Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Era nato nel 1928 Piergiorgio Branzi, a Signa, vicino a Firenze, e benché tanto da fotografo, quanto, in seguito, da corrispondente Rai (prima a Mosca per cinque anni, da vero «pioniere»: era il 1960, e fu inviato oltrecortina dall'allora direttore del TG, Enzo Biagi; poi, dal 1966 al 1969, a Parigi) avesse girato e «vissuto» il mondo, la Toscana e la sua cultura visiva costituirono sempre il fondamento del suo lavoro di (grande) fotografo.
Prediligeva il bianco e nero «perché noi toscani, argomentava, consideriamo il disegno, l'"etica" stessa di ogni espressione figurativa. E perché Firenze è una città dall'aspetto severo, e il colore rimane accessorio, un riempitivo, pur se splendido possa risultare». E componeva le sue immagini sotto il segno di un «realismo formalista» che tanto doveva ai grandi maestri della sua terra. Quando però, nei primi anni '50, esordì come fotografo nel gruppo «La Bussola», come tutti i coetanei vi aggiunse la lezione, allora ineludibile, di Henri Cartier-Bresson, sia pure rielaborandone il modello alla luce della sua personalità.
I riconoscimenti e i premi non tardarono, sin dal 1955 quando, per realizzare un reportage (collaborava allora con «Il Mondo» di Pannunzio) attraversò in motocicletta il Sud di un'Italia che stava cercando di risollevarsi dalla guerra: «L'Italia era [allora] un Paese povero, nel migliore dei casi di dignitosa indigenza. E nel Meridione, un Paese del tutto arcaico e doloroso. Questo arcaismo mediterraneo, che trovai anche in Spagna e in Grecia (gli altri due Paesi che poi attraversai) mi interessava anche perché mi sembrava di intravvedervi l'essenza stessa dell'uomo allo stato di pre-omologazione consumistica: genuino, come in effetti era».
Reportage, i suoi, che erano sì di documentazione ma che, grazie anche all'empatia con cui lui guardava a quelle realtà, acquisivano la valenza di veri messaggi sociali. Eppure, a dispetto del successo crescente, dopo l'esperienza moscovita Branzi lasciò la fotografia. Diventato, al rientro in Italia da Parigi, un volto famoso del TG, scelse la televisione. E solo negli anni ’90 riprese a fotografare, raggiungendo nuovamente esiti di altissima qualità. Le sue immagini, esposte in mostre come «Italian Metamorphosis» del Guggenheim di New York e in altre di pari importanza, sono state raccolte nel 2015 da Contrasto nel volume «Il giro dell'occhio», fitto anche di suoi commenti, riflessioni, ricordi di oltre 50 anni di passione fotografica e giornalistica. Piergiorgio Branzi è scomparso a 93 anni, a Campagnano di Roma, il 27 agosto scorso.

Piergiorgio Branzi
Altri articoli dell'autore
10 Corso Como dedica al maestro romagnolo una mostra incentrata sulla realtà più labile che esista, selezionando scatti in cui si aprono riflessioni sugli statuti della fotografia e sull’atto stesso del fotografare
Con un convegno in programma il 22 e 23 maggio sarà presentato il restauro degli affreschi realizzati nella Chiesa di San Salvatore nel 1375 dal Maestro di Lentate
Al Museo Castello San Materno di Ascona sono riunite 55 opere tra dipinti, disegni e cicli grafici, molti provenienti da una collezione privata svizzera, altri dal Kunst Museum Winterthur
A maggio, il progetto del filantropo e imprenditore giapponese Hiroyuki Maki inaugura a Venezia due mostre per promuovere anche in Europa l’arte contemporanea del suo Paese