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Flavio Pozzallo (a sinistra) nel suo stand all'ultima edizione di Flashback

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Flavio Pozzallo (a sinistra) nel suo stand all'ultima edizione di Flashback

Colpevole di essere antiquario

Una sentenza incredibile: il giudice castiga dopo vent’anni l’acquirente in asta pubblica di tre sculture che per anni ha prestato ed esposto nei musei

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Redazione GDA

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Nel novembre del 2002 tre sculture in legno policromo raffiguranti la Vergine, san Giovanni Evangelista e la Maddalena vennero messe in asta a Venezia da Semenzato. Erano presentate come parte di un Compianto eseguito nell’ultimo quarto del XV secolo da uno scultore lombardo, ipoteticamente identificato nel cosiddetto Maestro di Santa Maria Maggiore.

Ad aggiudicarsi l’opera fu, assieme alla moglie, Flavio Pozzallo, un antiquario e collezionista della Valle di Susa molto rispettato per la sua competenza e la sua passione per la scultura lignea medievale. L’antiquario ne promosse immediatamente lo studio e il restauro, che fece eseguire nel laboratorio D’Antonio di Torino sotto il controllo amichevole di Paolo Venturoli, riconosciuto studioso di scultura lombarda del Rinascimento e all’epoca ispettore della Soprintendenza piemontese.

Lo studio venne affidato a Vittorio Natale che ne curò nel 2004 la pubblicazione nel catalogo della mostra «Antiquari a Stupinigi» e ne propose l’attribuzione al Maestro dei Compianti, nome convenzionale per contraddistinguere uno scultore lombardo ancora anonimo attivo nei primi decenni del Cinquecento.

L’anno successivo il gruppo venne concesso in prestito gratuito alle Civiche Raccolte d’Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano grazie al direttore Claudio Salsi che aveva manifestato il suo interesse per l’acquisto, prospettando un impegno finanziario diluito nell’arco di tre anni. Le statue rimasero esposte nel museo milanese per sette anni, ma la cessione al museo non fu mai perfezionata.

Nel 2007 Paolo Venturoli riconosceva come parte dello stesso gruppo anche una Pia donna, attualmente di ubicazione sconosciuta, che aveva individuato nel catalogo di una mostra curata da Enzo Carli a Campione d’Italia nel 1982. Nel 2012 Salsi comunicava a Pozzallo di aver segnalato al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Artistico (TPA) «di essere venuto a conoscenza della provenienza ecclesiastica delle tre statue lignee». Aveva infatti riconosciuto l’intero Compianto in un’immagine dell’interno della Chiesa di Santa Maria di Casoretto pubblicata in un articolo del 1925.

L’estensore dell’articolo, Agnol Domenico Pica, precisava che nel Compianto «una stucchevole convenzionalità grava su tutta la composizione, le figure prive del fremito della vita fissano il vuoto..., fiaccamente vi è espresso il dolore»; e ancora: «Il Gruppo ligneo di Casoretto esce dall’arte popolare di quei figurinai lombardi che, ispirati forse dalle sacre rappresentazioni, ci diedero numerosissime creazioni». Fu ancora Salsi infatti a rendere noto sulla rivista del Castello Sforzesco in quello stesso 2012, che il gruppo era stato «rimosso dalla Chiesa di Casoretto “per ordine della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia durante i restauri alla chiesa”, secondo Eugenio Cazzani, in occasione dei lavori dei primi anni Quaranta del Novecento», quando anche la «cappella è stata cancellata dai rimaneggiamenti intervenuti nella struttura interna».

Da quel momento iniziava un incubo per Pozzallo per il suo acquistato anni addietro in un’asta pubblica, senza che gli organi preposti alla tutela, Soprintendenza e Nucleo Carabinieri, ne avessero ostacolato la vendita o contestato irregolarità circa la liceità della loro provenienza, tantomeno quando l’aveva fatta restaurare e studiare sempre sotto la vigilanza delle istituzioni.

Nonostante l’evidentissima buona fede, Pozzallo veniva indagato dal Nucleo Tutela dei Carabinieri addirittura per «ricettazione». Perché? Perché davano per scontato che, proprio in quanto antiquario, fosse colpevolmente «a conoscenza della provenienza illecita delle sculture», e quindi non poteva ignorare l’illegittima provenienza delle tre statue che venivano dunque sequestrate e affidate alla custodia dello stesso Museo del Castello Sforzesco di Milano nella persona del direttore Salsi.

