Marco Riccòmini
Leggi i suoi articoliL’artista, scriveva Joseph Conrad (1857-1924) nella prefazione al suo Il negro del “Narciso”, parla alla nostra capacità di gioire e meravigliarci, si rivolge al nostro senso di pietà, di bellezza e di dolore; al sentimento latente di comunione con tutto il creato; e alla sottile ma invincibile convinzione della solidarietà... nei sogni, nella gioia, nel dolore, nelle aspirazioni, nelle illusioni, nella speranza, nella paura, che lega gli uomini gli uni agli altri» (1897).
Nonostante la forza del testo, destinato a restare tra le pietre miliari della letteratura mondiale, per l’edizione americana l’editore Dodd, Mead & Co. lo convinse a modificare il titolo in I figli del mare, non certo per uno scrupolo politically correct ante litteram, bensì perché riteneva che un libro sulla storia di un uomo di colore (il protagonista James Wait è un afroamericano delle Indie occidentali) sarebbe stato un fiasco commerciale.
Eppure, dall’altra parte del mondo, suppergiù negli stessi anni nei quali lo scrittore polacco dava alle stampe il suo best seller, la curiosità per un uomo dalla pelle scura teneva desta una piccola élite culturale. Parliamo della storia per immagini di Pierre Louis Alexandre (1844-1905), un nero noto come «Jean Louis Pierre» o soltanto «P. L.», consumatasi in Svezia sul finire dell’Ottocento. Tra chi «dice che era un bell’uomo e veniva, veniva dal mare...», ovvero dalla Guyana francese, e chi dice che fosse uno schiavo fuggito, resta il fatto che giunse a Stoccolma una mattina di aprile del 1863 sbarcando da un «cargo che batteva bandiera liberiana» (in realtà brasiliana).
Anziché cercare un nuovo imbarco e tornare verso climi più miti, Pierre Louis Alexandre si stabilì su quelle gelide rive, sbarcando il lunario come camallo, e facendosi chiamare «Petterson», adottando il cognome del capitano del mercantile sul quale era imbarcato, la White Star. Siccome non passava certo inosservato, venne notato da alcuni artisti assetati d’esotismo. Fu così che il «Negern Petterson» cominciò a posare per il circolo dei pittori dell’Accademia Reale di Belle Arti.
«The Scandinavians were frightened at his audacities» (gli Scandinavi erano terrorizzati dalla sua audacia), avrebbe detto Conrad nel suo romanzo dove, in effetti, oltre al «Nigger Wait» (se ci pensate un vero e proprio ossimoro, dato che quel cognome suona come l’inglese White, ossia «bianco») ci sono pure due giovani giganti scandinavi. In realtà, mettendolo ora nella posa del feroce Saladino, con tanto di turbante avvolto in testa e scimitarra dorata in pugno, ora in quella d’un mercante di tappeti, avevano a portata di mano quello che era, in realtà, distante migliaia di miglia, senza contare le insidie d’un viaggio in Oriente.
Ad oggi sono noti 43 ritratti di Alexandre per mano di artisti di punta nel panorama svedese a cavaliere dei due secoli, come Anders Zorn, Emil Österman, Karin Bergöö Larsson, Johan Krouthén, Oscar Björck, 10 dei quali sono apparsi lo scorso 19 settembre in un’asta in Svezia, presso Crafoord Stockholm, parte della raccolta d’un amatore, Mats Werner, che li ha cercati uno a uno (le aggiudicazioni non hanno superato gli 8.540 euro, ma i dipinti hanno raccolto da 16 a 74 offerte ciascuno).
Scriveva Conrad che l’aspirazione di un artista resta quella di «fermare, per lo spazio di un respiro, le mani intente al lavoro della terra, e costringere gli uomini, rapiti dalla vista di mete lontane, a guardare per un momento ciò che li circonda, le forme, i colori, le luci, le ombre; farli fermare per l’attimo di uno sguardo, per un sorriso...». Si può mettere «nero su bianco» (con un gioco di parole sul filo del rasoio) che queste tele hanno centrato quell’obiettivo.
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