Si è chiusa con 33.200 visitatori, la 29ma Artissima. Un numero ancora lontano dalla media dei 50mila ingressi dell’epoca pre Covid, ma in risalita, lo scorso anno erano stati 31.500. Nei 4 giorni di apertura sono stati ospitati più di 8mila vip e 800 addetti, oltre a 650 collezionisti (nel corso dell’anno sono stati coinvolti e contattati 1.500 nuovi collezionisti) provenienti da 30 Paesi, 9 in più rispetto alla scorsa edizione: Arabia Saudita, Australia, Brasile, Cina, Corea del Sud, Hong Kong, Perù, Sud Africa, Canada, Stati Uniti e naturalmente Europa (Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Liechtenstein, Monaco, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia, Svizzera e Ungheria).
Circa 1.500 le opere esposte, principalmente dipinti e sculture, seguiti da installazioni e fotografie, pochi i video e i neon. Per la maggior parte si è trattato di lavori inediti o di recente esecuzione (2021-22); alcuni pezzi storici hanno innescato interessanti dialoghi tra il contemporaneo classico (Arte povera in primis) e le ultime tendenze italiane e internazionali, l’opera più vecchia un acquerello di Francis Picabia del 1926 da Richard Soulton. Il gallerista inglese, che ha di recente aperto una sede a Roma, ha confermato insieme a vari colleghi poco prima della chiusura l’impressione emersa a caldo all’indomani dell’opening: una buona edizione, frequentata nuovamente da un pubblico internazionale (che si auspica continuerà a crescere) e da collezionisti italiani molto preparati, dove il mercato è attivo principalmente sotto i 30mila euro, pur non mancando alcune vendite e trattative a sei zeri, e dove i galleristi cercano, anche, se non solo, contatti con curatori, direttori e istituzioni per promuovere e fare crescere i propri artisti. 25 le delegazioni di importanti board museali in visita a Torino, tra questi Fondation Beyeler (Basilea), KW Institute for Contemporary Art (Berlino) e Museu de Arte Moderna de São Paulo (Brasile).
Da Sprovieri (Londra), con un focus su artisti italiani contemporanei e storicizzati, Marisa Merz e Jannis Kounellis insieme a Giorgio Andreotta Calò (Padiglione Italia alla 57ma Biennale di Venezia) e Francesco Arena, autore di una tela dagli esiti pittorici molto raffinati realizzata imbevendo del tessuto nell’acqua di mare, si commenta: «Per noi è stata una buona edizione, in linea con la precedente, i prezzi nel nostro stand vanno da 5mila a 300mila euro, abbiamo lavorato lavorato un po’ in tutte le fasce».
L’Arte povera, nella sua terra d’origine, è una certezza su cui collezionisti italiani e internazionali contano e avviano trattative, come conferma Elisabetta Di Grazia della storica galleria Tucci Russo (Torre Pellice), con una grande tela di Mario Merz del 1981-82, un’opera, tra le più fotografate, realizzata da Giuseppe Penone nel 2011-15 fissando spine d’acacia su tela, produzioni recenti di Giulio Paolini (2018-21) e un importante lavoro di Giovanni Anselmo del 1984-91, con prezzi fino a 700mila euro. «È stata un’edizione positiva, molto interessante, abbiamo avviato delle trattative, la tipologia di opere che proponiamo richiede tempi un po’ meno rapidi di quelli che la fiera offre, l’edizione è positiva. Ci sono i collezionisti curiosi delle novità, ma vedo che le cose classiche del contemporaneo suscitano sempre il giusto rispetto», afferma.
Certo, varcati i confini, si sa, il mercato è più dinamico e vivace, come ricorda il napoletano Alfonso Artiaco, reduce un paio di settimane fa da un’edizione della Fiac, diventata Paris+, di grande successo. «Qui ad Artissima proponiamo una panoramica degli artisti della galleria per farli conoscere a un pubblico più ampio (Vera Lutter, Gilbert & George, Anri Sala, Ann Veronica Janssens, Tursic & Mille, Perino & Vele, Liam Gillick, Diego Cibelli). Il mercato è quello che ci aspettavamo a Torino, è andata bene, ma non benissimo rispetto a quanto si poteva sperare nonostante una congiuntura internazionale non semplice. Abbiamo lavorato, ma siamo reduci da una super Paris+, mancano ancora molti collezionisti internazionali. I nostri prezzi in stand vanno da 3.500 a 120mila euro, abbiamo lavorato meglio con molte cose nella fascia più bassa, ma anche concluso qualche vendita importante», racconta.
