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Il sarcofago di Idy in situ; XX secolo a.C.

Foto Università Johannes Gutenberg di Magonza/MoTA

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Il sarcofago di Idy in situ; XX secolo a.C.

Foto Università Johannes Gutenberg di Magonza/MoTA

Alto Egitto: Idy e le due statuette scampate ai tombaroli

Ad Assiut una missione egiziano-tedesca porta alla luce la tomba violata della figlia del governatore Djefahapy I

Francesco Tiradritti

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Statua di Sennauy, sposa di Djefahapi I, granodiorite, altezza cm 116,2; da Kerma (Sudan), tumulo K III; XX secolo a.C. Boston, Museum of Fine Arts, 14.720. Foto MFA

Il nome della moderna Assiut deriva da quello antico-egiziano di Zauty, la capitale del tredicesimo governatorato dell’Alto Egitto, dove veniva adorato il dio sciacallo Upuaut. Nel XX secolo a.C. la regione era governata da Djefahapy I, la cui tomba, scavata nelle rocce della riva occidentale del Nilo, era allora il più grande monumento rupestre privato che fosse mai stato realizzato.

Poco più di cento anni fa il frammento di una sua statua e quella completa della sposa Sennauy, indiscusso capolavoro dell’arte scultorea egizia, furono recuperati tra i resti del Tumulo K III a Kerma in Sudan, a circa 1.200 chilometri di distanza. Da questo ritrovamento George Reisner, direttore della missione archeologica dell’Università di Harvard che scavava sul sito, dedusse che Djefahapi, aveva abbandonato la preparazione del sepolcro ad Assiut per recarsi in Nubia, dove era stato mandato in missione. Nella località si era poi fatto tumulare adattandosi agli usi funerari del luogo.

Un secolo più tardi sappiamo che le cose non andarono così, che il Tumulo K III doveva appartenere a uno dei sovrani di Kerma che si era impadronito delle due statue durante una scorreria, di cui restano numerose tracce per il Secondo Periodo Intermedio (1650-1550), quando l’Egitto stava attraversando un momento di debolezza a causa di divisioni interne e invasioni di genti orientali.

Da una ventina d’anni, la Tomba di Djefahapi I e la necropoli sulla riva ovest del Nilo ad Assiut sono oggetto delle ricerche di una missione archeologica dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza che vi lavora in collaborazione con il Ministero del Turismo e delle Antichità (MoTA) egiziano.

 

L’ingresso della Tomba di Djefahapi I ad Assiut; XX secolo a.C. Foto Università Johannes Gutenberg di Magonza/MoTA

È proprio nel corso di queste operazioni che la squadra di archeologi egiziani e tedeschi ha scoperto la sepoltura di Idy, figlia di Djefhapi I. Secondo le prima informazioni, la sepoltura si troverebbe in una camera scavata nel pozzo funerario del padre a una profondità di circa quindici metri. Al suo interno sono state recuperate due bare riccamente decorate, che stavano una dentro l’altra e hanno una lunghezza rispettivamente di 2,62 e 2,30 metri. Le foto diffuse dal MoTA mostrano che le pareti interne di almeno una delle due erano decorate con iscrizioni in geroglifico corsivo. Si tratta con tutta probabilità dei Testi dei Sarcofagi, la silloge funeraria che compare in numerose bare di questo periodo e nella quale si descrive il destino oltremondano del defunto.

Il luogo di sepoltura di Idy era già stato violato in antico e la mummia smembrata. Dalle prime analisi è risultato che alla morte la donna doveva avere meno di quarant’anni di età e che era afflitta da una malformazione congenita a un piede.

I tombaroli avevano distrutto i vasi canopi nei quali erano racchiuse i visceri della defunta e si erano impossessati della maggior parte del corredo funerario. Di questo sopravvivono due statuine in legno dipinto che, malgrado prive di iscrizioni, possono essere attribuite a Idy. In entrambe la defunta indossa una gonna lunga fino alle caviglie e sostenuta da un’unica bretella che passa sopra la spalla destra lasciando scoperti i seni. È verde nella statuina di Idy stante, è invece decorata con un motivo a zig-zag verticale scuro in quella che la ritrae incedente. Nella seconda scultura, di dimensioni maggiori, Idy indossa una parrucca, nella prima appare invece con i capelli corti.

A meno che non fossero impegnate in un’azione che implicava il movimento, nell’antico Egitto, le donne erano di regola ritratte stanti. La statuina di Idy incedente appare perciò alquanto anomala. Un particolare degno di rilievo è anche il fatto che ha ai piedi un paio di sandali. In statuaria le calzature avevano la funzione di indicare che la figura si trovava su un terreno sacro. Tutti questi dettagli fanno perciò pensare che le due figure rappresentassero Idy in due momenti diversi della sua esistenza. La statuina di dimensioni minori era un suo ritratto mondano, quella più grande, più curata nell’abbigliamento e con la parrucca, la raffigurava invece nell’Oltretomba, il luogo sacro per eccellenza, nell’atto di attraversarlo per raggiungere il momento in cui sarebbe tornata a godere della luce del giorno. Quest’idea, che implica una vera e propria resurrezione in terra, aveva fatto da poco la sua comparsa e avrebbe avuto notevoli e felici conseguenze nel pensiero escatologico egizio delle epoche successive. 

Statuine di Idy stante (a sinistra) e incedente (a destra); legno dipinto; altezza cm 50 e 70 circa; dalla Tomba di Djefahapi I ad Assiut; XX secolo a.C. Foto-mosaico di Francesco Tiradritti da foto Università Johannes Gutenberg di Magonza/MoTA

Francesco Tiradritti, 04 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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