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C’è una Sicilia kafkiana: chiedete di Vittorio Messina

Giusi Diana

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Nel romanzo America di Franz Kafka, il protagonista Karl è un ragazzo di sedici anni che emigra nel Nuovo Mondo e compie un viaggio la cui tappa finale è il teatro naturale dell’Oklahoma dove «Tutti sono i benvenuti! Chi vuol diventare artista si presenti! […] il teatro può utilizzare tutti, ciascuno al proprio posto».

Nell’Albergo delle Povere di Palermo, la Sicilia diventa l’America immaginaria di Kafka: un Nuovo Mondo per nuovi migranti. Qui come nell’Oklahoma c’è un teatro naturale, che fino al 25 giugno si può ammirare trasfigurato nella mostra diffusa di Vittorio Messina intitolata «Teatro Naturale, prove in Connecticut», curata da Bruno Corà, promossa dal Museo Riso e allestita nell’Albergo delle Povere, nella Vetrina del Museo Riso, nella corte interna di Palazzo delle Aquile (sede del Comune) e nella Nuvole Galleria.

Nella parte ideata per gli ampi spazi del complesso monumentale barocco dell’Albergo delle Povere della Regione Sicilia, il teatro naturale dell’Oklahoma rivive in una serie di ambienti leggeri e temporanei, attraversabili con lo sguardo. Materiali edilizi poveri e d’uso comune, vecchi infissi di vetro, griglie metalliche, panni bianchi appesi e tubi al neon creano habitat e celle precarie assemblate secondo logiche decostruttive. La sala centrale è occupata quasi interamente da uno di questi habitat, un’installazione che evoca il teatro kafkiano, composta da uno spazio occlusivo e recintato atto a ospitare una concentrazione di esseri umani. Il pensiero va alla Babele dei giorni nostri, alle barriere che impediscono agli uomini di muoversi liberamente ma anche a quell’«America» che per molti migranti in fuga la Sicilia oggi rappresenta.

Giusi Diana, 02 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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