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Bracciale in oro a verga tortile proveniente da Mottola (Taranto, primo quarto del III secolo a.C.). Cortesia del Museo Archeologico Nazionale di Taranto - MArTA

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Bracciale in oro a verga tortile proveniente da Mottola (Taranto, primo quarto del III secolo a.C.). Cortesia del Museo Archeologico Nazionale di Taranto - MArTA

Gli Ori di Taranto ispirano Dior

Dopo sette anni alla guida del MArTa di Taranto, Eva Degl’Innocenti da gennaio dirige i Musei Civici di Bologna. Qui racconta la costruzione del museo tarantino, i nuovi allestimenti, la promozione sui social, i rapporti con l’alta moda e le mostre nel mondo

Graziella Melania Geraci

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Archeologa con esperienza in Francia, giovanissima è approdata sette anni fa alla direzione del MArTa, neocostituito Museo Archeologico Nazionale di Taranto; da allora Eva Degl’Innocenti (Pistoia, 1976) è riuscita a trasformare con piglio manageriale l’istituzione tarantina in un punto di riferimento nazionale e parte integrante di un’identità cittadina che solo negli ultimi anni ha visto un cambiamento di rotta. La sua esperienza si conclude con un ricco e variegato bagaglio di progetti culturali, tra TikTok e influencer, Dior e inclusione, che porta con sé a Bologna dove da gennaio sarà direttrice dei Musei Civici.

Quando nel dicembre 2015 è arrivata, che tipo di museo era il MArTa?

Ho trovato un museo con collezioni straordinarie, un primo piano completamente allestito con raffinatezza e curato allora da due Soprintendenze grazie a un progetto congiunto con opere presentate secondo il contesto archeologico di provenienza. Era però un museo ancora in cantiere, oggetto di lavori per quasi 18 anni.

Così ho ereditato il progetto allestitivo che era già stato fatto ma con lavori che dovevano essere terminati; quindi un museo aperto per metà con un secondo piano non ancora visibile al pubblico e inaugurato nel 2016. Inoltre la gestione del museo era completamente da costruire perché era stato appena incluso tra i venti musei ad autonomia speciale, che significa autonomia finanziaria, una sezione appaltante, tutta la fase di struttura gestionale da creare completamente, anche a livello amministrativo, finanziario, burocratico. Era un museo che doveva costruire tutta la parte di programmazione culturale e anche di comunicazione
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Che cosa ha fatto in questi sette anni?

Innanzitutto bisognava conoscere tipologia e provenienza del pubblico del museo. Pertanto abbiamo iniziato a costruire l’analisi e la profilazione dei visitatori. L’attività è stata avviata già dai primi mesi creando il piano strategico, il progetto scientifico e culturale dei primi quattro anni, stabilendo i grandi orientamenti, pensando alla politica culturale del museo sotto vari aspetti, dalla gestione alle collezioni, dalla politica di ricerca a quella educativa, fino agli aspetti inerenti alle attività al pubblico.

Sono partite tutte le attività di promozione, comunicazione, marketing ma anche di ricerca fondi perché, essendo un museo ad autonomia speciale, come missione ha non solo quella di beneficiare di contributi pubblici ma  anche di contributi provenienti dai privati, bandi europei, vari tipi di fondi per progetti speciali, e poi tutta l’attività di partenariato, i vari protocolli d’intesa, sia con le comunità, con i vari portatori d’interesse, con enti di ricerca sia italiani che internazionali
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Grande soddisfazione ci ha portato la didattica, che prima non esisteva, i bambini sono diventati ambasciatori del patrimonio culturale nei confronti delle loro famiglie, di conoscenti e quindi hanno contribuito a incrementare la frequentazione da parte del loro entourage. La premura principale era rivolgerci ai bambini e ai giovani con una programmazione ad hoc e un tema ogni mese declinato per i vari tipi di pubblico.

Avete coinvolto privati o aziende?

Un esempio, tra i molti, è stato il progetto realizzato con la casa di alta moda Dior in occasione della sfilata a Lecce che prevedeva che le modelle indossassero gioielli ispirati agli Ori di Taranto: tutto ciò ha portato grande pubblicità con l’acquisto dei diritti sulla concessione dell’immagine insieme al bellissimo documentario di Edoardo Winspeare che racconta i capolavori culturali pugliesi, tra cui anche il MArTa, finanziato proprio da Dior. L’altro progetto è «Adotta un tesoretto» che riguarda il grande patrimonio numismatico, purtroppo in gran parte chiuso nei nostri depositi mai esposti. I Lions Club del territorio hanno finanziato due progetti: studio e restauro, esposizione e pubblicazione, restituendo alla comunità tesoretti di grande importanza.
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Come si è trasformato negli anni il rapporto tra museo e ambiente circostante?
Fin da subito c’è stata la volontà di lavorare insieme con il territorio e con l’imprenditoria locale che ha finanziato delle attività progettando insieme anche azioni a lungo termine. Tutto questo ha creato una visione del museo come legame identitario, senso di appartenenza e di comunità che era elemento fondamentale nel progetto proprio perché il museo si trova a Taranto. Era necessario restituire dignità e autorevolezza alla città, soprattutto nei confronti di un’immagine mediatica che oggi è sicuramente migliorata ma che nel 2015, quando sono arrivata, era fortemente negativa a livello nazionale e internazionale.

Non si parlava di Taranto come antica capitale del Mediterraneo, non si percepiva questo grande patrimonio culturale che non è solo archeologico. L’altro elemento per me importante era che il museo diventasse una vera e propria testa di ponte, avamposto di un museo diffuso sul territorio, attraverso anche la ricostruzione dei contesti archeologici. Ogni vetrina ha l’esatta ubicazione di provenienza a livello topografico affinché i visitatori siano rinviati sui vari territori limitrofi per scoprire autonomamente quel patrimonio di cui il nostro museo diventava di connessione
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Il Marta è diventato un punto di riferimento cittadino?

