Valeria Tassinari
Leggi i suoi articoliSono pezzi di vita cristallizzati con cura, accumuli, disordini, petali, ali, castelli di carte, ossa spolpate, mosche, spazzatura e delicata bellezza; resti composti in equilibri effimeri, rubati al tempo in un gioco di spaesante illusionismo, che però si stacca dal realismo per restare sospeso in una sorta di metafisica pop. Se è vero che, come afferma Diego Galizzi, direttore di Imola Musei e curatore della mostra diffusa «Bertozzi&Casoni. Tranche de vie» allestita in Palazzo Tozzoni, nel Museo San Domenico e nella Rocca Sforzesca di Imola dal 28 ottobre al 18 febbraio 2024, i due autori «si sono imposti nel panorama dell’arte contemporanea come dei veri rule breaker», bisogna riconoscere che la loro abilità di rottura si è infiltrata con grazia e inquietudine nelle regole di una tecnica irreprensibile, persino fedele alla tradizione.
La loro capacità di infrangere le convenzioni e i pregiudizi sull’uso della ceramica come materia espressiva di un pensiero contemporaneo si manifesta, infatti, nel punto di contatto tra virtuosismo e lucidità concettuale. Non è, dunque, la negazione del carattere decorativo della ceramica policroma a riscattare questi lavori, che apertamente si legano alla storia dell’arte e delle arti applicate, ma, al contrario, è proprio attraverso la riaffermazione di uno dei caratteri fondamentali del materiale, ovvero la fragilità, che la storia diventa soggetto del presente; perché è la transitorietà del tutto la chiave dell’empatia generata dalle opere della ditta Bertozzi&Casoni, un brand che ha fatto scuola.
All’ascesa del sodalizio nato nelle aule dell’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza alla fine degli anni Settanta, consolidato con l’apertura di un piccolo laboratorio fino alla fondazione negli anni Ottanta della società con cui si sono affermati sulla scena artistica e sul mercato, il Comune di Imola dedica un’ampia mostra, realizzata insieme alla Cooperativa Ceramica imolese e a numerosi partner. Un impegno importante per la città romagnola dove gli artisti hanno sempre realizzato i loro lavori a partire dal 1980, un tributo che giunge a pochi mesi dalla prematura scomparsa di Stefano dal Monte Casoni, avvenuta lo scorso maggio, e a seguito della donazione di sei opere al Museo Civico da parte di Giampaolo Bertozzi.
La mostra unisce uno sguardo retrospettivo a opere più recenti in tre sezioni in tre sedi museali. A Palazzo Tozzoni, casa-museo del Settecento arredata con suppellettili originali dell’epoca, è ambientata «Tranche de vie», dove le opere entrano in dialogo con il luogo, giocando con ironia per sollecitare ad attraversare e riattraversare il confine tra realtà e finzione, in un «laboratorio del dubbio» che si dipana tra vasi di rose morandiani e resti di pasti frettolosi, animali beffardi e libri illeggibili, oltre 30 lavori iconici degli ultimi vent’anni.
Diverso è il percorso di «In nuce», la sezione allestita nel quadriportico del Museo di San Domenico, che attraverso un’ampia selezione di oltre 50 opere costruisce il racconto della vicenda creativa della società, tra le sperimentazioni degli anni Ottanta e la definizione del linguaggio peculiare del duo negli anni Novanta, per approdare all’imponente e stravagante Madonnina con il tagliaerba di «Scegli il Paradiso», opera che sancisce il passaggio a quell’idea di spaesamento che si sarebbe rivelata vincente negli anni Duemila. All’ultimo lavoro è invece dedicata la terza sezione, costituita da un’unica opera in verità concepita oltre trent’anni fa ma appena conclusa e collocata nell’austera Cannoniera della Rocca Sforzesca. Qui, in un crescendo tragico, la narrazione della morte attinge all’immaginario mitico e si incarna in un fauno di dionisiaca memoria, impiccato a un lampadario: è Pan che mette in scena il «Suicidio dell’Eros», il commiato dalle pulsioni, dal desiderio e dalla vita.
Ideata da Casoni negli anni Novanta e rimasta incompiuta, è stata portata a compimento da Giampaolo Bertozzi, che ne racconta il valore simbolico: «Realizzando un progetto pensato da Stefano volevo dare continuità al nostro lavoro, e credo che, se fossi mancato io, lui avrebbe fatto lo stesso con me. Anche la collocazione di quest’opera nella Rocca cinquecentesca ha un valore simbolico importante per noi. Il riferimento all’antico nasce dall’aver studiato insieme la storia della ceramica, abbiamo frequentato i luoghi iconici, ad esempio Capodimonte. Siamo sempre stati immersi nella storia dell’arte, apparteniamo a questa famiglia. Ma all’inizio della nostra storia ci siamo costituiti come società, siamo una s.r.l., e lo abbiamo fatto negli anni Ottanta, quando la costituzione di ditte artistiche era in un certo senso ideologica. Per questo la società Bertozzi&Casoni continua ad esistere, e non può che continuare».
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«Adesso» (2009) di Bertozzi & Casoni. Foto Nazario Spadoni
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Bertozzi & Casoni. Foto di Lorenzo Palmieri
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