Stefano Causa
Leggi i suoi articoliSi può ancora tirar fuori un libro che ritorni in mente una volta chiuso? Che obblighi ad arresti e continue sottolineature (si dice ancora crivellare una pagina di annotazioni?), in un dialogo vivificante, sanamente rissoso, che oltrepassi la delibazione di frasette sui social? Ci riesce Luca Beatrice (1961), scrittore, storico d’arte senza trattino, cresciuto nell’Italia settentrionale con frequenti discese nel Sud. L’autore, che ha forgiato i materiali della propria educazione sentimentale negli anni Ottanta tra Milano, Torino e i padiglioni della Biennale, prova a offrirci la sua versione del panorama di fine secolo e di questo primo quarto entrante.
Si affida così al format delle Vite vasariane, uno dei romanzi sconosciuti dell’Italia moderna che ci ostiniamo a leggere in senso strumentale come una Garzantina. Su queste stampelle ordina un dossier ricchissimo, scansionandolo sotto forma di medaglioni biografici limitandosi agli artisti conosciuti di persona personalmente. Anche se, e stavolta è Marcel Proust e non Catarella a rimarcarlo, uomo e creatore appartengono a campi da gioco diversi. Meglio non conoscerli gli artisti per non incappare in delusioni e cadute di tono (non so quanto aiuti la familiarità con la metodica sregolatezza di Schifano a decifrare il lessico di chi, nelle giocate migliori, sta a Jasper Johns come Umberto Boccioni a Cézanne).
Paul Valéry ripeteva che non ci si ubriaca con le etichette di bottiglia e questo libro di Beatrice, geniale e torrenziale, si sposta di continuo ogni volta che si provi a definirlo. Si tratta di un’autobiografia neanche tanto «en travesti». Ma anche di una storia dell’Italia recente dalla più proficua delle angolazioni. Di un rendiconto di primissima mano sugli anni Ottanta (da accompagnare a un Weekend postmoderno di Pier Vittorio Tondelli come Vita agra di un anarchico di Pino Corrias raccontava il secondo dopoguerra dall’angolo di Luciano Bianciardi).
Poi ci si squaderna un utile controcanone dove, come in ogni playlist che si rispetti, fanno più chiasso («alluccano» direbbe la napoletana Betty Bee) gli assenti dei presenti (continuo a pensare che il lavoro di Ciprì e Maresco, dalle strisce di «Cinico Tv» fino a «Totò che visse due volte», sia l’ultima cosa davvero squassante dell’Italia di fine millennio). A conti fatti le Vite di Beatrice, uscito da poco, è un libro che morde e punge e questa è una forma superiore di intelligenza; l’unica possibile sul mercato, oggi svalutatissimo, della parola scritta.
Le vite. Un racconto provinciale dell’arte italiana,
di Luca Beatrice, 320 pp., Marsilio, Venezia 2023, € 19
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