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La Croce della Porta Santa del Vaticano, donna Olimpia Pamphilj e una chiesina dimenticata di Trastevere

Una scoperta a Roma per Francesco Borromini e Giovanni Battista Calandra

Arabella Cifani

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Una antichissima chiesina di Trastevere conservava da secoli nelle sue corrose mura un capolavoro proveniente dalla Basilica di San Pietro, con alle spalle una storia tutta da raccontare. Protagonisti della vicenda storica e artistica: Urbano VIII, Innocenzo X, Francesco Borromini, Giovanni Battista Calandra e donna Olimpia Pamphilj. Autori della scoperta: un gruppo di bravissimi studiosi e archivisti legati a vario titolo al Vaticano.

Si tratta in realtà di un ritrovamento che ha avuto molti passaggi e in cui gli studiosi si sono passati il testimone l’uno all’altro nella corsa verso la verità. Tutto parte dal grande Archivio della Fabbrica di San Pietro dove la dottoressa Assunta di Sante (che ne è l’archivista), trovò tre anni or sono un documento che da cui risultava che nel 1625 papa Urbano VIII Barberini aveva affidato i lavori di sistemazione della Porta Santa al giovane Francesco Borromini (1599-1667).
L’artista aveva progettato l’assetto decorativo generale della porta e anche la croce esterna che ne doveva suggellare la chiusura e che, come risulta dalla dettagliata descrizione conservata nell’Archivio della Fabbrica, era di marmo giallo, con al centro una piccolissima croce rossa, profilo rosso, listelli bianchi, decorata con cinque api (simbolo araldico dei Barberini), un sole in cima e ai piedi due rami di alloro. I documenti precisavano anche che le parti marmoree della montatura e della piccola croce nel centro erano di Francesco Borromini (1599-1667), mentre i mosaici decorativi erano del piemontese Giovanni Battista Calandra (1586-1644). La descrizione iconografica della croce comprendeva anche l’indicazione precisa delle misure.
Trovato il documento mancava però la croce e a questo punto entra in scena la dottoressa Veronika Seifert che invia a tutte le famiglie nobili di Roma una lettera domandando loro se avessero per caso nelle loro proprietà e cappelle private oggetti e decori in mosaico minuto. Fra i tanti rispose la famiglia Pamphilj segnalando che in una chiesina di loro proprietà, Santa Maria in Cappella nel Rione di Trastevere, vi era effettivamente una croce che meritava di essere studiata.
Il sito della chiesa, fondata nel 1090, comprendeva anche una villa (con annesso ospedale per i poveri pellegrini) e il famoso giardino pensile sul Tevere ove donna Olimpia Doria Pamphilj si recava per fare i bagni nel fiume. Fino all’anno scorso non era praticamente visitabile. L’edificio sacro, ricco anche di reperti romani e medievali, custodisce ancor oggi, alla destra della porta di ingresso, la splendida croce in mosaico e marmo; comparata con i bozzetti borrominiani della Porta Santa, parte esterna, è risultata essere proprio quella della chiusura del Giubileo del 1625. La croce riscoperta misura circa 69×43 cm; anche se non in perfette condizioni, brilla per l’eleganza della sagoma e per lo splendore smalteo tipico delle opere musive del Calandra: un’opera di impatto simbolico e artistico assai forte.
Il suo trasferimento nella chiesina di Santa Maria in Cappella si lega a doppio filo alla figura turbinosa e quasi leggendaria di donna Olimpia, che fu la effettiva padrona di Roma durante tutto il periodo del pontificato del cognato, papa Innocenzo X (1644-1655).

Olimpia aveva acquistato i terreni lungo il Tevere posti vicino alla chiesa per farci «un giardino di delizie» che ornò di piante rare e di oggetti preziosi (fra cui la «lumaca» realizzata da Gian Lorenzo Bernini nel 1653 per la fontana di piazza Navona, ma dirottata su ordine del papa Innocenzo X, verso il giardino della cognata). Nel 1654 il papa conferì a Olimpia anche il giuspatronato della Chiesa di Santa Maria in Cappella. Conoscendo i rapporti strettissimi che legavano Innocenzo X, fin dal tempo in cui era solo cardinale, alla intelligente e volitiva cognata, è facile capire perché la croce della Porta Santa della Basilica di San Pietro possa essere stata trasportata a Santa Maria in Cappella della dama che a Roma svolse per molti anni il ruolo che era stato dei «cardinali nipoti», godendo di un potere sterminato. Le cronache ricordano, ad esempio, che donna Olimpia pretese e ottenne di essere in prima fila, accanto al Papa, all’apertura della Porta Santa nel 1650, con uno scandalo epocale, e forse fu proprio in quell’occasione che vide la bella croce che veniva smontata e decise di servirsene.
Dopo la morte di donna Olimpia nel 1657, la chiesa e l’ospedale conobbero una fase di oblio. Nel 1796 il principe don Andrea Doria Pamphilj (1747-1820) concesse l’uso della chiesa per aiutare spiritualmente e materialmente i marinai che approdavano nel vicino Porto di Ripetta e durante l’Ottocento sempre i Pamphilj trasformarono i fabbricati che erano stati di donna Olimpia nell’Ospizio di Santa Francesca Romana e la Chiesa di Santa Maria in Cappella diventò centro di un’attività caritativa molteplice. La Croce restò così per quasi quattrocento anni nella chiesa, dimenticata fino al suo ritrovamento.

Un pregevole volume edito in occasione del Giubileo Straordinario della Misericordia, stampato pochi giorni prima del Natale 2016, curato da Assunta Di Sante e Simona Turriziani, direttrice dell’Archivio della Fabbrica, ha portato, attraverso inedite e originali ricerche condotte nell’Archivio della Fabbrica di San Pietro, a nuove conoscenze su questo ineguagliabile cantiere della Basilica di San Pietro (Quando la fabbrica costruì San Pietro. Un cantiere di lavoro, di pietà cristiana e di umanità XVI-XIX secolo, a cura di Assunta Di Sante e Simona Turriziani, Foligno 2016).
Fra i temi presentati, ecco appunto anche la storia della Croce della Porta Santa. Nell’occasione Paolo di Buono ha potuto appurare che fu eseguita dal Calandra a «mosaico filato»: una tecnica che finora si riteneva fosse stata usata solo a partire dalla seconda metà del Settecento. Nascosta, quasi dimenticata per lungo tempo nella appartata Chiesa di Santa Maria della Cappella, la celebre Croce della Porta Santa è ora finalmente riemersa.
A Roma, lo abbiamo imparato in anni di studio in Vaticano, quasi nulla va in realtà smarrito e ogni cosa può tornare dalle profondità del tempo con il suo fascino segreto.


Quando la fabbrica costruì San Pietro. Un cantiere di lavoro, di pietà cristiana e di umanità XVI-XIX secolo, a cura di Assunta Di Sante e Simona Turriziani, 592 pp, Edizioni Il Formichiere, Foligno 2016, € 35,00

Alessandro Algardi, Ritratto di donna Olimpia Pamphilij

L'esterno della chiesa di Santa Maria in Cappella a Trastevere

rancesco Borromini e Giovanni Battista Calandra, Croce del Giubileo del 1625, Roma, Santa Maria in Cappella

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Arabella Cifani, 09 gennaio 2017 | © Riproduzione riservata

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