Certo. Prima il museo era solo appannaggio degli addetti ai lavori o degli appassionati, poi invece è diventato per tutti e di tutti, un museo comunitario che non svilisce la propria missione di ricerca. Un altro elemento fondamentale è la cura non solo della collezione ma anche del pubblico e ci siamo prodigati per un’accessibilità completa, non solo motoria ma anche cognitiva.

Il lavoro svolto si è concentrato sull’inclusione, a cominciare da Unicef Italia grazie al quale il museo è diventato un laboratorio per la riconquista della dignità e autorevolezza del proprio percorso per quei giovani che non studiano e non lavorano; inoltre siamo stati il primo museo ad autonomia speciale in Italia a stipulare un protocollo con una Asl, quella di Taranto, con la realizzazione di un progetto (ancora in corso) dedicato al rapporto tra arte e salute, andando a misurare la condizione psico-fisica dell’esperienza museale sulla persona, a partire dai soggetti con disabilità fisica.

Abbiamo coinvolto le case famiglia e le cooperative sociali, e dato vita a progetti con i detenuti all’interno del museo e con i migranti, mettendo in relazione e stabilendo un dialogo tra i migranti di oggi e la migrazione dell’antichità. È fondamentale il confronto con la contemporaneità: secondo l’International Council of Museums i musei devono essere al servizio della società e del loro sviluppo creando un dibattito continuo e in questo l’archeologia è una delle scienze più contemporanee
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Quanto pesa la comunicazione sui social?
È stata molto importante perché la parte relativa alla comunicazione non esisteva quando sono arrivata. Abbiamo creato attraverso dei professionisti del settore un vero e proprio piano di comunicazione, marketing, una social media strategy e poi ci siamo lanciati su TikTok, grande punto interrogativo che alla fine ha dato ragione a ciò che avevamo preventivato, arrivando a far parte anche del gruppo di ricerca di TikTok Italia insieme alla Galleria degli Uffizi.

Il contributo dei social è nella politica educativa: il fatto di avere oggi un pubblico di adolescenti che frequentano il museo in autonomia, con amici, in famiglia, oltre il pubblico scolastico, è stato raggiunto solo da qualche anno grazie ai nostri programmi e ai progetti educativi che i social hanno poi fortificato, contribuendo sicuramente. C’è un uso e una funzione educativa di TikTok associata al patrimonio culturale con i vari musei, tiktoker, giovani, creativi. C’è stato un aumento soprattutto della fascia di età tra i 18 e i 25 anni, un pubblico sempre un po’ difficile
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Che rapporto ha il museo con la tecnologia digitale?

L’innovazione è stata fondamentale. Abbiamo creato il tour virtuale in 3D del museo disponibile in sede grazie a due appositi visori. In alternativa è possibile usufruire del tour anche da remoto facendo una donazione a partire da 5 euro e preparandosi così alla visita. Tutto ciò ha riscosso molto successo in pieno lockdown e ha permesso di raddoppiare gli introiti rispetto al museo chiuso. Un altro aspetto è la valorizzazione dei tesori conservati nei depositi ora tutti in 3D. Al mio arrivo mancava il database delle collezioni. Con il progetto «Il Museo Marta 3.0» abbiamo vinto il premio Gianluca Spina per l’innovazione dedicato alla digitalizzazione di 40mila opere, di cui 33mila nei depositi e in buona percentuale inedite e mai esposte.

Quali sono i programmi futuri del MArTa?
Oltre alle composizioni musicali create ad hoc (da Achille Lauro e Dario Marianelli) per le collezioni e fruibili attraverso un QRcode, molti reperti del museo si trovano esposti in varie parti d’Italia e il prossimo anno è prevista una mostra a Washington. Fino al 5 marzo il Museo Nacional de Bellas Artes di Buenos Aires ospita «Tesori del Museo Archeologico Nazionale di Taranto. Greci e altre civiltà antiche del Sud Italia», a cura mia e di Lorenzo Mancini, una mostra molto importante sui tesori del Museo di Taranto nella cronologia dall’VIII al II secolo a.C., quindi dalla colonizzazione greca fino alla conquista romana della città attraverso alcuni grandi capolavori del museo. Per questo progetto dobbiamo ringraziare il Museo di Buenos Aires che lo ha finanziato ed è secondo me un esempio virtuoso di diplomazia culturale. Al MArTA invece ci sarà fino al 18 giugno la mostra «Athénaion. Tarantini, Messapi e altri nel Santuario di Atena a Castro».

Cambierebbe qualcosa di ciò che ha fatto?
No, rifarei la stessa cosa, un percorso intenso. Il 31 dicembre lascio il MArTa ma ho creato tutta la programmazione scientifico-culturale ed economico-finanziaria dell’anno 2023 con l’approvazione del bilancio previsionale da parte del Consiglio di amministrazione di cui sono presidente.

Che cosa farà a Bologna?

Sarà un’esperienza diversa. A Bologna non dirigerò il singolo museo, ma i direttori e si tratterà di un progetto scientifico culturale per tutto il settore dei Musei Civici. All’inizio ovviamente dovrò confrontarmi con i vari direttori per comprendere tutte le esigenze e prevedere insieme ciò che è necessario realizzare.

Orecchini a disco con pendenti a testa femminile in oro e smalti da una tomba di Crispiano (metà del IV secolo a.C.). Cortesia del Museo Archeologico Nazionale di Taranto - MArTA

Graziella Melania Geraci, 28 dicembre 2022 | © Riproduzione riservata

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