Dal 15 gennaio Angelo Crespi è il direttore generale della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Braidense, nominato dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. Nato a Busto Arsizio nel 1968, laureato in Legge, Angelo Crespi ha alle spalle una lunga sequenza di incarichi nella gestione di imprese e istituzioni culturali, tra cui: presidente e direttore scientifico di Valore Italia, Centro internazionale di formazione e ricerca per il restauro e la valorizzazione del patrimonio culturale; presidente del Museo Ma*Ga di Gallarate e in precedenza del Centro internazionale di Cultura di Palazzo Te di Mantova; consigliere d’amministrazione di Adi Museo del Design di Milano e prima del Piccolo Teatro di Milano e di Fondazione Triennale Milano. E altro ancora, a cui si aggiunge la militanza nel giornalismo culturale, nella critica d’arte, nella saggistica, nella drammaturgia. Un curriculum denso, tuttavia lontano dal cursus honorum nel Ministero, nelle Soprintendenze o in grandi musei italiani e stranieri condiviso, fino ad anni recenti, dai vertici museali italiani (specie in musei del calibro di Brera). Ne parliamo con lui.
Perché ha deciso di proporre la sua candidatura per Brera? Quali elementi di novità pensa di poter apportare, essendo il suo curriculum inconsueto rispetto al background dei direttori di grandi musei?
In realtà le nuove normative internazionali, dalla Convenzione di Faro del 2005 alle norme dettate dall’Unesco e poi da Icom, assegnano ai musei funzioni ulteriori rispetto a quelle tradizionali della tutela e conservazione: funzioni che vanno dalla sostenibilità all’inclusività, dall’enjoyment all’educational, fino al ruolo di motori di sviluppo economico. Lo stesso bando delle recenti nomine rendeva evidente che ci fosse spazio per figure non necessariamente provenienti dalla storia dell’arte. Dal 2014, quando il ministro Franceschini ha lanciato l’ArtBonus prevedendo poi l’autonomia dei musei, molto è cambiato. E ancor di più oggi con le nuove linee del ministro Sangiuliano, ispirate a trovare una reale sostenibilità, anche economica, del patrimonio culturale italiano. Il mio percorso manageriale non è certo estraneo alla cultura (ho avuto l’onore di lavorare in tutte le più importanti istituzioni culturali milanesi: mi manca solo la Scala) e risultava equipollente a quello degli storici dell’arte.
Ammetto però che, quando mi sono trovato nella decina finale, sono iniziati gli incubi. Sono infatti circa 100 le leggi che regolano l’attività dei musei autonomi e una trentina sono i compiti del direttore, che è anche, ad esempio, stazione appaltante e Rup (Responsabile unico del procedimento, Ndr), che deve governare il personale e la sicurezza, e molto altro. In sostanza, il direttore di un museo autonomo è come l’amministratore delegato di una grande società, con tutte le responsabilità che ne conseguono. Sì, sebbene sia laureato in Legge, ammetto di aver tremato. Era dai tempi dell’esame di Diritto amministrativo che non studiavo tanto, ma Brera era un sogno. E realizzarlo è stata una grandissima soddisfazione. Ora il mio primo impegno è mettere a terra i 45 milioni di euro già destinati alla cosiddetta «Grande Brera».
La «Grande Brera», di cui Palazzo Citterio è l’asse portante. Il ministro Sangiuliano ha annunciato nello scorso dicembre che, dopo 50 anni di attesa, sarà inaugurata entro il 2024. A che punto è il cantiere?
Su mandato del ministro Sangiuliano, Palazzo Citterio sarà aperto al pubblico il prossimo 7 dicembre, giorno di sant’Ambrogio e dell’inaugurazione della stagione scaligera: non a caso la nostra inaugurazione s’intitolerà «Prima della Prima». Il palazzo è nella maggior parte completato ed è in condizioni splendide. Da terminare è solo il secondo ingresso, in via Brera 14: in questa zona a metà marzo iniziano i lavori per realizzare l’impluvium, che garantirà luce zenitale all’atrio. Per farlo, occorre però consolidare tre solai, il che comporta un lavoro notevole soprattutto di progettazione.
Il suo predecessore, James Bradburne, aveva previsto qui una nuova scala. Ci sarà?
No, non ci sarà. Abbiamo pensato che costruire una scala non accessibile al pubblico fragile fosse una discriminazione inaccettabile alla luce della più recente normativa. Oltre che con Francesca Cappelletti, che ha retto in modo egregio l’interim, mi sono confrontato a riguardo con tre dei massimi architetti milanesi e tutti hanno convenuto che il corpo scale e ascensori del civico 12 fosse perfettamente adeguato. Senza contare la contrarietà degli ingegneri, poiché la nuova scala avrebbe reso più difficoltosa la messa in sicurezza del palazzo. Il giardino sarà poi collegato all’Orto Botanico, e questo porterà finalmente uno straordinario spazio verde in Brera.
A che punto è il progetto museografico?
Ci stiamo lavorando. Palazzo Citterio sarà una casa museo, un «museo delle collezioni». Per legato, il piano nobile ospiterà le collezioni Jesi e Vitali, che conserveranno ognuna la propria identità. E come raccordo con la Pinacoteca, il cui percorso espositivo si chiude con il 1860, ospiteremo «La Fiumana» di Pellizza da Volpedo (1895-96). Più in generale, ci sta seguendo un importante architetto e, grazie a un nuovo software di realtà aumentata brevettato da una start up, possiamo già «vedere» le opere esattamente come saranno nella collocazione prescelta, cambiando all’occorrenza la sistemazione e stabilendone al centimetro la posizione.
E all’ultimo piano?
Non ci saranno i nostri uffici, che restano nel palazzo storico ma totalmente rinnovati, con un progetto già finanziato. Ho preferito destinare questo spazio (luminosissimo) a mostre temporanee di arte moderna e contemporanea. Così sarà per il salone ipogeo di James Stirling, per il quale c’è, per l’inaugurazione, un progetto con un eccezionale artista italiano.
Quali spazi prevede per le mostre d’arte antica?
Queste (come accade felicemente alla Galleria Borghese) saranno allestite nel percorso della Pinacoteca, per esempio nei Saloni Napoleonici liberati dalle vetrine che oggi ospitano parte delle collezioni Jesi e Vitali. Ma in Pinacoteca vorrei aprire un nuovo Gabinetto dei Disegni (ora non visitabile), che conserva veri tesori, tra cui una carta di Leonardo. Continueranno anche le mostre nella Biblioteca Braidense, la cui Sala Teresiana è uno degli ambienti più belli di Brera: la prima, in maggio (già in calendario al mio arrivo), sarà dedicata ai libri d’artista di Enrico Baj.
Ha già idea di come impostare il rapporto con i privati?
Vorrei che Brera tornasse a essere centrale nelle dinamiche di Milano, chiudendo accordi di collaborazione con gli stakeholder pubblici e privati, con i quali ho già avuto numerosi contatti. Lancerò un «Patto per Brera» chiedendo a una ventina d’imprenditori di affiancare il progetto della «Grande Brera» per i prossimi quattro anni, sostenendoci attraverso l’ArtBonus (strumento utilissimo, ma finora usato poco qui). Un ruolo importante avranno gli Amici di Brera, cui la Pinacoteca deve tanto e che nel 2026 compiono 100 anni. Sarà un patto ispirato all’«Alleanza Cultura», lanciata da Fondazione Brescia Musei, e che vorrei potesse funzionare come l’advisory board del Museo di Capodimonte di Napoli.
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