Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliCon due tomi per i quali è lecito ricorrere al pur abusato aggettivo di «ponderosi» prende inizio la pubblicazione del Catalogo generale della collezione d’arte moderna e contemporanea della Fondazione VAF-Stiftung, istituita a Francoforte sul Meno nel 2000 dall’imprenditore e collezionista Volker W. Feierabend. Berlinese classe 1935, Feierabend è legato a triplo filo all’Italia: residente a Milano, nel nostro Paese ha fatto fortuna nell’import-export delle calzature; la sua sterminata raccolta (solo le opere della Fondazione VAF superano abbondantemente le 2mila) è imperniata sull’arte italiana dal Futurismo ad oggi e i capolavori di questa raccolta in continua evoluzione e crescita sono conferiti in comodato al Mart, il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, dove la Fondazione ha la sua sede amministrativa e operativa in Italia.
C’è di più: sua moglie, Aurora, è italiana. «Quando ho iniziato», ha spiegato Feierabend in un’intervista con Marco Meneguzzo, «l’arte moderna italiana era poco conosciuta. Ed è stato un modo per ringraziare l’Italia, che mi aveva consentito l’agiatezza in cui vivevo». Nasce così una collezione che è diventata anche una ricognizione in profondità dell’arte del nostro Paese. Il racconto di Feierabend nel testo in catalogo è anche quello della vicenda di un collezionista che avrebbe voluto evitare il rapporto con i mercanti, acquistando direttamente dagli artisti, scontrandosi però con il problema che gran parte di essi erano morti. «Con il tempo, però, ho appreso che anche il contatto diretto con gli artisti non rappresentava una garanzia di autenticità dell’opera», aggiunge, e cita la disinvoltura con cui de Chirico retrodatava certe opere o si autocitava. «Ho imparato quindi che oltre a un incrollabile entusiasmo, c’è bisogno di un particolare occhio critico e di una profonda capacità di giudizio».
Ecco allora una storia nella storia, quella dei rapporti con i galleristi: Paolo Baldacci e Philippe Daverio «che sono stati al mio fianco quando ho acquistato i capolavori che costituiscono la base della mia collezione». Nella citata intervista Feierabend raccontava come si sarebbe sviluppata la parte cronologicamente più «giovane» della sua raccolta: «Ho frequentato gallerie, in special modo Giorgio Marconi a Milano e Stefano Fumagalli a Bergamo, e musei più degli artisti, con l’eccezione di quelli milanesi che erano vicini; ho cercato di studiare l’artista che mi accingevo a valutare e, almeno all’inizio, non trattavo sui prezzi: ho speso certo molto di più di quel che avrei potuto, ma questo mi ha consentito di essere tra i primi, se non il primo, a essere interpellato quando c’era qualche opera importante sul mercato».
Il suo braccio destro è stato per molti anni Klaus Wolbert (cui il volume è dedicato), già direttore dell’Institut Mathildenhöhe di Darmstadt e presidente della VAF-Stiftung dal 2000 fino alla sua recente scomparsa (l’attuale presidente è il figlio Thorsten A. Feierabend, a capo di un consiglio direttivo formato da Nicoletta Colombo, Elena Pontiggia, Serena Redaelli, Denis Viva e Peter Weiermair), che lo definì una sorta di Casanova del collezionismo, considerata la sua voracità «erotica» nella ricerca e nell’acquisto di un’opera.
Ma Feierabend non è soltanto un collezionista compulsivo: «Ho progressivamente sviluppato un certo fiuto per acquisti molto convenienti, scrive, e ho avuto anche molta fortuna grazie al considerevole incremento di valore di opere della mia collezione. Da uomo d’affari sono stato molto sorpreso nello scoprire che l’arte può essere molto più redditizia di azioni e obbligazioni. Mi sono ricordato di una massima ebraica secondo la quale il modo più propizio per impiegare il proprio capitale è investirne un terzo in opere d’arte, un terzo in immobili e un terzo in pietre preziose. A me bastava l’arte! Per citare un esempio, ricordo quando nel 1975 ho acquistato un importante dipinto di Giorgio de Chirico, “La commedia e la tragedia” datato 1928 per un valore di 80 milioni di lire, circa 40mila euro in valuta corrente. Oggi il valore di questo dipinto non è inferiore a 2-3 milioni di euro».
