direzione di Nathalie Herschdorfer, direttrice del museo dal 2021, le acquisizioni di opere fotografiche sono decisamente aumentate: 110 sono stati i progetti valutati nel 2022 di cui 67 accettati. Inoltre, nello stesso anno, sono state 31 le donazioni e 35 i lavori acquistati. Tra questi molti sono stati realizzati da artisti locali come Mathilda Olmi, Mathieu Bernard-Reymond, Tonatiuh Ambrosetti, Audrey Piguet, Clément Lambelet e altri ancora. Un comitato si raduna otto volte all’anno per discutere le acquisizioni. Nello specifico per il museo è importante implementare la collezione colmando il divario di genere e concentrando l’attenzione su temi già presenti.
Tra i temi importanti, perseguiti dal museo nella sua ricerca, la curatrice ha elencato: nuove narrative e nuovi modi di guardare alle cose, fotografie nell’era dell’Antropocene, identità di genere, prospettive postcoloniali e fotografie nell’era dell’intelligenza artificiale. Ha inoltre aggiunto che gli sforzi degli ultimi anni si sono concentrati nell’analizzare proprio la loro collezione di cui non è il museo il proprietario ma il Cantone di Vaud che, fino ad oggi, e per fortuna, è sempre stato in linea con le scelte del Musée de l’Elysée.
Musée de la Photographie, Charleroi: attività anche in giardino e sui muri di cinta
Ha preso infine la parola l’ultimo speaker, Xavier Canonne. Il direttore del belga Musée de la Photographie de Charleroi ha iniziato il suo intervento ricordando il passato industriale della cittadina in cui opera. Charleroi, infatti, è al centro di un vasto bacino carbonifero il cui sfruttamento è al giorno d’oggi completamente abbandonato. Il museo stesso ha contribuito a dare nuova vita a un agglomerato urbano che non aveva veramente molto da offrire.
Cannone ha ricordato quanto gli stessi italiani abbiano fatto parte della storia locale segnata anche da incidenti nelle miniere. Nel 1985 il nuovo Governo ha deciso la creazione di un museo della fotografia che è sorto nel 1987 all’interno di un ex convento di suore. L’ex monastero carmelitano di Mont-Sur-Marchienne non era la location ideale a ospitare quello che oggi è il più grande, e uno dei più importanti, musei di fotografia in Europa. Quasi un decennio dopo la sua apertura il Governo ha deciso di aiutare l’istituzione rinnovandone gli spazi che, non avendo vincoli di tutela, sono stati adattati completamente alle necessità espositive.
In più, grazie ai fondi europei, si è potuto provvedere alla creazione di una caffetteria, di un bookshop, di servizi igienici, di una biblioteca e di un nuovo edificio attiguo, adibito soltanto alle mostre, che ha inaugurato nel 2008. Oggi il museo è in grado di ospitare tre-quattro mostre per volta e organizzare tre inaugurazioni all’anno. La collezione permanente segue un percorso cronologico e ha cercato di mantenere più possibile lo spirito del luogo.
Le aree adibite a depositi, ha osservato Cannone, non sono mai troppe. Pur avendone tre, uno solo per conservare negativi, uno per la collezione di stampe e uno per le prime fotografie, l’istituzione belga soffre per la mancanza di spazio. In compenso il giardino è un’area in cui si svolgono attività educative e, lungo la sua cinta muraria, esposizioni di fotografie.
Alla fine dell’incontro Canonne ha sciorinato qualche «numero» del museo: un’area totale di 5.846 metri quadrati, con la sola vecchia costruzione (il convento) di 4.000 metri quadrati e spazi pubblici che occupano ben 3.175 metri quadrati. Quanto è costato infine il Musée de la Photographie de Charleroi?
5.479.132 euro, di cui un quarto sono arrivati dalla Federazione Europea e tre quarti dal Communauté française de la fédération Wallonie-Bruxelles.
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