Giorgio Guglielmino
Leggi i suoi articoliLa galleria Mazzoleni nel suo spazio di Old Bond Street ha aperto in concomitanza con Frieze una mostra composta da 12 quadri tutti degli anni Settanta: 6 tele bianche di Agostino Bonalumi (1935-2013) e 6 tele sulle tonalità tra il grigio scuro e il nero del coreano Lee Seung Jio (1941-90). La mostra «The Paradox of Proximity: Agostino Bonalumi and Lee Seung Jio» (sino al 30 novembre), curata da Marco Scotini e organizzata congiuntamente alla Kukje Gallery di Seul, è degna di un museo per la qualità delle opere, la raffinatezza degli accostamenti e la visione di due artisti geograficamente così distanti ma dotati di una sensibilità sorprendentemente simile nei confronti dell’importanza rivestita dalla luce in relazione alle loro opere. Bonalumi è protagonista anche della grande retrospettiva che la galleria presenta dal primo novembre al 3 febbraio 2024 nella sua sede torinese, «Agostino Bonalumi: il Teatro delle Forze», incentrata su una delle stagioni più prolifiche del maestro milanese, dalla fine degli anni Sessanta fino agli anni Settanta, con sculture, ambienti e i costumi concepiti per il teatro. Abbiamo intervistato Luigi Mazzoleni sulla mostra londinese e sulle prospettive future della galleria.
Com’è nata la vostra collaborazione con la Kukje Gallery di Seul?
La collaborazione ha avuto due momenti distinti. Anni fa ho avuto occasione di conoscere una persona che lavorava in galleria. Ci siamo incontrati e ci siamo piaciuti a livello di progetti che stavamo mettendo in piedi e ci abbiamo detti: «Perché non facciamo qualcosa insieme sull’arte italiana e l’arte coreana a Frieze Masters a Londra nel 2021?». È stato un progetto che ha avuto successo. In seguito, durante la prima edizione di Frieze in Corea, sono andato a visitare la grande retrospettiva di Lee Seung Jio che la Kukje Gallery ha presentato nei loro spazi e sono rimasto folgorato perché ho notato immediatamente le similitudini con alcuni nostri artisti, non solo con Bonalumi ma anche con Getulio Alviani. Andando a scavare a fondo ho pensato che tutti questi giochi di luci e ombre con cui Bonalumi lavorava negli anni Settanta potevano essere un punto di contatto. Abbiamo poi contattato Marco Scotini, che in qualità di curatore della mostra ha scelto le opere che sono qui esposte: il bianco in Bonalumi e le opere scure di Lee Seung Jio.
Questa potrebbe essere la stanza di un museo.
Questo è esattamente il mio intento. Quando abbiamo aperto la galleria a Londra nella precedente sede di Albemarle Street, con uno spazio espositivo su due piani dove poter presentare fino a trenta opere, ho pensato che fosse prima di tutto importante farsi conoscere a livello internazionale mediante importanti retrospettive. La visione di più lungo termine era quella di passare a una galleria ubicata a un primo piano dove organizzare progetti ad hoc. La prima mostra con la quale abbiamo aperto il nuovo spazio era tutta di lamiere di Bonalumi. La galleria appare quindi come la sala di un museo, estremamente curata e con un progetto ben definito. Se il curatore è bravo, come in questo caso, il risultato sono mostre spettacolari.
Questa mostra si trasferirà successivamente a Seul?
Ne stiamo parlando, mi piacerebbe molto. Potrebbe andare anche a New York e potrebbe funzionare molto bene perché in America Bonalumi ha già un suo mercato, mentre in Asia finora è mancata una sua presenza. Quest’anno abbiamo venduto una sua opera a Frieze Seul ma ci vorrebbe una galleria di riferimento, perché non è attraverso una fiera che puoi far conoscere come si deve un artista.
Parlando di progetti futuri, se la Galleria Mazzoleni dovesse aprire una nuova sarebbe negli Stati Uniti o in Asia?
A Hong Kong, senza dubbio. Quando ho partecipato a Frieze Seul per la prima volta ho pensato che Seul avrebbe «portato via tutto» a Hong Kong. Poi, dopo tre anni di assenza, lo scorso marzo sono tornato a Hong Kong: la città è «un altro pianeta», dove è stato aperto il museo M+ che penso sia il più grande museo d’arte che io abbia mai visto e dove penso possano essere organizzate dieci mostre contemporanemanente. Anche New York è ovviamente una bella piazza, che però si sta spostando molto sul contemporaneo più che sul moderno. In Cina ho notato un interesse anche per i classici, da de Chirico a Chagall. Sembra che sia un mercato molto più da sviluppare. In Europa invece non aprirei da nessun’altra parte dopo Londra.
Soddisfatto della partecipazione a Frieze Seul?
A Seul il primo anno non sapevo nulla e ho portato di tutto: de Chirico, Morandi, Fontana, Chagall e il risultato è stato zero. Però ho visto la clientela, ho conosciuto dei collezionisti e ho capito che in Corea hanno un’estetica estrema, elegante, curata nei minimi dettagli. Quest’anno per Frieze Seul ho ideato un progetto a tre nomi: ho portato Nunzio, Bonalumi e Salvo e ho venduto bene tutti e tre gli artisti. Ho capito che bisognava portare qualcosa che fosse esteticamente nelle loro corde e le sculture di Nunzio sono state particolarmente apprezzate.
Prossimi progetti?
Una mostra museale di Bonalumi, a dieci anni dalla morte; al resto ci stiamo lavorando.
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