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«Perugino amore mio», 1970, di Gino Marotta

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«Perugino amore mio», 1970, di Gino Marotta

Metafisica metacrilata

Quindici opere di Gino Marotta in una personale da Erica Fiorentini

Francesca Romana Morelli

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Nel maggio 1968 a Roma, Plinio De Martiis conclude l’attività della Galleria della Tartaruga con il «Teatro delle mostre»: ogni giorno un artista interviene con un happening. Gino Marotta (1935-2012) crea una «Foresta di menta», file serrate di fettucce di plastica che scendono dal soffitto, che i visitatori attraversano fino a uscirne.

Negli anni Sessanta Marotta, come Pascali, Festa, Tacchi, utilizza materiali industriali usati nella vita quotidiana, per creare degli artifici barocchi della natura. Un focus su Marotta è proposto da Erica Fiorentini, con una mostra a cura di Laura Cherubini, dal 10 ottobre all’11 febbraio.

Una quindicina le opere: dai bandoni di ferro alle tele, fino alle sculture in metacrilato, che raffigurano palme e animali esotici le cui sagome tridimensionali, colorate e trasparenti, interagiscono con lo spazio e la luce. «L’artista spiegò come l’uso combinato del metacrilato e della luce artificiale operino una messa a nudo del meccanismo del pensiero, dichiara la curatrice. Attraverso il metacrilato l’immaterialità della luce diviene materia».

Tra le opere, il dittico «Perugino amore mio» (1970), dove un particolare fotografico di un paesaggio del pittore umbro è avvicinato alla riproduzione dello stesso soggetto in metacrilato su legno.
 

«Perugino amore mio», 1970, di Gino Marotta

Francesca Romana Morelli, 09 ottobre 2018 | © Riproduzione riservata

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Metafisica metacrilata | Francesca Romana Morelli

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