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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliIl filo rosso che Héla Ammar ricama sulle foto d’archivio della rivoluzione tunisina «dei Gelsomini», tra dicembre 2010 e febbraio 2011, è come la ferita mai guarita della «primavera araba», la serie di rivolte che, dalla Tunisia, si propagarono nel mondo arabo per rivendicare una nuova epoca di libertà, ma le cui conquiste sono state in parte vanificate.
È quel filo rosso che unisce le opere della serie «Tarz» (appunto «ricamo»), del 2014, esposte nella mostra «Unhealed» al Moderna Museet Malmö dal 2 marzo al 15 settembre. Come fa notare una delle curatrici, Joa Ljungberg, la mostra nasce dalla volontà di ritornare su quegli eventi di «speranza e disperazione», con la giusta distanza e la mente lucida, non con un approccio storico ma poetico, dando spazio alle emozioni di 17 artisti originari di Tunisia, Marocco, Siria, Yemen, Libia, alcuni dei quali risiedono in Svezia o in altri Paesi europei. Sono Asim Abdulaziz, Rachid Koraichi, Diana Jabi, Khaled Hafez o ancora Hadia Gana.
Nei loro lavori alcuni artisti prendono spunto dall’artigianato locale, come Moataz Nasr che in «Khayameya» (2012), utilizzando i fiammiferi simbolo di distruzione, riprende la tradizione ancestrale egiziana delle «khayamiya», i patchwork di tessuti intrecciati a mano, che ai giorni nostri si sta perdendo. In «366 Days of 2012» Muhammad Ali, fuggito dalla Siria nel 2015, realizza un’opera composta da 366 disegni, uno per ogni giorno, una sorta di diario-testimonianza popolato da figure fantastiche che racconta gli sconvolgimenti e la brutalità della guerra vissute dagli abitanti di Damasco.
La mostra espone una selezione di disegni dell’architetto Marwa Al-Sabouni, artista siriana, tratti dal libro The Battle for Home (2013-14), che tramite la distruzione della città di Homs racconta la tragedia della Siria, e i disegni di Shady Elnoshokaty tratti dal progetto d’ampio respiro «Magnificent Mind» (2004-13), abbandonato dopo le rivolte egiziane e mai esposto, in cui ogni disegno è pensato come una scena di teatro e si ispira alla calligrafia araba.
Di Adrian Paci, artista albanese che vive a Milano, è presentata la videoinstallazione «Broken Words» (2019), fatta di ritratti silenziosi di persone che hanno vissuto l’esperienza della migrazione, mentre di Mario Rizzi è «Kauther» (2014), un monologo dell’attivista tunisino Kauther Ayari. Sono esposti anche alcuni poetici arazzi monocromatici di Safaa Erruas della serie «Flags» (2011), in cui l’artista ha ricamato con le perle le bandiere dei Paesi della Lega araba.

Dalla serie «The Magnificent Mind Project» (2004-13) di Shady Elnoshokaty. Foto © L’artista
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