Luana De Micco
Leggi i suoi articoliIl grande storico dell’arte Pierre Rosenberg, già presidente direttore del Louvre, ha donato la sua collezione d’arte, oggi nella casa museo: 650 dipinti, 3.500 disegni, una biblioteca di 45mila volumi e 2mila vetri di Murano. Sono destinati al «suo» Musée du Grand Siècle, dedicato al Seicento francese, che aprirà nel 2025
La dimora di Pierre Rosenberg nel quartiere parigino di Saint-Germain-des-Prés è un’affascinante quadreria. Lo storico dell’arte, ex presidente direttore del Louvre (dal 1994 al 2001), ce la fa visitare come si visita un museo. Quando lo abbiamo incontrato, a metà ottobre, aveva firmato neanche un mese prima, il 25 settembre, l’atto di donazione con cui ha ceduto tutta la sua collezione al Dipartimento Hauts-de-Seine, nella regione di Parigi. I 650 dipinti e 3.500 disegni, la biblioteca di 45mila volumi e i 2mila vetri di Murano raggiungeranno il futuro Musée du Grand Siècle, dedicato al Seicento francese, da Enrico IV alla Reggenza (dal 1590 al 1725), che nascerà a Saint-Cloud, alla porta ovest di Parigi, sull’altra sponda della Senna.
L’apertura del museo, nell’antica caserma Sully, un edificio in stile classico costruito per volontà di Luigi XVIII e terminato nel 1827, è prevista per il 2025. Rosenberg, grande esperto di Nicolas Poussin, membro dell’Académie française (dal 1996), curatore di tante mostre e autore di numerosi saggi, a 84 anni è ancora un instancabile lavoratore e un insaziabile collezionista. Tra le opere che raggiungeranno Saint-Cloud, dipinti di Philippe de Champaigne, Jean-Baptiste Oudry, Luigi Genovesino, Bartolomeo Passarotti, Rosalba Carriera e tanti altri.
Perché separarsi dalle sue opere?
Ho sempre pensato che una collezione d’arte debba essere per tutti. Le alternative quindi sono due: o venderla o donarla. Ai miei tre nipoti e a mia moglie ho chiesto di scegliere un quadro ciascuno. Il resto l’ho donato. Quando ho firmato l’atto di cessione, in presenza dei notai, non ho provato emozioni. Per me la separazione era già avvenuta da tempo. Ma ora si pone un vero problema: i miei quadri, anche se in realtà non sono più miei, li ho ancora in casa, ma un giorno le pareti resteranno vuote.
Come farò? Ho più di ottant’anni e chissà, quando, nel 2025, i quadri e la biblioteca lasceranno la casa potrei non esserci più. Se le cose andranno così, non avrò mai avuto modo di vederla svuotata. Ma se sarò ancora qui, allora spero che entro il 2025 avrò acquistato abbastanza opere da riempire di nuovo le pareti. Proprio pochi giorni fa ho acquistato un quadro molto bello di Hyacinthe Rigaud, che mi è stato subito chiesto per la mostra su Rigaud che si sta per aprire a Versailles. C’è anche un modesto disegno, una riproduzione di Delacroix di un quadro di Poussin... ma questi li ho acquistati per me.
Ci parli della sua collezione...
È una raccolta di quadri, disegni, libri e vetri di Murano. Dono anche tutta la documentazione sul ’600 e ’700 francese e italiano che ho raccolto negli anni. I documenti saranno digitalizzati uno per uno su modello della documentazione di Federico Zeri, che fu un caro amico e regalò i suoi archivi alla città di Bologna. Oggi rappresentano un’importante fonte per la ricerca. I libri della mia biblioteca integreranno uno spazio importante del futuro museo, un centro di ricerche aperto a tutti i ricercatori, che si chiamerà Centre de recherche Nicolas Poussin. La mia raccolta di disegni, di tutti i secoli e paesi, è molto diversificata, anche se il punto forte è il disegno francese del ’600. Integrerà il Cabinet des dessins del museo.
A un momento della mia vita ho avuto l’idea di acquistare delle opere che sono rare nei musei francesi. Tra queste, un disegno di Otto Runge, artista tedesco dei primi anni dell’800, morto giovane, un’Assunzione di Fortunato Duranti, un disegno di Sergel, una gouache di Fortunato Depero e uno splendido disegno del Guercino, uno studio per il quadro di san Guglielmo d’Aquitania che si trova alla Pinacoteca di Bologna. Anche per i quadri, la priorità della mia collezione è il ’600 francese, ma essa comprende anche opere dal ’700 al ’900, alcune molto recenti. Potrei citare, per esempio, due Vergini di Pompeo Batoni e Sassoferrato. Un Sansone e Dalida di Antonio de Bellis e un’Assunzione di Philippe de Champaigne.
