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Pietro Bellotti, «La vecchia popolana», 1680-90 ca

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Pietro Bellotti, «La vecchia popolana», 1680-90 ca

Al MarteS Bellotti conversa con il Pitocchetto

La «Vecchia popolana» del seicentesco bresciano, acquistata dal museo privato, posta «in dialogo» con tre opere di Giacomo Ceruti, acquistati a suo tempo da Luciano Sorlini

Gaspare Melchiorri

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Il MArteS (Museo d’Arte Sorlini) di Calvagese della Riviera (Bs) ha annunciato l’acquisizione di un dipinto dell’artista lombardo Pietro Bellotti (Roè Volciano, Bs, 1625-Gargnano, Bs, 1700), «La vecchia popolana», 1680-90 ca, da anni ritenuto scomparso. L’acquisizione si inserisce in una fase di trasformazione del Museo MArteS, che da collezione privata si configura sempre più come istituzione museale dedicata alle opere del Sei e Settecento veneto (e non solo).

Il dipinto rappresenta una donna anziana che guarda l’osservatore con un lieve sorriso sulle labbra, forse divertita dal giovane ragazzo presente al suo fianco. Sul capo un velo bianco di tessuto spesso, indosso un abito scuro, acceso dal leggero tocco di colore nel rosso del fazzoletto. Nella mano sinistra regge un bastone, mentre poco sopra un rosario di pietre scure spunta dalla cintola al suo fianco. Dall’altro lato, il ragazzo, in un abito castano che sfuma nello sfondo omogeneo della scena, scherza aggrappandosi al braccio della donna.

Il quadro rappresenta in modo evidente le caratteristiche della «pittura di realtà», che nel Sei e Settecento ritrasse con crudo realismo e grande sensibilità la vita dei ceti più poveri della società.

L’opera, prima di entrare in via definitiva nel percorso espositivo, viene presentata con un allestimento ad hoc nella cornice della sala dei dipinti del Seicento, corredata da un documento d’eccezione: una fotografia dell’opera stessa, realizzata prima del 1886, che si è rivelata uno strumento fondamentale per identificare e rintracciare il quadro, che fino a poco tempo fa era disperso nei meandri del collezionismo privato.

La scelta della «Vecchia popolana» non si limita ad arricchire la collezione, ma punta a farne emergere il valore storico artistico riprendendo un’intuizione dell’imprenditore bresciano Luciano Sorlini (che con la sua collezione ha creato il MarteS), che acquisì ben tre capolavori di Giacomo Ceruti, detto il Pitocchetto, ora posti in dialogo con l’opera di Bellotti, in modo tale da mettere in luce le radici della pittura di genere e la sua evoluzione tra Sei e Settecento.

La storia dell’opera è interessante. Il dipinto, attribuito da alcuni studiosi ad autori internazionali come Diego Velázquez e Georges de La Tour, e «restituita» al pittore solo in epoca recente, è stato a lungo considerato introvabile. La tela venne resa nota grazie a un articolo del 1940 pubblicato su «The Burlington Magazine», corredato da uno scatto ante 1886 che ne attestava la presenza nella collezione dei Marchesi di Casa Torres a Madrid. Negli anni successivi il dipinto sembra scomparire nel nulla, ma quello che era diventato per gli addetti ai lavori il «giallo di Casa Torres» è stato ora risolto da Stefano Sorlini e dai ricercatori del MarteS, che a più riprese hanno scandagliato il mercato internazionale alla ricerca dell’opera fino a rintracciarla nei circuiti del collezionismo privato, partendo proprio dalla fotografia che nel 1940 avviò gli studi sul quadro.

La Collezione Sorlini è composta da 185 dipinti (principalmente veneziani e veneti), databili tra il Quattro e l’Ottocento, raccolti nel tempo da Luciano Sorlini (1925-2015), di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita. A lui è intitolata l’omonima Fondazione Luciano Sorlini, istituita nel 2000, che negli anni si è occupata di riorganizzare e riunire l’intera raccolta nel MArteS.

Per l’occasione è stata realizzata una pubblicazione edita da Silvana Editoriale con testi di Stefano Sorlini, Stefano Lusardi, Francesco Ceretti e Alessia Mazzacani.

Gaspare Melchiorri, 28 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

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