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Leggi i suoi articoliLa superficie dello Zentralfriedhof, il cimitero centrale della capitale austriaca, è notevole: 2,5 milioni di metri quadrati (2 milioni quando venne inaugurato, esattamente 150 anni fa). Per estensione è il secondo più grande in Europa e il settimo al mondo. Per numero di salme, 3 milioni, è il primo: una vera e propria città dei morti.
Le tombe sono 330mila, e non si contano quelle di personaggi di primo piano nei più svariati campi, dall’arte alle scienze, alla letteratura e la politica. L’area dedicata alle tombe illustri e ai cenotafi venne istituita nel 1881, provocando anche traslazioni di salme, come quella di Beethoven dal cimitero del quartiere di Währing nel 1888. Ancorché il compositore non fosse austriaco, era assai legato alla città, e un articolo del tempo sottolineava che Vienna «con orgoglio lo considera suo».
Seguirono poi ulteriori traslazioni, fra l’altro delle salme di Schubert e di Johann Strauss padre e figlio. Allo Zentralfriedhof i musicisti asburgici o austriaci sono del resto e naturalmente un folto gruppo, e lo sono anche gli architetti che segnarono la trasformazione di Vienna in metropoli: da Theophil von Hansen a Karl von Hasenauer, da Josef Hoffmann ad Adolf Loos. Fra gli artisti figurano pittori del Biedermeier come Rudolf von Alt o Jakob Schindler, Friedrich Amerling e Peter Fendi, ma anche pittori del nostro tempo come Max Weiler e scultori come Fritz Wotruba, o cantanti pop come Udo Jürgens e Falco (l’indimenticato performer di hit degli anni ’80 come «Rock Me Amadeus» e «Der Kommissar»).
La realizzazione dell’immenso progetto comunale prese il via con l’acquisto nel 1869 dell’area necessaria a sud della capitale. La gara per la selezione di un adeguato progetto venne vinta dagli architetti Alfred Friedrich Bluntschli e Karl Jonas Mylius, tedeschi di Francoforte. La costruzione iniziò nel 1871 e l’inaugurazione avvenne senza pompa l’1 novembre 1874, al termine di accese querelle: il Comune aveva espressamente voluto un cimitero multiconfessionale e addirittura aveva deliberato contestualmente di togliere alla Chiesa cattolica l’automatica gestione delle sepolture. In una metropoli multietnica si voleva un luogo aperto indifferentemente a tutta la popolazione: dunque niente celebrazioni monoconfessionali.
Lo sviluppo dell’area dello Zentralfriedhof proseguì nei decenni successivi con l’apporto di architetti di primo piano, anche per renderlo più accettabile ai viennesi, subito irritati dalla lontananza dalla città e dall’ovvia misera ombra offerta dalle piante appena messe a dimora. In questo senso, nel 1907 Max Hegele portò a termine il suo progetto della porta principale e di due camere ardenti e nel 1911 ultimò la chiesa Jugendstil dedicata a san Carlo Borromeo, oggi considerata uno degli edifici sacri più importanti dell’epoca, inconfondibilmente imparentato con la Chiesa di San Leopoldo a Steinhof costruita poco prima da Otto Wagner. Di Clemens Holzmeister è invece il Crematorio costruito tra il 1921 e il 1922, mentre un’ulteriore camera ardente fu progettata da Carl Ehn nel 1924.
Anche oggi lo Zentralfriedhof, che celebra i suoi primi 150 anni, continua a essere un organismo in evoluzione e il simbolo di un rapporto più che sereno dei viennesi con la morte. Con 17mila alberi, 35 chilometri di siepi e 80 di sentieri, è un fondamentale polmone verde in cui prosperano 200 varietà di piante e 170 specie di animali, ed è un parco di cui si può usufruire liberamente negli orari di apertura.
E in effetti il Cimitero centrale è frequentato da cittadini e turisti: vi si svolgono visite guidate quotidiane, due percorsi segnalati (uno di 2 chilometri, l’altro di 5) sono dedicati ai jogger, vi si possono noleggiare bici elettriche, e un bus interno tocca vari punti del luogo; che accoglie anche concerti, sessioni di yoga e qigong, feste di Halloween, bird watching e persino serate di tango perché, sostengono gli organizzatori, «è un ballo che sustanzia la nostalgia per la vita come nessun altro».
Non mancano un caffè e uno shop con souvenir che spesso si rapportano al momento del trapasso con uno spiccato umorismo nero tipico viennese. Del resto questa è la città in cui fin dal nascente XX secolo, quando cioè la popolazione si riconciliò con quel luogo così fuori mano perché nel frattempo era ben collegato alla città, lussureggiante e pieno di tombe famose, la possibilità di «A schöne Leich», cioè di un bel funerale con «una bella salma», divenne un’inossidabile aspirazione trasversale a ogni ceto sociale.
In un quadro di serenità e bellezza, allo Zentralfriedhof rimane ancor oggi la macchia del settore dell’antico Cimitero ebraico, dove sono sepolti cittadini un tempo spesso molto in vista in città: nomi di viennesi che ricorrono negli annali di storia, arte, musica, scienze o politica e che finirono poi vittime della Shoah, oppure i cui eredi riuscirono a mettersi in salvo e non tornarono mai più in Austria. Il degrado indotto dapprima dai vandalismi e dalle devastazioni di epoca nazista e poi dall’abbandono è palpabile e fa di quest’area un vero e proprio memoriale.