Soddisfatto anche il bergamasco Thomas Brambilla, che ha venduto al Castello di Rivoli l’unico lavoro di Klasu Rinke presente da oggi in un museo italiano (vedi giorno 3). «Ho preso uno stand molto grande perché desideravo rappresentare qui tutti gli artisti con cui sto lavorando. Gli affari sono andati bene, ho venduto il Rinke del 1972 al Castello di Rivoli, un’opera storica di Simon Linke molto importante (da 100mila euro), un’opera di Robert Feintuch, diversi lavori del giovane torinese Erik Saglia. La maggior parte delle vendite si è conclusa con opere da 25mila-30mila euro. Sono stati premiati i miei artisti più concettuali, rispetto agli artisti più da mainstream come Linda Benglys (sua l’opera più cara in stand, una scultura da 300mila euro, Ndr) e Jack Pierson, che di solito in altre fiere funzionano di più. Ho allacciato molti contatti nuovi, di gente che non ha mai comprato da me, è stato piacevole, dopo un’estate particolare, lenta, speriamo che l’anno continui così come è cominciato ad Artissima», racconta.
Isabella Bortolozzi (Berlino), ha invece scelto di portare solo opere non molto costose, mantenendosi in una fascia da 8mila a 35mila euro, «accessibile anche da collezionisti più giovani, con i quali è importante cominciare a lavorare», spiega. Si tratta dei giovanissimi ma già conosciuti Leila Hakmat, Hannah Quinlan & Rosie Hastings (in mostra alla Tate), Ed Atkins e James Richards. «Artissima è una fiera dove le cose succedono lentamente, ma costantemente, ci sono stati bei collezionisti fino alla fine, ci sono impressioni diverse, per alcuni è andata molto bene, per altri è stato più lento», aggiunge passeggiando tra gli stand insieme ai colleghi membri del comitato di selezione della fiera (Isabella Bortolozzi, Paola Capata, Philippe Charpentier, Raffaella Cortese, Antoine Levi, Nikolaus Oberhuber e Alessandro Pasotti).
«Artissima è la fiera che internazionalizza il sistema italiano dell’arte connettendolo con quello globale. Nutre, cresce e quasi produce una nuova generazione di galleristi italiani e internazionali, come dimostrano le 42 gallerie per la prima volta a Torino. Un dato che dimostra la fiducia del settore nel modello Artissima come generatore di sviluppo culturale ed economico, grazie a una doppia agenda: quella del mercato e quella dei curatori e direttori di istituzioni culturali, che a Torino trovano una piattaforma di aggiornamento, scambio e relazione», conclude fiducioso il direttore Luigi Fassi, a cui nel 2023 spetterà il compito di «soffiare» sulle trenta candeline della fiera.
Una delle principali motivazioni che spingono molte gallerie, italiane e internazionali, ad ambire al palcoscenico di Artissima è la possibilità di promuovere i propri artisti nel circuito museale, consolidando così sia l’impatto estetico e culturale delle loro opere sia il valore di mercato. È un dato che rende la fiera torinese piuttosto unica nel suo genere, con 50 curatori e direttori di musei da tutto il mondo coinvolti nelle giurie di dieci premi (domani l’elenco completo) e tre sezioni curate, cui si aggiunge «Artissima in Town», ovvero tre progetti espositivi che portano nei musei cittadini opere di artisti e gallerie presenti in fiera.
Tutto è cominciato 22 anni fa con le gallerie e gli artisti emergenti di Present Future, sezione curata, quest’anno dallo scrittore e curatore indipendente Saim Demircan e dalla direttrice del Kunstverein di Monaco Maurin Dietrich, con 11 artisti rappresentati da altrettante gallerie (solo una italiana). A questa sezione è dedicato il premio illy Present Future, grazie al quale il vincitore torna in città l’anno successivo con una personale in un museo, fino a un paio di anni fa era il Castello di Rivoli, che ha passato il testimone alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, dove fino all’8 gennaio si ammira «Liquid Transfer» di Diana Policarpo, artista portoghese, classe 1986, vincitrice della scorsa edizione del premio con la Galeria Lehmann + Silva (Porto).
Il vincitore del 2022 è l’artista cinese Peng Zuqiang, rappresentato dalla galleria Antenna Space (Shanghai). A sceglierlo la giuria composta da Tominga O’Donnell (senior curator Contemporary Art al MUNCH di Oslo), Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino), Fabian Schöneich (founding director del CCA Berlin – Center for Contemporary Arts a Berlino) e Moritz Wesseler (direttore del Fridericianum di Kassel).
