Giuseppe M. Della Fina
Leggi i suoi articoliIl panorama dei musei di Roma si è ampliato ulteriormente: è stato aperto l’11 gennaio al pubblico il Museo della Forma Urbis, situato all’interno del Parco Archeologico del Celio. Ospita uno dei ritrovamenti più rilevanti avvenuti a Roma: una pianta in marmo della città antica realizzata tra il 203 e il 211 d.C., vale a dire tra l’anno della costruzione del «Septizodium», che è raffigurato sulla pianta, e quello della morte dell’imperatore Settimio Severo menzionato, insieme a Caracalla, su un altro frammento della Forma Urbis.
La pianta venne rinvenuta in frammenti nel maggio del 1562 e suscitò un interesse notevole nell’immediato: l’erudito fiorentino Pier Vettori scriveva in una lettera indirizzata a Nicolò del Nero: «Et però non mi metterò a darvi se non una nuova, che facendo cavare drieto a Templum Pacis il medesimo Cardinale (Alessandro Farnese, Ndr) ha trovato in centomila pezzi una parete, per chiamarla così, di muro, dove era intagliata la pianta di Roma».
L’entusiasmo iniziale non ebbe seguito e si arrivò a una dispersione dei frammenti rinvenuti, che vennero utilizzati come materiale da costruzione nell’area di Palazzo Farnese: più di 600 di essi furono ritrovati di nuovo tra il 1888 e il 1891. Nel frattempo Giovanni Pietro Bellori, nel 1673, aveva realizzato la prima pubblicazione dei «marmi farnesiani» utilizzando anche disegni, principalmente del Codice Vaticano Latino 3439, che costituiscono la documentazione di un centinaio di frammenti andati perduti. Le tavole del suo studio furono alla base della prima esposizione, avvenuta dopo che i frammenti erano stati consegnati da papa Benedetto XIV ai Conservatori Capitolini.
La prima edizione pienamente scientifica del ritrovamento Forma Urbis Romae Regionum XIIII arrivò più tardi: venne curata da Henric Jordan e fu pubblicata a Berlino nel 1874. Si deve ricordare ancora, almeno, il volume La pianta marmorea di Roma antica di Gianfilippo Carettoni, Antonio Maria Colini, Lucos Cozza e Guglielmo Gatti stampato nel 1960 e con il quale si sono misurati tutti i numerosi studi successivi.
Più di recente, grazie a un accordo tra la Sovrintendenza Capitolina e l’Università di Stanford, si è proceduto a una digitalizzazione di tutti i frammenti rinvenuti. L’ultima esposizione complessiva della Forma Urbis era stata realizzata tra il 1903 e il 1924 nel giardino del Palazzo dei Conservatori. Poi alcune parti erano restate visibili nell’Antiquarium del Celio sino al 1939.
Vediamo ora la monumentale pianta più da vicino: era esposta in origine sulla parete di un’aula a fianco dell’aedes Pacis, che fu inglobata, in seguito, nel complesso dei Ss. Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano. Era composta da 150 lastre in marmo fissate alla parete con perni in ferro e occupava un’area di 18x13 metri. Nella sua integrità occupava quindi una superficie di quasi 235 metri quadrati e vi erano rappresentati almeno 13.550.000 metri quadrati della città antica attraverso incisioni che raffiguravano gli edifici visibili nella Roma del tempo. La scala utilizzata è di 1:240. Venne ricavata da un rilevamento catastale della città ed era orientata secondo l’uso romano, con il Sud-Est posizionato in alto.
In considerazione della posizione dove era collocata, che non consentiva una leggibilità facile, aveva probabilmente una funzione propagandistica e di celebrazione della città più che una pratica.
Il nuovo allestimento, che consente quasi di passeggiare nella Roma antica, è stato realizzato sotto la responsabilità scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, diretta da Claudio Parisi Presicce, grazie allo studio e all’impegno di Francesca de Caprariis, Francesca Bigi e Caterina Papi ed è stato accompagnato da un intervento sul contiguo giardino archeologico, dove sono esposti reperti architettonici ed epigrafici ricuperati in scavi di fine Ottocento.
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