Fra le 350 opere catalogate in questa prima uscita, dedicata al primo ’900, c’è sì un Afro non ancora astratto del 1942; c’è un Balla colto nel suo passaggio dalla fase divisionista alla maturità futurista; ci sono Carrà (con il celebre «Ciò che mi ha detto il tram» del 1911 ma anche con «Le figlie di Loth», sulla via del Realismo magico); ci sono Casorati, de Pisis, de Chirico (con, tra gli altri, l’«Autoritratto con la madre» del ’22), Arturo Martini, un capolavoro assoluto di Fausto Pirandello («Composizione», 1923), Prampolini, Severini, gli astrattisti gravitanti intorno alla galleria Il Milione (Rho, Radice, Reggiani). Ma la raccolta va a cogliere anche le personalità meno studiate e che però completano la geografia artistica italiana di quegli anni.
Spiega Feierabend: «Con la mia collezione intendo dimostrare che in ogni fase storico artistica è possibile scoprire molteplici espressioni e opere indipendenti e innovative che vanno al di là di quanto già codificato (...). Il panorama storico artistico consiste, piuttosto, in una giustapposizione di tendenze diverse, in una moltitudine di contributi creativi paralleli (...). Larga parte della mia collezione, dunque, vuole rendere omaggio al lavoro di quegli artisti e di quelle correnti che generalmente diventano vittime della post elaborazione selettiva operata da taluni storici dell’arte e che, non si sa per quale ragione, sono spesso lasciati nell’ombra (...)».
Se Daniela Ferrari, nel suo contributo introduttivo, deve necessariamente procedere attraverso un percorso scandito dalle «emergenze» assolute della collezione, le sue schede, raccolte nel secondo tomo, sono una fonte preziosissima di notizie su artisti ignoti o quasi ai manuali di storia dell’arte: Rino Gaspare Battaini, una sorta di Achille Funi che non rinuncia a una forte permanenza della sensualità di una figura femminile dai toni allegorici; un altro «realista magico» come Ugo Celada da Virgilio; Gisberto Ceracchini; alcune voci inquiete nella Metafisica, come Arturo Nathan o Vinicio Paladini; Siro Penagini, di cui ha acquistato un nucleo di 21 opere.
«Per me, continua Feierabend, tutto si riconduce all’originalità, alla qualità e alla forza di persuasione estetica di un’opera artistica finita». Lo ribadisce Thorsten A. Feierabend: «La politica di acquisizione della Fondazione VAF ora tende a ignorare gli eventi post 1945 che hanno determinato l’attuale mainstream. La Fondazione ha ora deciso di rintracciare posizioni e nomi occultati, dimenticati e sottovalutati dell’arte italiana e di riportarli alla consapevolezza pubblica». L’ambizione, dunque, è superare i normali criteri che ispirano il collezionismo: «Non si ha certo l’ambizione di proporre la riscrittura della recente storia dell’arte italiana, continua il Presidente, ma considereremmo un successo se alcuni degli aspetti evidenziati nelle opere collezionate venissero approfonditi nell’insegnamento accademico della storia della disciplina storico artistica».
È intanto in lavorazione il secondo volume del catalogo, la cui cronologia va dal 1946 al 1975, e che dovrebbe uscire nel 2022; il terzo, dal 1976 ad oggi, è previsto per il 2025. La presente edizione, che ha richiesto oltre cinque anni di lavoro e non riporta alcun prezzo di copertina, viene distribuita gratuitamente a musei e istituzioni artistiche internazionali al solo scopo divulgativo, per promuovere la conoscenza dell'attività svolta dalla VAF Stiftung a favore dell'arte italiana. La casa editrice comunica che «chiunque fosse interessato al volume può prendere contatto diretto con la Libreria Bocca - Galleria Vittorio Emanuele II, Milano».
VAF Fondazione/Stiftung. La collezione Primonovecento,
a cura di Daniela Ferrari, due tomi, 733 pp., ill., Manfredi Edizioni, Imola 2021, s.i.p.
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