Elena Franzoia
Leggi i suoi articoliDopo un restauro conservativo durato tre anni che ha consentito interessanti scoperte, è stato restituito alla collettività, il fonte battesimale del Duomo di Siena, summa del Primo Rinascimento realizzata tra 1417 e 1431 in marmo, bronzo dorato e smalto da Donatello, Jacopo della Quercia, Giovanni di Turino e Lorenzo Ghiberti, che ne fu anche supervisore. Fra gli elementi più rappresentativi spiccano i pannelli bronzei, entrambi del 1427, del «Battesimo di Gesù» (di Ghiberti) e del «Convito di Erode» (di Donatello).
L’intervento è stato reso possibile dalla sinergia tra Opera della Metropolitana di Siena, che lo ha anche finanziato, Arcidiocesi di Siena, Colle di Val d’Elsa e Montalcino, Soprintendenza e Opificio delle Pietre Dure, i cui tecnici hanno lavorato insieme a quelli dell’Opera. La direzione scientifica è stata affidata a Camilla Mancini, Stefania Agnoletti, Riccardo Gennaioli e Laura Speranza. «Confrontarsi con un’opera tanto complessa e significativa è sempre arduo» ha affermato Emanuela Daffra, soprintendente dell’Opd succeduta a Marco Ciatti. «Qui le difficoltà erano accresciute da altri fattori. Da una parte il valore d’uso del fonte, nato come “strumento” per la somministrazione di un sacramento, funzione che mantiene tuttora. Dall’altra condizioni ambientali tutt’altro che ideali per la conservazione, in particolare dei bronzi. Lo staff dell’Opd ha raccolto la sfida di mantenere per ora tanto la completezza del monumento quanto la destinazione originaria, ma proprio da ciò nasce il programma di ispezioni semestrali e l’invito al monitoraggio e al controllo scrupoloso dei parametri ambientali».
Per quanto riguarda la parte lapidea, il fonte presenta nel registro inferiore un marmo bianco molto venato proveniente dalla Montagnola senese, prima del restauro fortemente deteriorato; il tabernacolo e la figura del Battista sono di un marmo apuano molto più omogeneo. Gli elementi lapidei, restaurati in loco, sono stati puliti con solventi; i residui delle originarie cromie blu e oro, data l’estrema fragilità, sono stati trattati con il laser. Quanto alle parti in bronzo, l’originaria «doratura a fuoco» composta di oro e mercurio risultava offuscata, con superfici interessate da abrasioni. Alla spolveratura con pennelli morbidi sono seguiti lavaggio a vapore, trattamento con miscele di solventi e ripetuti lavaggi per l’eliminazione delle sostanze applicate, che hanno anche richiesto l’utilizzo del laser. La rifinitura è stata effettuata con ausilio di piccoli strumenti, come bastoncini di plexiglass, legno e aculei di istrice. Si è infine proceduto all’applicazione di cere protettive nel retro delle formelle e nelle porzioni non dorate delle sculture. La lunga pulitura delle fasce smaltate è stata condotta prevalentemente con mezzi meccanici e laser, recuperando l’originario contrasto tra dorature e smalto opaco blu. Oltre alla realizzazione di nuovi giunti, le necessità di smontaggio e rimontaggio, che consentiranno il controllo nel tempo dei pannelli bronzei, hanno comportato la progettazione di una nuova struttura di sostegno degli elementi lapidei per consentire l’accesso al retro delle formelle senza smontare i blocchi di marmo.
Dal restauro sono emerse interessanti scoperte. Ad esempio, un ingegnoso assemblaggio di porzioni fuse separatamente presiede alle formelle realizzate da Giovanni di Turino con la «Nascita» e la «Predica del Battista», mentre per il suo intenso e drammatico «Convito di Erode» Donatello aveva applicato otto tiranti agli archi sovrastanti la scena, rimossi plausibilmente durante i successivi restauri, allo scopo di enfatizzare l’effetto prospettico e realistico dell’architettura, concepita come successione di ben tre diversi livelli resa possibile dal celebre stiacciato.
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