Tra gli acquisti recenti, due quadri di Nicolas de Plattemontagne, un pittore poco noto del ’600, genero di Philippe de Champaigne. È una mia allieva che poco tempo fa mi ha parlato di una piccola asta che si teneva qui a Parigi. Nel catalogo figuravano due quadri venduti come anonimi, ma lei era sicura che fossero della mano di Nicolas de Plattemontagne. L’attribuzione è stata confermata. Avevo lo studio preparatorio. Entrambi andranno nel futuro museo.
Quando ha iniziato a collezionare?
Molto presto. A cinque anni già collezionavo biglie di vetro e penne di uccelli. Più tardi ho cominciato una collezione, più classica, di francobolli. La prima opera della mia raccolta l’ho acquistata nel dopoguerra e si trattava di una stampa, genere che poi ho abbandonato. Era di Jean Lurçat, pittore noto soprattutto per gli arazzi conservati a Angers. Non mi ritengo un vero collezionista. Mi sono mancate molte cose. Talvolta i soldi, molto spesso il tempo. Un vero collezionista non ha tempo per fare altro. Io invece sono stato molto preso dalle responsabilità importanti che ho avuto al Louvre e non ho mai abbandonato il mio lavoro di ricerca scientifica.
In tutta la mia carriera mi sono molto occupato delle collezioni altrui. È stato uno dei grandi piaceri della mia vita. Ricordo la donazione al Louvre, negli anni 80, di Othon Kaufmann e François Schlageter, due collezionisti di Strasburgo che acquistavano solo opere di autori di cui il dipartimento delle Pitture del Louvre era sprovvisto! Un mio caro amico, Louis-Antoine Prat, che possiede una splendida collezione di disegni francesi, di recente esposti al Petit Palais in una mostra di cui ho curato il catalogo, acquista solo disegni perfetti. Più o meno due all’anno. Io ne compro due al giorno! I veri collezionisti sono più sistematici.
Il collezionismo per me è un vizio. Seguo il mio gusto. Spesso interviene il caso. Un importante quadro di Simon Vouet l’ho scovato in un mercatino delle pulci. Non sempre mi è andata bene. Le racconto un aneddoto. Per anni sono andato all’Hôtel Drouot tre volte alla settimana. Un giorno era in vendita un lotto di tre disegni anonimi, che ho subito identificato come dei Poussin. Temevo di non riuscire ad acquistarli tutti e tre e per questo avevo chiesto a due amici di partecipare con me all’acquisto. In realtà i disegni si sono venduti per molto poco e avrei potuto averli tutti e tre. Ma ormai bisognava dividerli e li abbiamo tirati a sorte. Mi è andata male perché i miei amici hanno potuto scegliere il disegno che volevano, mentre io mi sono dovuto accontentare di quello che rimaneva. Il primo oggi è al Musée de Nancy. Il secondo appartiene sempre alla stessa famiglia. Il terzo, il mio dunque, si è rivelato essere una copia! L’originale di Poussin si trova all’Albertina di Vienna. Dico sempre che i veri collezionisti sono i soli che di sicuro andranno in Paradiso. La loro raccolta è a suo modo una creazione.
Non ci ha ancora detto nulla della sua collezione di animali in vetro di Murano...
Sono trent’anni che li colleziono. Ne ho duemila. Il mio animale più famoso è un bassotto rosso di Martinuzzi. Lo vidi anni fa nella vetrina di un buon antiquario di Venezia. All’epoca ne sapevo ancora poco sui vetri di Murano – e ancora oggi non ne so tanto. Pensavo che non sarebbe costato molto e di regalarlo alla madre di mia moglie, a cui piacevano molto i bassotti. Invece il prezzo già per l’epoca era stato piuttosto elevato. Cominciavo appena la mia collezione di animali di vetro e decisi di non regalarlo più. Oggi è il pezzo più prezioso della mia collezione. Sono sicuro che i miei animali rappresenteranno una vera attrazione per il futuro museo.
Come è nato il progetto del Musée du Grand Siècle?
