Marco Riccòmini
Leggi i suoi articoli«Ero seduto accanto al fuoco, dopo aver cenato, avvolto nel mio habit de voyage, abbandonandomi pigramente al sopore, in attesa del momento di mettermi in viaggio, quando i vapori della digestione, salendo al cervello, ostruirono a tal punto i canali attraverso i quali si formano i pensieri provenienti dai sensi, che ogni comunicazione si trovò ostruita. E siccome i miei sensi non trasmettevano più alcun pensiero al mio cervello, questo, a sua volta, non riusciva più ad emettere quel fluido elettrico che li anima, col quale il geniale dottor Valli resuscita le rane morte».
In apertura del XVLII capitolo del Voyage autour de ma chambre (1794) Xavier de Maistre (1763-1852) sembra prendere sul serio la sua sonnolenza postprandiale chiamando in causa l’opera del pisano Eusebio Valli, autore degli Experiments on Animal Electricity (1793), che nel 1792 aveva eseguito alcuni esperimenti sui moti convulsi delle rane proprio a Torino dove, di lì a poco, sarebbe stato recluso il nostro autore. Fa un po’ sorridere che a citare i piccoli anfibi sia proprio un «mangiarane», come son detti i francesi. Evidentemente amano glissare, posto che anche l’imperturbabile Julien Busson, nell’aggiornare la voce «rana» del Dictionnaire Universel de Medecine (1748), sorvola sulla questione, sostenendo che Galeno (il celebre medico dell’antica Grecia) non ha lasciato una parola al riguardo.
Ma è lecito immaginare che l’ufficiale savoiardo, da quel che ci confida, abbia ingerito un po’ più di qualche magra coscia di rana (e, forse, pure alzato il gomito): «Si comprenderà facilmente, dopo aver letto questo preambolo, perché la mia testa cadesse sul petto, prosegue, e come i muscoli del pollice e dell’indice della mia mano destra, non essendo più stimolati dal fluido elettrico, si rilasciassero a tal punto che un volume delle opere del Marchese Caraccioli, che tenevo stretto tra quelle due dita, sfuggì alla mia presa e cadde sul focolare». Magari sarà stato il De la Gaieté, stampato ad Avignone nel 1762.
Lo dico perché il «Colonnello al servizio del Re di Polonia, Elettore di Sassonia», come si firmava Louis Antoine Marchese Caraccioli, nel trattatello elogiava solo tre piaceri: lo studio, i viaggi e il cibo, meglio se consumato tra amici. Attenzione però alla cottura verrebbe da raccomandare, che il libro stava quasi per bruciarsi... E, come lo scrivo, mi viene da buttare un occhio alla pentola sui fornelli, visto che è quasi ora di cena.
A questo proposito c’è da chiedersi cosa prevedesse il menù in casa de Maistre, servito dal domestico, il fedele Joannetti, visto che di vivande non si parla mai. La tavola, però, la possiamo immaginare imbandita con un servizio di porcellana di Vinovo, sfornata in Piemonte in quegli anni nella fornace diretta da un arcanista di nome Vittorio Amedeo Gioanetti, curiosa omonimia che fa pensare a una possibile parentela col servitore-chef-tuttofare dell’autore.
Mentre penso a quei piatti bianchi a delicati decori floreali è giunta ora di cena e per apparecchiare tavola frugo nella credenza della casa sull’Appennino dove sconto la quarantena. Ne esce un piatto dipinto a mano con al centro un Bacco ebbro. La scenetta sembra cavata da una stampa cinquecentesca che cerco invano in questi pomeriggi oziosi. Alla fine, scopro che ricalca il decoro di un’alzata savonese bianca e blu di fine Seicento. A dipingervi sopra un Bacco ubriaco sarà stato un artista prossimo a Bartolomeo Guidobono (1654-1709), cresciuto in una famiglia di ceramisti, ordinato sacerdote e noto come frescante e decoratore di maioliche, detto il «prete savonese».
Penso a quanto sia curioso che agli oggetti che fanno parte del nostro arredo domestico non dedichiamo che un raro sguardo senza più chiederci, o esserci mai chiesti, cosa siano o cosa raffigurino. Dalle pagine del Voyage si direbbe che, al contrario, de Maistre conoscesse bene i dipinti e le stampe alle pareti della sua stanza, tutti a lui contemporanei e legati a recenti fatti storici o a episodi letterari «dans le vent». Sospetto che il piatto sortito dalla credenza non gli sarebbe andato a genio. Però, da come si descrive quella sera, una volta sobrio avrebbe potuto riconoscersi in quel Bacco vinto dal vino. E magari fingere ancora sonnolenza per allentare la presa delle sue dita, come spiegava lo scienziato Valli, lasciandolo così cadere al suolo in mille pezzi.
CAMERA CON VISTA
Capitolo I. Albert e Charlotte
Capitolo II. Un tableau parfait
Capitolo III. La prima comunione in quarantena
Capitolo IV. The dinner game
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