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«La Vague», di Paul Gauguin, 1888. Il dipinto della collezione Rockefeller è proposto in asta da Christie's con una stima intorno al 7 milioni di dollari

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«La Vague», di Paul Gauguin, 1888. Il dipinto della collezione Rockefeller è proposto in asta da Christie's con una stima intorno al 7 milioni di dollari

David Rockefeller, ovvero l’arte della decorazione

La vendita delle collezioni a New York sarà il trionfo assoluto del decennio

Bruno Muheim

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La vendita delle collezioni di David Rockefeller dall’8 al 10 maggio a New York presso la casa d'aste Christie's sarà il trionfo assoluto del decennio e indurrà a una serie di commenti iperbolici sull’arte e sul collezionismo. Chiariamo però alcuni punti. Non si è collezionisti semplicemente perché si raduna una grande quantità di opere d’arte. Certo, c’è l’acquirente bulimico che accumula tutte le opere inerenti al suo campo d’indagine, un personaggio caratteristico dell’Ottocento e descritto anche da Balzac, ma il vero collezionista procede con una metodologia precisa: ogni nuovo acquisto deve stare tra gli altri elementi della raccolta ed esiste solo e rigorosamente con l’insieme.

La collezione è in perenne evoluzione sia nell’acquisto sia nella vendita: per esempio, pezzi comprati agli inizi dell’attività spesso non hanno più la qualità richiesta e quindi vengono venduti. In genere, visitando una collezione, si notano sempre uno o due elementi un po’ deboli e il collezionista, come farebbe un genitore con un figlio un po’ degenere ma ugualmente amato, sussurra che si tratta di uno dei suoi primi acquisti e che lo terrà sempre come ricordo. Si tratta dunque di un discorso tutt’al più affettivo.

L’asta Rockefeller non ha assolutamente queste caratteristiche. David Rockefeller, come i suoi fratelli, era un uomo dotato di gusto eccellente, ma i suoi acquisti erano pensati per integrare un insieme di opere d’arte ubicate nelle varie case molto particolari della famiglia e dovevano formare un insieme decorativo di grande valore senza essere triviale. Il Van Gogh doveva andare d’accordo con gli altri quadri ma anche con il divano e le tende per creare un arredamento di gusto; l’insieme veniva vissuto per essere goduto, anche come simbolo di potere economico e sociale. Ciò equivale in modo meno ostentato e con rigore più «protestante» alla tradizione Rothschild. Nelson, il fratello di David, è stato un grande collezionista d’arte tribale, che però era considerata qualcosa a se stante e sfuggiva alle regole di arredamento delle case.

Dettaglio interessante: Christie’s ha intitolato l’asta «The Collection of D.R.» e non, come era tradizione, «The Estate of D.R.». Essendo i quadri e gli oggetti di epoche e origini diverse, l’opposto stesso del collezionismo, il titolo avrebbe potuto essere «The Collections of D.R.». Sicuramente la scelta di Christie’s è stata meditata. Come tutte le lingue l’inglese si sta evolvendo e il termine «Estate», che un tempo era la denominazione più nobile per designare una collezione, ora viene considerato quasi come qualcosa di riferibile a un estratto conto bancario. In un mondo estremamente manicheo come quello del mercato dell’arte usare un plurale come «collections» sembra dispregiativo e così arriviamo alla piccola ma significativa eresia di questo titolo improprio: ogni acquirente avrà l’impressione di acquistare un oggetto unico e non un pezzo d’arredamento.

Visti i risultati attesi, questo dettaglio fa davvero la differenza. Già in passato un’asta è stata sia di collezionismo sia di decorazione: mi riferisco alla vendita Saint Laurent del 2009. Yves Saint Laurent acquisiva opere per arredare la sua casa di rue de Babylone, ma tanti oggetti provenivano dalla famosissima collezione Doucet dell’inizio del Novecento, forse la più importante raccolta dopo quelle reali, che radunava le migliori opere di Brancusi, di Rousseau il Doganiere, di Picasso, Braque, Ruhlmann, Dunand e altri con un tema ben preciso, un vero progetto della mente umana. La base del collezionismo.

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Bruno Muheim, 07 maggio 2018 | © Riproduzione riservata

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