Come ho spesso detto, per me Nicolas Poussin è il più grande artista francese di tutti i tempi, anche più di Paul Cézanne. E la mia idea iniziale era di creare un museo nella sua città natale, Les Andelys, in Normandia. Sarebbe stato il luogo ideale. Ma dopo tanti anni di discussioni e tentativi, mi è stato detto che la Regione non aveva i fondi sufficienti per aprire questo museo. Il progetto è diventato realtà invece con il dipartimento Hauts-de-Seine, il cui presidente è stato fino a poco tempo fa Patrick Devedjian, uomo politico ma anche di cultura, collezionista, oltre che grande ammiratore di Poussin. Purtroppo Devedjian è scomparso sei mesi fa per le conseguenze del Covid-19. Ma il suo successore, Georges Siffredi, mi ha confermato la volontà di andare avanti.
A settembre abbiamo dunque firmato la donazione. Alexandre Gady, storico dell’arte e insegnante di storia dell’architettura alla Sorbona, ha preso in mano il progetto. L’edificio di Saint-Cloud è già in corso di riabilitazione. Il budget è consistente, 135 milioni di euro. Naturalmente il Louvre ha la più bella raccolta d’arte del XVII secolo. Ma un museo specifico sul ’600 francese mancava. È l’epoca in cui Roma passa la fiaccola della cultura a Parigi. In cui, anche per opera dei cardinali Richelieu e Mazzarino, esiste in Francia una reale volontà politica di imporsi culturalmente in Europa e di imporre la lingua francese. È anche l’epoca di Corneille e Racine.
All’inizio il Musée du Grand Siècle è stato concepito per accogliere la mia collezione. Ma ha, e deve avere, ambizioni sue. È stato stanziato un fondo annuo per le acquisizioni. La commissione delle acquisizioni ha cominciato a frequentare le aste. La collezione sarà completata con i depositi dei musei francesi. La mia raccolta ne costituisce dunque solo il punto di partenza. Occuperà essenzialmente una sezione denominata Cabinet des collectionneurs. Uno spazio aperto ad accogliere altre collezioni di privati.
Parliamo della sua carriera. Ha passato 40 anni della sua vita al Louvre. È entrato nel 1962 come assistente ed è andato in pensione nel 2001 da presidente direttore...
È vero, sono entrato come l’ultima ruota del carro...! Dirigere il Louvre è ogni giorno una grande responsabilità. Anche i più piccoli problemi prendono dimensioni gigantesche. Bisogna gestire la stampa. Il presidente direttore ha un compito essenziale: proiettarsi nel futuro. Al mio arrivo, il Louvre era un museo drammaticamente polveroso. Ne soffrivamo tutti. Ho vissuto la nascita del Grand Louvre e la costruzione della Piramide di Pei, inaugurata nel marzo 1989. Un’opera molto bella. Un vero successo. Il Louvre è diventato il più ammirato museo del mondo.
Anche io da presidente direttore ho dovuto pensare al futuro del museo. Alcune battaglie le ho vinte. Uno dei successi di cui vado più fiero è stata l’introduzione del servizio del mecenatismo, che prima non esisteva. Un sistema unico al mondo che permette a chi acquista un’opera dichiarata tesoro nazionale di ottenere sgravi fiscali al 90%. Questa legge permette di proteggere le opere del nostro patrimonio.
Ho anche dei rimpianti. Il fallimento più grande della mia carriera è stato di non essere riuscito a far introdurre l’insegnamento della storia dell’arte nei licei. Ho fatto il possibile. Ne ho parlato a tutti i presidenti della Repubblica, ma non c’è stato nulla da fare. Si lascia sempre un cantiere mai chiuso. Penso per esempio che ancora oggi la pittura francese del ’700 non trovi il suo giusto spazio nel museo.
Da quando lei ha lasciato il Louvre, molte cose sono successe. C’è stato l’accordo con il Louvre Abu Dhabi, l’apertura del Louvre Lens... Il museo, fino a prima dell’epidemia, accoglieva 9, 10 milioni di visitatori all’anno... Abbiamo visto tutti il videoclip di Beyoncé ballare davanti alla Gioconda.
Il mio successore, Henri Loyrette, è stato molto coraggioso e l’ho sostenuto nei suoi progetti. Trovo che aprirsi su un mondo talvolta anche ostile alla nostra civiltà occidentale, con il Louvre Abu Dhabi, fosse un’occasione che non si poteva perdere. Anche aprire una filiale a Lens, una città povera, è stata un’operazione rischiosa: l’idea di avvicinare al museo un pubblico senza una vera educazione dei musei e dell’arte è molto bella. Il Louvre è cambiato. È diventato un museo per turisti di passaggio.
