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Cecilie Hollberg: «A me le code fuori dai musei piacciono»

La 48enne storica tedesca, neodirettrice della Galleria dell'Accademia di Firenze, ha fama di saper far quadrare i conti. Ma ammette di doversi ancora orientare «in questa autonomia»
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Laura Lombardi

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Firenze. «Io questa autonomia non so bene cosa sia, mi devo orientare». Benvenuta Cecilie Hollberg, nuovo big direttore della Galleria dell’Accademia, storica di formazione con studi sui tedeschi a Venezia nel tardo Medioevo e su chiesa e società nel Sacro Romano Impero, e altri in scienze politiche; funzionario tecnico scientifico nelle Staatliche Kunstammlunegen di Dresda e nel Kulturhistorisches Museum di Magdbeburg, curatrice di mostre a Lipsia e Hannover, è stata, dal 2010 ad oggi, direttore del Städtisches Museum Braunschweig, ovvero il museo civico (da non confondere con l’Herzog Anton Ulrich-Museum, quello che ospita la «Cleopatra» di Rosso Fiorentino, per intenderci), ma un museo le cui collezioni sono costituite da dipinti dal XVIII al XX secolo, strumenti musicali, monete, fotografia, artigianato e molta etnografia.

Con un’ottima padronanza dell’italiano (ha studiato anche a Roma), corre voce sia una «brava» a far tornare i conti. «A me le code fuori dai musei piacciono», risponde a chi le chiede come risolvere certi problemi, e si può ben capire che sarà una certa emozione per lei vederle, perché dove ha lavorato non doveva esserci questo gran flusso; ma non è la risposta che ci si aspettava da chi dirigerà uno dei musei più importanti d’Italia.

Molto vaga sui progetti futuri, certo per cautela (però forse qualche linea guida in più non guastava, visto che Schmidt agli Uffizi e D’Agostino al Bargello sono stati più esaustivi), ha espresso la sua volontà di valorizzare l’intera collezione del museo, non solo il «David», «simbolo dell’uomo al centro dell’universo» (ma quello non era Leonardo?), quindi anche gli altri dipinti, i fondi oro, strumenti musicali e gessi di Lorenzo Bartolini e ha annunciato di aver negato il prestito di un «Prigione». E la mostra programmata per giugno 2016 dal precedente direttore Angelo Tartuferi, con dieci grandi nomi del contemporaneo da affiancare al «David», nella tradizione delle mostre dell’Accademia fin dai tempi della direzione di Franca Falletti? «Stiamo dialogando», risponde laconica, ma aggiunge «Io non sono contro la presentazione di pezzi moderni nei contesti più antichi. Per esempio, nel nostro museo, di architettura liberty, abbiamo esposto un’automobile modernissima. Era un bel contrasto, tutti erano ammirati!».

Certo che non bisogna essere nazionalisti, ma vien anche da dire che questa idea «estero è comunque meglio» sia un ragionamento molto provinciale, e che se si smembra un polo museale come quello fiorentino, che rispondeva a una precisa idea culturale di lunghissima data, un minimo di continuità, almeno ideale, sarebbe auspicabile mantenerla.

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Laura Lombardi, 15 dicembre 2015 | © Riproduzione riservata

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