Emiliano Rossi
Leggi i suoi articoliCon la legge 208/2015, il legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo modello societario, di ispirazione statunitense, che si posiziona a metà strada tra le società a scopo di lucro e gli enti non profit: la società benefit. L’elemento caratterizzante di tale modello è l’affiancamento al tradizionale scopo di lucro del perseguimento responsabile, sostenibile e trasparente di finalità di beneficio comune tali da migliorare l’ambiente naturale, sociale e culturale nel quale opera la società.
La società benefit è, dunque, ispirata al concetto di corporate social responsibility e coniuga interesse privato e beneficio comune, guadagno e restituzione, istituzionalizzando l’idea di impresa che, in Italia, fu di Adriano Olivetti nel secondo dopoguerra. La previsione delle società benefit non ha tuttavia comportato la creazione di un nuovo tipo sociale, in quanto può essere «benefit» qualsiasi società di persone o capitali e anche una società cooperativa. Per poter esercitare la propria attività d’impresa come società benefit sarà sufficiente indicare nell’oggetto sociale della società di nuova formazione le specifiche finalità di beneficio comune che si intendono perseguire, oppure modificare lo statuto della società già costituita includendo il riferimento alle stesse finalità.
I vantaggi pratici ricollegati all’esercizio dell’attività d’impresa sotto la veste di società benefit sono essenzialmente tre. In primo luogo, a differenza delle società non profit, le società benefit, pur perseguendo uno scopo di pubblica utilità, non scontano alcuna limitazione alla distribuzione degli utili, mantenendo quindi la finalità di lucro. In secondo luogo, si consente a tali società di associare il proprio brand con il perseguimento del beneficio comune, permettendo loro di utilizzare la denominazione «Società Benefit» (o la sigla «SB») rendendo così i propri prodotti e/o servizi facilmente riconoscibili sul mercato da quei consumatori che tengono in considerazione la tutela degli interessi sociali, ambientali o culturali.
Infine, sebbene fino ad allora non fosse stato previsto alcun vantaggio fiscale a favore delle società benefit data l’assenza di limitazioni alla percezione degli utili da parte dei soci, con il Decreto Rilancio 2020, si è previsto dal 19 luglio al 31 dicembre 2020 un limitato incentivo fiscale sotto forma di credito d’imposta nella misura del 50% dei costi di costituzione o trasformazione in società benefit (di cui sarebbe auspicabile l’estensione anche agli anni futuri).
A tale modello societario si ricollegano però anche alcuni svantaggi. Innanzitutto, sono previsti adempimenti addizionali, posto che si richiede alla società di individuare un soggetto responsabile a cui affidare funzioni e compiti per il perseguimento delle finalità e di redigere annualmente una relazione da allegare al bilancio e da pubblicare sul sito internet della società, concernente le modalità di perseguimento del beneficio comune e l’effettivo impatto prodotto.
In secondo luogo, vi possono essere dei costi aggiuntivi ricollegati alla modifica dello statuto e alla predisposizione della suddetta relazione, che deve essere basata su uno standard di valutazione predisposto da un ente esterno. In terzo luogo, sebbene non sia previsto un regime di responsabilità speciale per gli amministratori, questi ultimi sono comunque chiamati a bilanciare l’interesse dei soci e il perseguimento del beneficio comune, con conseguente responsabilità in caso di mancato ottemperamento. Infine, si deve considerare che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato deve vigilare sull’effettivo perseguimento della finalità di beneficio comune e che la società benefit che non persegua tale finalità è soggetta alle disposizioni in materia di pubblicità ingannevole e a quelle in tema di pratiche commerciali ingannevoli e scorrette.
Le società benefit operano in misura significativa in ambito ambientale o sociale ma non mancano casi di applicazione del modello in campo culturale. Del resto, sono evidenti le potenzialità di utilizzo nel settore dell’arte e della cultura, in una fase storica in cui l’iniziativa privata in questo ambito ha un impatto sempre più significativo.
Ad esempio, si possono menzionare i seguenti casi:
• una società immobiliare che si impegna a investire nell’acquisto di opere di artisti contemporanei emergenti da allestire negli immobili realizzati o restaurati per promuovere e diffondere la cultura contemporanea e l’interazione fra discipline e ambiti di produzione culturale e artistica;
• una società che produce oggetti di design recuperando materiali riciclabili nell’ambito del territorio di Venezia e della Laguna, promuovendo così la conoscenza della tradizione culturale della città e la consapevolezza dell’importanza della sua conservazione e includendo altresì nel processo produttivo personale di categorie svantaggiate con finalità di riscatto e recupero sociale;
• uno studio di consulenza fiscale specializzato in ambito culturale e artistico che opera come società benefit in particolare nel settore non profit, prefiggendosi di favorire innovazione e sviluppo della relazione fra arte, diritto, cultura ed economia, incentivare politiche di sviluppo della pratica culturale come elemento di sviluppo sociale ed economico, promuovere la diffusione del modello benefit e di politiche di sostenibilità, parità di genere e attività di welfare culturale;
• società attive nell’ambito dell’organizzazione di eventi culturali e della promozione di attività culturali, anche attraverso la realizzazione di sistemi informatici atti a veicolare contenuti culturali connessi con il patrimonio dei territori;
• società attive nel settore dell’archiviazione digitale di collezioni pubbliche e private e della relativa promozione.
Si riscontra, infine, qualche caso di società benefit trasformata nel tempo in impresa sociale, con rinuncia integrale alla distribuzione degli utili a fronte dei vantaggi fiscali riservati all’attività non profit. Tale dato, in linea con gli auspici manifestati dalle associazioni di settore, potrebbe suggerire la conclusione che, per favorire una più ampia diffusione della corporate social responsibility anche nel settore profit attraverso l’utilizzo delle società benefit, il legislatore dovrebbe valutare quantomeno l’introduzione di misure fiscali mirate a incentivare il reimpiego degli utili nell’attività benefit e l’investimento nel capitale da parte di fondi di venture capital o altri investitori sul modello delle Pmi innovative.
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