A proposito della morte di Raffaello

Quando si creano grotteschi cortocircuiti dell'informazione

«Autoritratto», di Raffaello Sanzio. Foto tratta da Wikipedia
Pier Luigi Panza |

Un ricercatore di medicina della Bicocca, con altri ha pubblicato su «Internal and Emergency Medicine», la rivista della Società italiana di medicina interna (Simi), un articolo intitolato «The death of Raphael: a reflection on bloodletting in the Renaissance», pubblicato con tutto l’armamentario pseudoscientifico stile Anvur, ovvero a più mani, in inglese, in rivista per-review, con codice Doi Ecc. Ma, sotto il vestito, nulla.

L’Ansa, certamente senza leggere l’articolo e a cascata la solita ridda di giornali e siti hanno ripreso (cioè copiato uno dall’altro) una dichiarazione abbastanza lasca dell’autore secondo la quale, studiando le fonti dell’epoca (!) si desume che Raffaello sarebbe morto forse di polmonite e a causa dei salassi. Come dire: forse aria fritta. L’aspetto abbastanza comico è che gli autori del saggio «scientifico» (!)  citano in bibliografia cinque «fonti» sulle quali hanno basato le loro considerazioni (non hanno fatto analisi autoptiche sui resti).

Sono Vasari, nemmeno nell’editio princeps ma in una edizione inglese del 1913 (!) tanto che, sulla base di questa versione globalista e internazionale che piace all’Anvur, la citazione da Vasari sulla morte di Raffaello risulta approssimativa. E poi una pagina da Campori (1863) due da Portiglotti (1920), il catalogo del compianto De Vecchi (1966) e una citazione erudita da Fracastoro (1591).

Questo vuol dire che gli autori, oltre ovviamente a non aver visto manoscritti noti ne trovati dei nuovi sulla morte di Raffaello (impossibile), non hanno neppure consultato l’opera in due volumi, di mille pagine che raccoglie tutti gli scritti da documenti d’archivio su Raffaello, ovvero la monumentale raccolta di fonti su Raffaello alla quale John Shearman dedicò tutta la vita.

E dove si trovano numerosi, e non solo uno, pareri di erudite ambasciatori sulla morte di Raffaello dalla somma dei quali, ovviamente, non si può dedurre nulla di certo sulle ragioni della morte. I salassi erano pratica ovvia all’epoca e se ne accenna in una fonte, già edita appunto in Shearman ecc. ecc. Chi ha dimestichezza con le fonti dell’epoca sa benissimo l’approssimazione dei termini, la difficoltà di ricondurli a qualcosa di scientifico. Insomma, più che scienza è aria fritta.

Dico questo non per prendermela, in specifico, con l’autore (massimo rispetto) ma con i metodi universitari e giornalistici. Le riviste, anche di classe A, valutano con per-review farlocche, i revisori guardano gli apparati e dei contenuti nulla sanno, tanto più dei medici che finiscono col dover valutare fonti di storiografia artistica. Le agenzie di stampa, invece, poiché l’osservazione sarebbe basata su pubblicazione scientifica (che non conoscono né leggono) la sparano subito come verità affermativa. Così si creano grotteschi cortocircuiti stile quelli dei virologi: scoperto come è morto Raffaello!

Signori, come sia morto con esattezza Raffaello le fonti manoscritte del ’500 non sono in grado di dircelo. I resti sono già stati riesumati due volte, forse mischiati, con analisi pseudo autoptica nel 1833, con tanto di misurazione del corpo (alto poco più di un metro e sessanta). Adesso non si leggono le fonti, sarebbero inutili analisi autoptiche, ma si da per scientifico ciò che è solo procedura Anvur! Ragazzi: guardiamo i quadri di Raffaello e godiamoceli; raccontiamo la sua leggenda come a partire dal Vasari (troppo amore, nuovo Cristo...) senza travestirla da scienza da filologi imparaticci.

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