Li ha conquistati il nuovo video «Sight Leak» e la serie di fotografie da esso ricavate: «Girato in 16 millimetri, il video è ispirato ai diari dei viaggi di Roland Barthes in Cina. Nel film una telecamera traballante segue un “turista locale” nei suoi spostamenti nella città natale dell’artista: Changsha. Peng getta un ponte tra passato e presente in un modo ammaliante, soffuso da un senso di nostalgia, e mantiene una rilevanza contemporanea affrontando i temi delle classi sociali, della queerness e dei desideri latenti», spiega la giuria.
Dal premio illy sono passati artisti come Michael Beutler nel 2005, consacrato negli anni seguenti con personali in prestigiosi musei tra cui Hamburger Bahnhof di Berlino e Museum für Moderne Kunst di Francoforte, e Cally Spooner nel 2017, un paio di anni prima della personale all’Ars Institue di Chicago, solo per citarne un paio.
Sempre dalla sezione Present Future arriva il vincitore del 13mo Premio Ettore e Ines Fico: Kate Newby della galleria Art Concept (Parigi). L’opera entrata nella collezione del Mef-Museo Ettore Fico è la lastra in vetro «Close is good» (2022), un’opera prodotta con una fabbrica francese, che indaga «la forza e la potenza dei materiali esaltati dalla semplicità minimale delle forme, pure e geometriche, che invitano lo spettatore a interrogarsi sul senso e la poetica della vita», spiega il direttore del museo, Andrea Busto. Tra i precedenti vincitori Gian Maria Tosatti (Lia Rumma di Milano/Napoli nel 2016) che ha rappresentato l’Italia alla 59ma Biennale di Venezia, e Anne Imhof (Isabella Bortolozzi di Berlino nel 2015), cui il Castello di Rivoli ha dedicato quest’anno una grande personale.
Artissima in fondo ha il dovere di bilanciare mercato e cultura, essendo il suo marchio di proprietà pubblica, afferisce infatti alla Fondazione Torino Musei. Allo stesso tempo due importanti pilastri, come Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT (i due enti di origine bancaria che hanno alle spalle i colossi Intesa Sanpaolo e Unicredit), alimentano questo circolo virtuoso tra pubblico e privato, economia e cultura con altri importanti progetti.
Sono oltre 15, con questa, le edizioni di Artissima sostenute dalla Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT con l’acquisto di opere per le collezioni del Castello di Rivoli e della Gam, concesse in comodato permanente. Fanno parte della collezione della Fondazione, alimentata nei suoi 20 anni di attività ad Artissima e altrove, composta «da oltre 900 opere tra dipinti, sculture, video, fotografie, installazioni e Nft, di circa 300 artisti per un investimento complessivo di oltre 40 milioni di euro», spiega la neo presidente Maria Luisa Papotti.
Dieci i lavori acquisiti quest’anno, di sette artisti, con un budget di 150mila euro: a Rivoli Rossella Biscotti (mor Charpentier, Parigi e Bogotà), della quale il museo ha in preparazione una retrospettiva il prossimo anno, Pietro Moretti (Doris Ghetta, Bolzano), giovane pittore espressionista figlio del regista romano Nanni Moretti, e Klasu Rinke (Thomas Brambilla, Bergamo); alla Gam Nicolò Cecchella (Cardelli & Fontana la Spezia), Simone Forti (Raffaella Cortese, Milano), Francesco Gennari (Galerie Ciaccia Levi, Parigi) e Claudia Losi (Monica de Cardenas, Milano).
Una formula consolidata e all’epoca innovativa che riflette l’illuminato collezionismo torinese, attento e desideroso di creare un patrimonio a destinazione pubblica per costruire attraverso la più e meno giovane arte italiana del presente la memoria e il passato del futuro. Un prestigio per il quale non è insolito che molte gallerie applichino il cosiddetto «sconto museo».
«Le nuove acquisizioni per il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea accrescono la Collezione in linea con l’impegno del Museo nei confronti degli sviluppi dell’arte nazionale e internazionale, dalla metà degli anni sessanta al presente, ponendo attenzione tanto ad artisti affermati quanto alle generazioni più giovani. In dialogo con l’importante nucleo di Arte povera, una delle acquisizioni porta per la prima volta in un museo italiano un’opera dell’artista del Gruppo di Düsseldorf, Klaus Rinke (1939), caro amico di Mario Merz, intitolata “Durchs Bild Format gehen von rechts nach links (Attraverso il formato del quadro andando da destra verso sinistra)” del 1972, un’opera già esposta al MoMA, che il gallerista bergamasco Thomas Brambilla ci ha venduto con un generoso sconto museo del 60%, quasi una donazione», spiega la direttrice del Castello di Rivoli, Carolyn Christov-Bakargiev.