[Flavia Foradini]
La cura dell’Emilia-Romagna per i suoi cimiteri
I luoghi legati al culto dei morti, spazi di ispirazione in cui la memoria privata diventa collettiva, grazie alla presenza di opere d’arte e ambientazioni suggestive, oggi sono frequentati anche come spazi esperienziali di turismo funerario. In Italia la Regione che sta mostrando più sensibilità al tema è l’Emilia-Romagna, che sta sperimentando strumenti legislativi innovativi, in termini di progettualità e valorizzazione. Con la legge regionale n. 21/2022 «Riconoscimento e valorizzazione dei cimiteri monumentali e storici», infatti, è stato avviato un percorso che ha portato all’individuazione dei siti considerati significativi del patrimonio culturale del territorio. Tra i 31 accreditati, già 23 sono ora beneficiari di un finanziamento complessivo di 137.180 euro per attività di promozione culturale, tra le quali segnaletiche digitali, audioguide, visite teatralizzate, formazione di giovani guide, progettazione di restauri. Tra le eccellenze della regione ci sono le certose, antichi complessi monastici e ora veri e propri musei d’arte e di storia, come la Certosa di Bologna, dove nel novembre 1844 passeggiava rapito Charles Dickens e oggi si può andare alla ricerca del genius loci tra i sepolcri di Giosue Carducci e Lucio Dalla, e la Certosa di Ferrara, che accoglie, tra preziose architetture rinascimentali e struggenti sculture ottocentesche e Liberty, i monumenti funebri, tra gli altri, di Filippo de Pisis e Michelangelo Antonioni. E come dimenticare il silenzio sull’erba degli antichi cimiteri ebraici di Ferrara, Cento e Finale Emilia, o il Cimitero di San Cataldo (nella foto), appena fuori Modena, dove, accanto all’area ottocentesca, si staglia il metafisico cubo-ossario progettato da Aldo Rossi nel 1971? Per chi desidera approfondire è disponibile la pagina: patrimonioculturale.regione.emilia-romagna.it/cimiteri-monumentali-storici/risorse-online. Molto attivo nella promozione e valorizzazione dei cimiteri storici è il manager culturale Mauro Felicori (Bologna, 1952), assessore regionale alla Cultura e Paesaggio: «Sono molto legato all’idea del luogo della comunità come ricordo collettivo dell’individuo, e credo fermamente che incentivare nuovi modelli di fruizione e di condivisione possa farli considerare abituali luoghi di visita e contemplazione, come avveniva in epoca romantica». Felicori ha ripetutamente evidenziato come, oltre alla valorizzazione degli eminenti aspetti storico artistici, «l’attenzione per questi luoghi, che ormai si trovano nella prima periferia delle città, può rivelarsi un’importante risorsa anche sul piano ambientale, tenendo conto che con la diffusione della cremazione (ormai in un rapporto di 70 a uno rispetto all’inumazione) molte aree all’aperto resteranno libere, e potranno essere trasformate in spazi di riforestazione o in giardini tematici». Sul piano normativo, un’altra innovazione, che recepisce una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2017, è la cancellazione del divieto di costituire cimiteri privati, azione che potrebbe promuovere l’ideazione di nuovi ambienti architettonici e di nuovi progetti artistici legati alla conservazione delle ceneri.
[Valeria Tassinari]
Firenze apre il suo cimitero ebraico
Allo scopo di favorire la conoscenza della cultura ebraica, fino al 24 novembre Tempio maggiore e cimitero monumentale sono protagonisti di attività che comprendono visite guidate e laboratori per famiglie e bambini. La grande Sinagoga (inaugurata nel 1882 su progetto di Marco Treves e appartenente alla tipologia detta dell’Emancipazione) è al centro di approfondimenti che ne analizzano la storia e lo stile neomoresco nel contesto della diffusione dell’Esotismo in Italia, oltre a un focus sulla Torah. Si segnala poi come eccezionale l’apertura al pubblico del cimitero monumentale di viale Ariosto, vicino a Porta San Frediano. Le visite guidate curate da Opera Laboratori conducono alla scoperta di cappelle e monumenti funerari spesso pregevoli, come accade con la tomba di David Levi. La visita affronta non solo i riti legati al lutto e alla morte, ma anche la storia della Comunità ebraica fiorentina tra fine ’700 e fine ’800. Altri focus riguardano il museo situato ai piani superiori della Sinagoga, dedicati ai paramenti che impreziosiscono la Torah e alla produzione tessile ebraica, alla storia degli ebrei fiorentini dal ghetto al secondo dopoguerra e alle feste ebraiche. Un approfondimento è riservato al ruolo della donna nella cultura ebraica.
[Elena Franzoia]
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Redattori, corrispondenti, collaboratori e lettori di «Il Giornale dell’Arte» sono i nostri esploratori, gli investigatori di occasioni, eccezioni e stranezze che ogni mese il mercato internazionale dell’arte continua a offrirci
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