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Giovanni Bellini, «Presentazione di Gesù al Tempio», 1460, Venezia, Fondazione Querini Stampalia

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Giovanni Bellini, «Presentazione di Gesù al Tempio», 1460, Venezia, Fondazione Querini Stampalia

Da sei secoli gli artisti seguono l’esempio di Narciso

Nel Museo Civico San Domenico di Forlì oltre 200 opere, dal Medioevo a Bill Viola, da Tintoretto a Marina Abramovic, tracciano la storia dell’autoritratto

Riccardo Falcinelli in Visus. Storie del volto dall’antichità al selfie (Einaudi, Torino 2024) parla della «facciologia», la faccia che è stata «fin dai tempi più antichi, una fucina di idee, riflessioni ed elaborazioni visive». Il viso e, restringendo relativamente il campo, il «proprio» viso, è l’oggetto di «Il Ritratto dell’artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie», visibile dal 22 febbraio al 29 giugno nel Museo Civico San Domenico di Forlì. Per la rassegna numero 20 di Fondazione Cassa dei Risparmi e Comune di Forlì i curatori Cristina Acidini, Fernando Mazzocca, Francesco Parisi e Paola Refice, con la direzione mostra di Gianfranco Brunelli, hanno individuato oltre 200 opere dal XV secolo a tutto il ’900 che analizzano per l’appunto l’autoritratto degli artisti nella storia. Questo affondo nella storia dell’arte parte da Narciso e dalla narrazione che ne fa Ovidio nel terzo libro delle Metamorfosi: figlio del dio fluviale Censo e della ninfa Lirope, Narciso era bellissimo, ma senza saperlo. Fu, dopo varie peripezie, condotto sulla sponda di una fonte le cui acque limpide per la prima volta gli restituirono, come in uno specchio, l’immagine del suo volto: lui, vinto dall’ammirazione per l’immagine riflessa, non trovò più la forza di staccarsene e morì. «Questo rispecchiamento di Narciso, spiega Brunelli, rappresenta l’autorispecchiamento dell’artista perché quella fu l’occasione del primo autoritratto. Non a caso Leon Battista Alberti nel De pictura (1435) riprende tale rispecchiamento teorizzando le arti visive come arti speculative e introducendo la figura dell’artista come uomo di lettere, protagonista del proprio tempo. Non più solo artigiano, dunque, ma figura importante nella società». 

Dottor Brunelli, perché la scelta di una mostra sull’autoritratto? 
Abbiamo pensato a una formula un po’ differente dal solito, una rassegna sulla conoscenza che analizzi visivamente come l’artista lungo i secoli struttura la propria opera in rapporto con il proprio tempo e il sé stesso. Sono temi fortemente in relazione: attraverso l’autoritratto, infatti, l’artista analizza sia la propria arte sia l’immagine che vuole dare, analizza insomma il proprio “io” più profondo. Per questo partiamo da Narciso e da Alberti che lo certifica, in un certo senso, anche se già da prima, dalla nascita vera e propria dello specchio a metà XIII secolo e in pittura con l’arrivo di Giotto poco dopo, iniziò la storia dell’auto ritrarsi. Da lì in avanti ritrarre il proprio volto, la propria immagine, è stata per ogni artista una sfida, un tributo, un messaggio, appunto un esercizio di analisi che mostra le aspirazioni ideali e le espressioni emotive e al contempo rivela le caratteristiche tecniche, il talento. 

Com’è strutturata la rassegna? 
Partiamo dal Medioevo e arriviamo a Marina Abramovic e a Bill Viola, facendo partire il percorso come sempre dalla Chiesa di San Giacomo, dove proponiamo un excursus sul tema di Narciso nel tempo, cui segue un’analisi del tema della maschera e le allegorie dello specchio fino alla dissoluzione dei corpi, tema piuttosto comune del ’900. 

Può fare qualche esempio di lavori presenti? 
La sezione iniziale presenta il «Narciso alla fonte» di Tintoretto dalla Galleria Colonna di Roma, il «Narciso» di Paul Dubois dal Musée d’Orsay di Parigi e la «Reflecting Pool» di Viola, che ben rappresentano l’articolato sviluppo della consapevolezza di sé degli artisti. Segue un approfondimento sullo specchio esponendo anche due splendidi emblemi di maschere teatrali (10-50 d.C.) del Museo Etrusco di Villa Giulia di Roma, mentre nelle sezioni «Per speculum... L’immagine dell’Invisibile» e «Allegorie dell’immagine» affrontiamo il tema del volto come espressione dell’anima, veicolo del divino con lavori di Lavinia Fontana, Tiziano e Jacob de Backer. La crescita del ruolo sociale degli autori è rappresentato dalla «Presentazione di Gesù al Tempio» di Giovanni Bellini, e ancora con opere di con Parmigianino e il «Doppio ritratto» di Pontormo. Tocca poi all’eroe dove, accanto al tema del ritratto intimo e colloquiale, si fa strada il modello dell’intellettuale gentiluomo, con «Erodiade» di Simon Vouet e incisioni di Rembrandt, mentre successivamente dedichiamo spazio al gran teatro del mondo del Seicento con, tra gli altri, Elisabetta Sirani e Salvator Rosa. Segue l’irrompere della realtà della storia e il sentimento della natura come ben rappresenta, ad esempio, Francois-Xavier Fabre e poi Gustave Moreau, prima della scelta, dal Settecento, tra bello ideale e sublime, esemplificabile a esempio da Canova e Zoffany. 

Nel ’900 cambia tutto. 
Ancor prima, per l’800, sono in mostra Giovanni Fattori, Antonio Mancini, Carena, Böcklin, Bernard, Giacomo Balla con cui arrivano al XX secolo, analizzato nelle sue differenze con de Chirico, Mario Sironi fino, come dicevo, a Viola e Abramovic. 

Maschera fittile di attore da Megara Hyblaea V secolo a.C. (primo quarto), Siracusa, Parco archeologico e paesaggistico di Siracusa, Eloro, Villa del Tellaro e Akrai, Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi»

Alberto Martini «L’uomo oceanico-Autoritratto», 1929, collezione privata. Cortesia di Stefano Bosi

Stefano Luppi, 14 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

Da sei secoli gli artisti seguono l’esempio di Narciso | Stefano Luppi

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