«Con le acquisizioni ad Artissima 2022, la Gam si arricchisce di opere di autori che rappresentano il meglio dell’arte italiana internazionalmente nota, assicurando la presenza di rare opere storiche e lavori recenti, in relazione con il patrimonio già acquisito. La serie storica di Simone Forti, “Illuminations (Illuminazioni)” del 1972, per esempio, andrà a unirsi al video del 1973 della stessa artista, già della collezione, della quale in prossimo anno ci sarà una mostra in videoteca», aggiunge il direttore della Gam, Riccardo Passoni.
È da citare anche la mostra «Collective Individuals» nelle Gallerie d’Italia -Torino, polo museale di Intesa Sanpaolo (presente in fiera con un focus della sua bellissima mostra di Gregroy Crewdson). «Collective Individuals», visibile fino al 6 novembre, curata da Leonardo Bigozzi, porta nello spazio museale di piazza San Carlo la giovane videoarte, un medium molto praticato dagli artisti, ma poco ricercato dai collezionisti, che ad Artissima trova così un ottimo sbocco. Sette gli autori esposti, quasi tutti al loro debutto in Italia: Jonathas de Andrade (galleria Continua), Cinthia Marcella & Tiago Mata Machado (galleria Sprovieri, Londra), Hiwa K (Kow, Berlino & Prometeo Gallery Ida Pisano, Lucca), Adelita Husni-Bey (galleria Laveronica, Modica), Larry Achiampong (galleria Copperfield, Londra), Yael Bartana (Raffella Cortese, Milano), e Alice Dos Reis (Lehmann + Silva, Porto).
Luigi Fassi (per Artissima) insieme a Davide Quadrio (per il Mao), Riccardo Passoni (per la Gam) e Federico Villa (per Palazzo Madama), direttori delle tre istituzioni della Fondazione Torino Musei, curano invece «So will your voice vibrate», con le installazioni sonore di Riccardo Benassi (ZERO..., Milano), alla Gam fino all’8 gennaio con una scultura audio che indaga il fenomeno acustico della voce umana attraverso la relazione tra timbro naturale e alterazioni tecnologiche; Charwei Tsai (Mor Charpentier, Parigi, Bogotà), al Mao fino a marzo 2023 con un’opera che riflette sull’uso mistico e meditativo della voce mostrando gli effetti delle onde sonore sulla superficie fluida dell’inchiostro; e Darren Bader (Franco Noero, Torino), a Palazzo Madama il 4 e 5 novembre alle 11 con una performance che mescola Beethoven al rock melodico.
Artissima ha infine ancora un asso nella manica: la collaborazione con i grandi brand, da Juventus a Jaguar, da FPT Industrial a Vanni Occhiali. Tanti gli ambiti in cui si instaurano collaborazioni, per esempio la prefigurazione del metaverso, cui si riferisce l’ambiente immersivo «An Alchemic Experience», caleidoscopico tunnel immersivo sviluppato per Jaguar da Anderson Tegon, direttore artistico e fondatore di Pepper’s Ghost, pionieristica agenzia creativa digitale.
Oppure l’incontro tra arte, innovazione e sostenibilità cui si riferisce il premio FPT for Sustainable Art Award, conferito da Hélène Guenin (direttrice del MAMAC Nice di Nizza), Markus Reymann (direttore del TBA21 Thyssen-Bornemisza Art Contemporary di Vienna) e Gian Maria Tosatti a Nohemí Pérez, rappresentata dalla galleria Mor Charpentier (Parigi e Bogotà). La sua grande tela di 215x300 cm, «Apuntes para quemas» (2022), con un bosco ricamato e disegnato in carboncino, entra nella collezione di FPT Industrial, sensibilizzando al tema della carbon neutrality: «L’artista colombiana esplora le tensioni del suo territorio d’origine, Catatumbo, al confine tra Venezuela e Colombia, rappresentando le specie in via di estinzione e la distruzione causata dalle attività estrattive e dai conflitti sociali. Il riferimento al carbone come strumento delle sue opere incarna il rapporto del territorio con le miniere», spiega la giuria.
