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Simone Facchinetti
Leggi i suoi articoliÈ un profilo molto bello e intimo quello scritto da Alvar González-Palacios sull’amico Giovanni Pratesi nel catalogo Sotheby’s dell’asta «The Florentine Eye» che si è tenuta a Milano il 22 marzo. Non poteva essere diversamente dato che i due si conoscono da una vita, da quando Pratesi aprì il suo primo negozio in via Maggio a Firenze nel 1960. Dal ritratto emerge una personalità misurata, colta, intelligente, con i piedi piantati nella sua amatissima Toscana.
Pratesi è stato un punto di riferimento per il mondo dell’antiquariato italiano: presidente dell’Associazione Antiquari d’Italia, segretario generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze (Biaf) e direttore della «Gazzetta Antiquaria». L’asta era composta da 169 lotti, divisi tra dipinti, sculture in marmo, arredi, terrecotte, terrecotte invetriate, bronzetti, ceramiche e oggetti d’arte: alla fine ha totalizzato oltre 4 milioni di euro (più del doppio delle attese).
La stragrande maggioranza del materiale messo all’incanto era di matrice toscana e la scultura era certamente quella meglio rappresentata. D’altra parte, non va dimenticato che Pratesi ha pubblicato, in entrambi i casi con Allemandi, il Repertorio della Scultura fiorentina del Cinquecento (2003) e il Repertorio della Scultura fiorentina del Seicento e Settecento (1993). La cosa che più impressionava dello stock è che forse non spiccava un capolavoro assoluto, ma c’era qualcosa di più, una qualità media degli oggetti molto sostenuta. Lo stock di un antiquario in genere somiglia alla cantina degli orrori o a un armadio pieno di scheletri, mentre qui c’era una scelta di materiali selezionatissima.
Le stime erano più che oneste: sulla carta con poche migliaia di euro potevate già portarvi a casa qualcosa. Questo fatto ha determinato una percentuale del venduto piuttosto alta. Il top lot è stato il numero 78, corrispondente a due piedistalli in marmo del XIX secolo, stimati 6-10mila euro e venduti a 300mila (esclusi i diritti). Il notevole Busto di Bacco dell’atelier di Baccio Bandinelli, stimato 80-120mila si è fermato a 130mila (esclusi i diritti).
C’è stata una certa competizione sui bozzetti in terracotta della scuola di Duquesnoy (lotto 44, venduto a 58mila) e di Mazzuoli (lotto 67, venduto a 52mila euro). Anche i dipinti del Seicento fiorentino sono andati relativamente bene. Restano un mistero i due vasi del XVI-XVII secolo (lotto 26) stimati 60-80mila euro e venduti a 270mila (esclusi i diritti) che probabilmente hanno trascinato il top lot 78, forse per il semplice motivo che gli stavano appoggiati sopra.
Quando si assiste alla vendita all’asta della collezione di un grande antiquario è naturale provare a immaginare la sconsolabile tristezza che starà provando, mentre si separa da cose che ha desiderato e amato per lungo tempo. Niente di più sbagliato. L’antiquario sano (c’è anche la specie con gravi patologie, ma quella è un’altra storia) quando vende è felice, per il semplice motivo che investirà la somma nell’acquisto in cose migliori.
Non si nasce antiquari ma si muore antiquari, nel senso che è una professione che finisce solo con la scomparsa fisica del protagonista. L’antiquario non va in pensione, a meno che non sia costretto da cause di forza maggiore. Se qualcuno si ritira prima del decesso i colleghi iniziano ad avere il legittimo sospetto che non sia stato un vero antiquario.
L’incasso della vendita di «The Florentine Eye» probabilmente servirà a qualche nuova impresa dell’irriducibile Giovanni Pratesi, antiquario fino all’ultimo respiro.

Un ritratto di Giovanni Pratesi

Il busto di Bacco dell’atelier di Baccio Bandinelli
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