L’Arcidiocesi di Milano, informata dal Nucleo Tutela, chiedeva la restituzione del gruppo del quale aveva in precedenza permesso di fatto l’alienazione (la possibilità di un furto è infatti esclusa dall’assenza di ogni denuncia). Nel 2016, dopo ben quattro anni, il gip disponeva l’archiviazione del procedimento penale nei confronti di Pozzallo, poiché tutti i reati ipotizzati risultavano prescritti, e stabiliva che fosse la giustizia civile ad accertare a chi dovessero appartenere le statue che intanto dovevano restare sotto sequestro.

Nel procedimento civile la Parrocchia di Casoretto non solo respingeva ogni tentativo di accordo, ma rivendicava invece la restituzione delle statue che nel frattempo, costosamente restaurate e studiate, avevano acquisito una considerevole plusvalenza. Un’imbarazzante pretesa dato che con ogni probabilità negli anni Quaranta erano state alienate proprio dal parroco di allora, forse per finanziare lavori di ammodernamento della chiesa.

Nel frattempo si apprendeva che le tre statue erano state acquistate negli anni Sessanta dai Monzino, importante famiglia milanese già proprietaria della catena di supermercati Standa. Carlo Monzino le aveva destinate ad arredare l’ex Abbazia di San Gregorio sul Canal Grande di Venezia di sua proprietà. Qui compaiono, ad esempio, in una foto che correda un invito a un ricevimento letterario nel settembre del 1985, e ancora nel catalogo di una mostra del 1996. Dopo 7 interminabili e dispendiosi anni la sconcertante sentenza pubblicata il 12 marzo di quest’anno.

Commenta Pozzallo: «Ciò che maggiormente stupisce nella sentenza non è unicamente il fatto che le statue vengano restituite alla proprietà della parrocchia di Casoretto (la quale, fra l’altro, le aveva già concesse in deposito al Museo del Castello quando non ne aveva ancora la proprietà giuridica), ma soprattutto che venga negata, in maniera incomprensibile e preoccupante per tutti i collezionisti di arte antica, la mia evidente buona fede e che non mi venga riconosciuto alcun diritto di usucapione».

Leggiamola questa inverosimile sentenza. Per quanto riguarda la buona fede, accogliendo l’impropria valutazione del Nucleo Tutela dei Carabinieri, esplicita sostanzialmente che essa andrebbe riconosciuta «a chi acquista solo occasionalmente oggetti d’arte», ma non a un antiquario «il quale, invece, è tenuto a prestare maggiore attenzione alla provenienza dell’oggetto, verificando che l’intera catena dei passaggi di proprietà tra lui e i suoi danti causa sia avvenuta nel rispetto di quanto previsto dalla legge».

Per il giudice lo stesso soggetto e l’epoca delle statue avrebbe di per sé dovuto generare «il sospetto della possibile provenienza delle stesse da una chiesa» e pertanto Pozzallo «avrebbe dovuto svolgere maggiori ricerche circa la provenienza e la natura dei beni in questione».

Avete capito? Nel breve spazio di tempo intercorso tra la pubblicazione del catalogo d’asta e la vendita, l’antiquario avrebbe dovuto miracolosamente appurare una provenienza che negli anni successivi le approfondite ricerche di studiosi come Vittorio Natale, Paolo Venturoli e, inizialmente, Claudio Salsi, non sarebbero riuscite a individuare, così come nessun organo di tutela aveva mai avanzato sospetti dalla comparsa in asta fino al momento della segnalazione, di Claudio Salsi: dieci anni dopo! Non basta.

Per quanto riguarda l’usucapione ventennale la sentenza non giudica sufficienti i documenti prodotti, che dimostrano il possesso delle sculture da parte della famiglia Monzino presso l’abbazia veneziana di San Gregorio almeno dal 1985 e implicitamente sostiene che il possessore di un’opera di provenienza religiosa dovrebbe conservare tutti i documenti legali dei precedenti passaggi di proprietà e di possesso dell’opera d’arte se non vuole correre il rischio dopo decenni di un sequestro e di una denuncia. Dulcis in fundo. L’ultima riga della sentenza condanna il povero Pozzallo e signora anche al rimborso delle spese di lite «liquidate in € 19.950, oltre accessori dovuti»... Firmato: il Giudice Caterina Canu.

Redazione GDA, 24 agosto 2020 | © Riproduzione riservata

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