Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliLuigi Serafini ha fatto della propria dimora un’opera d’arte totale, ma questioni legate alla proprietà rischiano di distruggerla.
Luigi Serafini è artista fantasmagorico, nato 74 anni fa, da 42 celebre in tutto il mondo per il Codex Seraphinianus, un’enciclopedia surreale dell’impossibile, edita da Franco Maria Ricci e ripubblicata in numerose edizioni, la più recente nel 2022, da Rizzoli. È un «iperlibro», costituito da 350 pagine dipinte e vergate (con scrittura fantastica), simulante un rigore tassonomico d’assetto scientifico, in verità serrata sequenza dell’assurdo, con idee grafiche che fanno pensare a Bosch, a Magritte, alle tavole leonardesche e agli antichi erbari, ma visti in sogno.
Calvino, come Fellini, Sciascia e Manganelli, affascinato da quest’opera, la definì «un’enciclopedia di un mondo parallelo pensata in una lingua sconosciuta». In quel libro nulla ha senso, ma tutto ha un posto. È come guardare nell’abisso multidimensionale dell’ignoto, sentendosi però a casa. È l’inconscio dei singoli ad avere in comune idee universali, e lo stesso Serafini non è certo di essere l’autore del volume, dichiarando, anzi, che a trasferirgli immagini condite di fusa fu la gatta che negli anni dell’esecuzione dell’opus amava appisolarsi sulle sue spalle: «Devo ammettere che fu la gatta bianca la vera autrice del Codex e non io, che mi sono sempre spacciato per tale, mentre ero un semplice esecutore manuale».
E il tema della proprietà dell’arte è proprio il fulcro delle più recenti preoccupazioni di Serafini: la casa d’artista in cui vive, ricolma di oggetti, sculture, pittura murale, mobilia e dipinti, partoriti, come opera unica, dal suo ingegno visionario, non è fisicamente sua, ma dell’Ordine di Malta, che ora richiede l’immobile.
Lui è «solo» l’affittuario delle visioni in cui abita, della favola che gli fa da seconda pelle. Balocco filosofico di un adulto-bambino, la casa in via Salita de’ Crescenzi numero 26 è un Codex Seraphinianus tridimensionale e attraversabile, è proiezione fisica e concreta del mondo onirico di un homo ludens, o del suo gatto.
È Wunderkammer interiore/esteriore, spirituale/materiale, di un alchimista che sta per perdere il suo antro. Lui non sa cosa significhi questo nella sua vita, e chiede a tutti gli altri, a noi: «Non c’è niente che possa tutelare questa casa d’artista, come avvenuto per la casa di Giacomo Balla? Non esiste una legge che possa vincolare case di questo tipo, come avviene in casi simili in Francia o altri paesi del mondo? Qual è il rapporto, in Italia, tra lo Stato e il presente?».
Uscendo di casa, Luigi Serafini incontra, in un raggio di poche decine di metri attorno a sé, il Pantheon, Piazza Navona, la cupola borrominiana di Sant’Ivo alla Sapienza, la cappella in San Luigi dei Francesi con i capolavori di Caravaggio. Rientrando ritrova sé stesso: «È il mio habitat. Io ho sempre bisogno di trasformare i luoghi in cui vivo, per sentirmi protetto. Se mi chiudessero in prigione, sono sicuro che affrescherei la cella».
Che fine farà il guscio di questa lumaca sognatrice? «Non sono ingenuo, la casa non è mia, ed è nelle facoltà dell’Ordine di Malta il mandarmi il preavviso di sfratto, da poco giuntomi. Peraltro non escludo che ci siano interessi da parte del Senato della Repubblica, la cui presidenza ha sede nel confinante Palazzo Giustiniani. Ed è per questo che cercherò le risposte anche della politica, oltre che del Ministero della Cultura, e della cultura tout court, al mio quesito: se la mia arte è veramente arte, e se contribuisce al tenore culturale di un paese, il mio sfratto non è un problema collettivo?».
Luigi Serafini si è già mosso in questa direzione, e ha incaricato due avvocati di Milano di occuparsi degli aspetti legislativi. Quelli culturali riguardano invece tutti.
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