Luca Fiore
Leggi i suoi articoliParis Photo è il grande circo della fotografia mondiale. Ci sono i nani, le ballerine, gli acrobati, la donna cannone ma anche tanta ottima fotografia del passato e del presente. Tutti vogliono essere qui e chi resta a casa se ne dispiace (a meno che non lo si noti di più se non viene). Inutile cercare tendenze artistiche o di mercato, così, per raccontare la fiera, meglio giocare ad assegnare gli Oscar. Un gioco divertente, che può essere l’occasione anche di dire qualcosa di serio.
Miglior allestimento
Lo stand meglio allestito è quello congiunto di Les galeries Binome e Magnin-A dedicato al progetto «Being There», frutto della collaborazione tra Lee Shulman/The Anonymous Project e Omar Victor. The Anonymous Project è una collezione di fotografie vernacolari della Francia dei «Trente Glorieuses», i tre decenni di boom economico tra il 1945 e il 1975. Le immagini sono esposte come stampe, come assemblaggi di diapositive selezionate per colore, o addirittura in confezioni da gioiello. Un mix di documentazione, ricerca artistica sugli archivi e installazione. Un esempio evidente di come la fotografia sia un medium obliquo e cangiante.
Miglior curiosità per collezionisti
Non è detto che il collezionista di fotografia debba per forza portarsi a casa la classica stampa vintage o a edizione limitata. La Howard Greenberg Gallery di New York propone le maquette per il libro A Dialogue with Solitude di Dave Heath (1931-2016), un volume leggendario pubblicato nel 1965. Heath accosta le sue immagini struggenti a citazioni di grandi autori, che ne esaltano la forza evocativa. «È una legge terribile, inesorabile, scrive James Baldwin, che non si possa negare l’umanità di un altro senza sminuire la propria: nel volto della propria vittima si vede sé stessi». Nella pagina accanto vediamo un’immagine di Heath che mostra un gruppo di persone in un museo mentre osservano una crocifissione. Tra loro un ragazzino di colore che guarda in camera e ci fissa negli occhi.
Miglior progetto curatoriale
Paris Photo propone la sezione «Curiosa» dove vengono selezionati i progetti di artisti emergenti che hanno la possibilità di allestire piccole mostre riassuntive del proprio lavoro. Il migliore, a nostro avviso, è quello dell’ucraina Yelena Yemchuk, presentato da Kominek di Berlino. Le due pareti a disposizione sono state allestite a mo’ di quadreria, presentando immagini che appartengono a diversi progetti dell’artista. A prima vista potrebbe sembrare un’affollata mostra collettiva, tanti e tali sono gli stili frequentati da Yemchuk: colore, bianco e nero, collage… Reportage classico, fotografia introspettiva, sperimentazioni giocose. Sembra un omaggio alla fotografia. In realtà è un saggio di libertà dagli schemi e di apertura mentale.
Miglior editore
La notizia dal mondo dell’editoria di fotografia è il matrimonio tra Michael Mack, fondatore di Mack, e Bruno Ceschel, fondatore di Spbh Editions: martedì è stata annunciata una nuova collaborazione che vedrà il prestigioso editore londinese distribuire i libri dell’editore corsaro e visionario. In fiera tutti sono curiosi di sapere che cosa porterà questa singolare joint venture. Ma se devo scegliere l’editore dell’anno, il nome è Chose Commune, della marsigliese Cécile Poimboeuf-Koizumi. Il suo ultimo titolo è «Insieme» di Mark Steinmetz e Irina Rozovsky, che presenta il lavoro della coppia di fotografi americani realizzato in Veneto e in Puglia nel 2021. Altro volume importante è quello del marito di Poimboeuf-Koizumi, Vasantha Yogananthan, Mistery Street. Yogananthan è la vera rivelazione del 2023, con le mostre alla Fondation Cartier-Bresson di Parigi e all’International Center of Photography di New York.
Miglior libro
Per trovare il miglior libro, bisogna uscire dal Grand Palais Éphémère e andare alla fiera dell’editoria indipendente Polycopies. Qui Clint Woodside di Deadbeat Club ha portato «Resurfacing» di Maude Arsenault. Un volume intimo, delicato, lirico. Le immagini in bianco e nero e quelle a colori si alternano in un ritmo perfetto, l’editing propone accostamenti di una eloquenza sottile ma convincente. I corpi e le nature morte si susseguono senza che si percepisca una disomogeneità di linguaggio. C’è un’energia tutta particolare che scorre tra le pagine. Di Arsenault, Deadbeat Club ha ristampato il suo libro d’esordio, «Entangled», un’altra perla che da tempo era andata fuori catalogo.
Fotografia più bella
In una fiera la fotografia più bella, di solito, è quella che ci vorremmo portare a casa e non abbiamo i soldi per farlo. Pistola alla tempia, scelgo «Landscapes for the Homeless #38» (1990) di Anthony Hernandez, vista nello stand della Yancey Richardson Gallery. L’immagine mostra una vecchia giacca appesa a una trama di rami. L’indumento è consunto, di un grigio che tende al viola e su di esso si è posato quello che sembra del polline giallo. Un senso di abbandono s’intreccia con un’atmosfera regale. L’assenza della persona dentro la giacca ne testimonia la presenza. Miseria e nobiltà. Sconfitta e gloria. Lacrime e gioia.
Fotografia più scontata
Quando ho visto il grande ritratto quadrato di Sinéad O’Connor realizzato da Herb Ritts a Malibu nel 1990 appeso alla parete esterna dello stand della galleria Hamiltons ho provato un senso di disagio. La foto è meravigliosa. Lei è meravigliosa. Ma usare l’onda emotiva della scomparsa di una celebrità così fragile e sfortunata per attirare collezionisti mi è sembrato di cattivo gusto. La fotografia ha sempre a che fare, in qualche modo, con la morte. Ma la morte esige anche pudore, please.
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