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Franco Fanelli
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Le lettere di Claudio Parmiggiani a Luisa Laureati
«La convinzione che sia l’opera, la parola» e il culto del silenzio («silenzio come materia per l’opera» come parola oggi «eretica , sovversiva», perché il silenzio «è uno spazio meditativo») non impediscono a Claudio Parmiggiani (Luzzara, 1943) di affidare spesso le sue riflessioni alla parola scritta, in raccolte di brevi testi come Una fede in niente ma totale (edizioni Le Lettere, 2010) o Stella, sangue, spirito (Pratiche Editrice, 1995).
La scrittura dell’artista è figlia della poesia del ’900, tra esistenzialismo ed ermetismo (trapela, tra gli altri «padri», la dolente radicalità di Paul Celan): rimane tale anche in sede epistolare, come nelle Lettere a Luisa pubblicate in una preziosa edizione da Magonza (151 pp., € 78,00). La destinataria è Luisa Laureati Briganti, titolare della storica Galleria dell’Oca, attiva sino al 2008. La prima lettera è dell’11 dicembre 2004, scritta da Praga, nella quale Parmiggiani risponde all’invito a un incontro, primo atto di un rapporto che trascenderà, per profondità di comunicazione e intenti, quello tipicamente professionale che intercorre abitualmente tra artista e gallerista: «Ho, sì, un certo timore», spiega il mittente; «e questo nasce (...) dalla consapevolezza di misurarmi su un piano elevato, esigentissimo; questo mi affascina». L’ultima, del 17 gennaio 2014 dall’«eremo» di Torrechiara, non ha più nulla della lettera classica: è un commiato in cui s’intrecciano una poesia e il racconto di un viaggio onirico: «Il pennello dei sogni consuma il tuo pittore. Giorno dopo giorno, di pietra in pietra, di stella in stella».
Questo epistolario in cui sono assenti le lettere di risposta si tramuta in una nuova raccolta di pensieri e versi liberi: l’autore ha del resto «limato» i testi ed emendato le parti legate a questioni pratiche o aneddotiche, come spiega nella colta postfazione Andrea Cortellessa, che definisce il volume alla stregua di un «libro segreto». I viaggi (a Cuba, in Islanda, dove nel 2000 Parimiggiani ha realizzato un suo «Faro», a Tel Aviv), gli incontri (come quello con uno stanco Eliseo Mattiacci), le letture, le mostre, gi autori amati, da Nietzsche a Emilio Villa, da Florenskij ad Agostino di Ippona (prezioso l’indice analitico per l’identificazione di tutti i personaggi citati) rappresentano i punti di riferimento spazio-temporali per orientare il lettore in questo flussso di riflessioni (squarciato all’improvviso dallo strazio per la morte prematura della giovane moglie Elena, conosciuta tramite la stessa Luisa Laureati: «Cos’è la dignità, se non il pianto?») che hanno come filo conduttore la difficile messa a fuoco dell’identità di un artista attivo nel secondo millennio, figlio di una formazione, di una cultura e di una tradizione che la barbarie del presente non sembra riconoscere e forse irride. Insieme, emerge la fede nei valori su cui si fondano l’opera e la vita di un artista che ha scelto il silenzio non come chiusura, bensì come porta verso la profondità (complice, come nei versi dell’Eneide, il sogno). La «cognizione del dolore» indicata nella prefazione da Laura Cantone non indebolisce questa «irriducibile resistenza». Del resto, spiega l’artista del silenzio e il pittore dell’assenza, «ovunque io guardi c’è bisogno di una parola per vivere».
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