Non ci sono più come prima i papà che davanti a «L’incoronazione di Napoleone» di David indicano ai loro bambini i vari personaggi storici rappresentati nel quadro. È evidente che la crisi sanitaria attuale obbligherà a ripensare il museo. Le operazioni popolari di comunicazione? Che dire, fanno parte del mondo di oggi. Sin dai tempi di Michel Laclotte, il mio predecessore, molto amato e noto anche in Italia, ci si era posti l’obiettivo di fare del Louvre un museo autonomo sul piano finanziario. È una grande azienda, con più di duemila dipendenti da far vivere.
Diceva che il suo grande rimpianto è di non essere riuscito a far insegnare la Storia dell’arte nelle scuole. Perché secondo lei non è stato possibile?
Francia e Italia sono due Paesi molto diversi, molto più di quanto si crede in genere. Sul piano del patrimonio artistico poi lo scarto è abissale e il paragone non giova alla Francia. I francesi conoscono bene la loro storia. Posseggono una cultura intelligente della storia. Hanno capito che non si limita alle date delle battaglie, ma che è una questione di civiltà. Hanno anche un’ampia conoscenza della letteratura francese. La Francia ha avuto presidenti molto colti. Georges Pompidou ha scritto un’antologia della poesia francese molto buona. Il livello culturale dei nostri politici non è disastroso, ma sono ignoranti in Storia dell’arte.
Il contrario esatto accade in Italia, un Paese dalla storia frammentata, che è stato invaso più volte, unito da pochi anni e che non ha ancora affrontato di petto il suo passato mussoliniano. Ma un Paese che va fiero della sua arte e del suo patrimonio. L’insegnamento della storia dell’arte è obbligatorio nelle scuole e i visitatori italiani nei musei sono spesso i più colti. Sono molto legati al loro patrimonio e amano le loro città. La situazione patrimoniale è esemplare in Italia. Qui in Francia le chiese sono in uno stato di abbandono e molte città sono state distrutte in passato in un modo impensabile per l’Italia. In Italia le città sono musei a cielo aperto. Inoltre gli storici dell’arte sono ascoltati e capiti. In Francia è un mestiere sconosciuto.
Lei è molto legato a Venezia, dove ha una casa e trascorre diversi giorni ogni mese...
Venezia è una città unica, non si può neanche dire che sia in Italia. Ero lì il giorno in cui il Mose ha funzionato per la prima volta. Il giorno prima i veneziani erano molto scettici. Invece il Mose ha funzionato e c’era una grande allegria in città. Ho avuto l’impressione di assistere a un momento storico. Il Mose potrebbe rappresentare una grande svolta per la città. Bisogna ridare vita a Venezia, Murano sta morendo. Finora è stata fatta la scelta del turismo, bisogna smetterla di pensare solo ai numeri. È una città molto piacevole da vivere. Per me è soprattutto un rifugio. Qui a Parigi ho troppe distrazioni. A Venezia invece posso lavorare tranquillamente su Poussin.
Lei è in pensione dal 2001, ma in realtà lavora ancora molto. Quali sono i suoi nuovi progetti?
Da anni mi occupo di ricostruire l’immensa collezione di disegni di Pierre-Jean Mariette, storico dell’arte e libraio del secolo dei Lumi. Ho già pubblicato due volumi sulla raccolta dei disegni francesi di Mariette e quattro sui disegni italiani, a cui il Louvre ha dedicato una mostra lo scorso anno. Sto chiudendo ora i due volumi sulla scuola nordica, fiamminghi, olandesi, tedeschi. Spero di terminare nel 2021. Invece non sarà chiuso prima del 2022 il catalogo ragionato, in quattro volumi, di dipinti di Poussin, a cui lavoro praticamente da sempre.
Negli anni ’90 pubblicai, con Louis-Antoine Prat, il catalogo completo dei disegni di Poussin, che fu già un’immensa fatica. Nel 2015 era uscito un volume sui 40 dipinti di Poussin del Louvre. C’è poi una piccola mostra dei miei animali di vetro di Murano, con una selezione di 700 pezzi, che si terrà il prossimo marzo alla Stanza del Vetro nell’isola di San Giorgio Maggiore, a Venezia. È la prima volta che saranno esposti. Ho deciso di non aprire neanche il catalogo in anticipo per conservare il piacere della sorpresa.
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