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Il primo readymade della storia

Tre milioni di anni prima di Duchamp, un ominide africano collezionò una pietra ora esposta per la prima volta al British Museum

Martin Bailey

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Quando nel 1917 Marcel Duchamp trasformò un orinatoio in un’opera d’arte semplicemente dichiarando che di questo si trattava, indirizzò la storia dell’arte su un corso concettuale del tutto nuovo. Ma le origini del readymade risalgono a ben prima dell’artista francese. Circa 3 milioni di anni fa, nell’Africa del Sud, un ominide trovò una pietra a forma di testa e la portò in una vicina caverna. La pietra di Makapansgat, conosciuta anche come Pietra dalle molte facce, fu probabilmente trovata da un australopiteco africano, una specie simile a una scimmia con alcune caratteristiche umane, che si estinse circa 2 milioni di anni fa.

La pietra, mai esposta prima, sarà per la prima volta in mostra al British Museum di Londra in occasione di «Sud Africa: l’arte di una nazione» (27 ottobre-26 febbraio 2017).

La pietra appartiene all’Evolutionary Studies Institute alla University of the Witwatersrand di Johannesburg, dov’è conservata in deposito. John Giblin, cocuratore della mostra, afferma che il reperto «è della dimensione perfetta per essere contenuta nel palmo di una mano».

Una pietra, tre volti La pietra è stata scoperta in epoca moderna in una caverna nella Valle di Makapan, a nord di Pretoria. Nel 1925 la grotta fu scavata da Wilfred Eitzman, un insegnante e archeologo amatoriale, che vi trovò anche ossa fossili di australopiteco africano. Eitzman mostrò il reperto all’antropologo e anatomista Raymond Dart, che ne capì il significato soltanto mezzo secolo dopo. Nel 1974 pubblicò il primo scritto sulla pietra, sostenendo che si trattasse di un oggetto di origine naturale che sembra raffigurare tre volti. Un lato mostra quello che ricorda un teschio umano, con un paio di occhi infossati, il segno di un naso e una bocca con denti. Se si gira la pietra al contrario, appare un altro viso, con caratteristiche simili a quelle dell’australopiteco africano. Sul terzo lato un ulteriore volto con un grande sorriso, anche in questo caso simile all’ominide africano.

La pietra è di diaspro rosso-marrone con venature di quarzo ed è leggermente sferica, con una dimensione massima di 8 cm. È un oggetto del tutto naturale, modellato esclusivamente dall’acqua del fiume: indagini accurate confermano che non è mai stata scolpita con attrezzi.

Quel che rende la pietra di Makapan una scoperta così eccitante è il fatto che sia stata portata in una grotta da una creatura vivente. I geologi non concordano sulla distanza ma il luogo di provenienza è il letto di un fiume tra i 5 e i 32 km dalla grotta. Le sue dimensioni e la distanza del luogo di ritrovamento dal fiume secondo molti esperti rende improbabile l’ipotesi che a trasportarla sia stato un animale come una scimmia o uno struzzo. Tutti concordano sul fatto che la pietra dev’essere stata portata nella grotta da un australopiteco africano, le cui ossa furono rinvenute nelle vicinanze. Gli archeologi definiscono questi oggetti «manuport», qualcosa che è stato raccolto ma non utilizzato per scopi pratici o modificato. Altri pezzi simili, risalenti a circa 800mila anni fa, sono stati in seguito rinvenuti nell’Africa del Sud e in India.

Giblin conclude che se un australopiteco africano raccolse la pietra, probabilmente la portò alla caverna «perché assomigliava a un viso umano». L’abilità di riconoscere e apprezzare i tre volti umani suggerisce un livello di consapevolezza di sé che in seguito si sarebbe ulteriormente sviluppato con l’Homo sapiens.
 

Martin Bailey, 07 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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