Niente di male, dunque, a mescolare arte, industria e grandi marchi in un circolo virtuoso. A prima vista possono sembrare mondi agli antipodi, ma in realtà sono quasi sempre gli artisti a immaginare e prefigurare il futuro, con i suoi desideri, bisogni e soluzioni che l’industria e la tecnologia avranno poi il compito di sviluppare.
Zero mascherine, zero limitazioni, ristorazione e tutti i servizi a pieno regime, nella prima Artissima post pandemia, il Covid è ormai un ricordo lontano. I collezionisti, italiani e internazionali, sono tornati numerosi dall’Europa e qualcuno anche dall’America, merito delle gallerie, straniere per la maggior parte (il 59%), e del loro seguito, con una buona presenza da Germania, Svizzera, Francia, Inghilterra, ma anche Brasile, Stati Uniti e Africa. Gli anni difficili non sono finiti, alla pandemia è seguita la guerra ai confini dell’Europa e la crisi energetica, l’arte è sempre un bene di rifugio, la voglia di comprare c’è, ma il mercato è più riflessivo, specialmente per una fiera sperimentale e cutting-edge come Artissima, dove 42 gallerie sono alla loro prima partecipazione e diversi artisti al loro debutto italiano.
Incontrare direttori di musei, art advisor e curatori resta una delle motivazioni primarie per molti espositori, che mediamente propongono opere di ragionevoli dimensioni e prezzi nella fascia medio bassa: la maggior parte sotto i 50mila euro, con una minoranza di lavori fino a 300/400mila euro e rare punte che sfiorano il milione (con una funzione, più che altro, di rappresentanza).
Date le aspettative calibrate alla contingenza il primo giorno è stato soddisfacente. Vanno bene da 1301PE (Los Angeles) i disegni di Ana Prvacki (da mille a 5mila euro), 46enne artista di origine jugoslava che il pubblico italiano ha conosciuto una quindicina di anni fa al Castello di Rivoli. «Siamo nella sezione Disegni con una serie di ironici e divertenti acquerelli realizzati dalla Prvacki negli ultimi anni, che hanno raccolto l’interesse di collezionisti italiani, brasiliani e tedeschi», spiega il gallerista Brian O. Butler.
Veterano di Artissima, membro per molti anni del comitato di selezione della fiera, anche il viennese Gregor Podnar è presente nella sezione Disegni, con le tavole di Dan Perjovschi (a 3.500 euro ciascuna), e nella Main Section con dipinti, sculture e fotografie da 4mila a 120mila euro di Robert Gabris, Ivan Kozaric, Julije Knifer, Anne Neukamp, Nobuto Tsuchiya, Oho e Prioz Bizjak: «Nella prima sera abbiamo fatto qualche piccola vendita, i tempi sono ancora difficili e il flusso di collezionisti non è comparabile agli anni migliori, ma è tornato a crescere e questo ci fa ben sperare per i prossimi giorni», spiega.
La fascia bassa funziona sempre bene ad Artissima, lo confermano le numerose vendite sotto i 10mila euro concluse il primo giorno. Dalla Galerie Urs Meile con sede a Lucerna e Pechino, per esempio, c’è interesse per le fotografie, le sculture e i dipinti di artisti svizzeri e cinesi di diverse generazioni e prezzi, dai 3.400 euro di Maio Miao ai 30mila di Urs Lüthi, con in mezzo Mirko Baselgia, Marion Baruchi, Chen Zuo e Ju Ting: «Torniamo da alcuni anni, abbiamo stretto molti contatti importanti che tornano a trovarci, qualcosa abbiamo già venduto», afferma la gallerita Karin Seiz.
Sulla stessa linea la galleria di Amsterdam Upstream di Neck de Bruijn, che propone una serie di video dell’artista olandese Jeroen Jongeleeen a 8.500 euro ciascuno. «Ritraggono Jongeleeen che crea disegni correndo nel paesaggio per ore e ore, un intervento che mescola Land art, disegno, video, performance, arte concettuale, pittorica, minimalismo, luce e colore; alcuni pezzi sono stati già venduti, a collezionisti italiani e tedeschi, ma siamo qui più che altro per incontrare direttori e curatori», dichiara.
Non si sbilancia ancora Benedetta Spalletti della galleria Vistamare (Pescara), che ai collezionisti, cauti ma animati da buone intenzioni, offre una panoramica degli artisti della sua galleria, da quelli storici, come Ettore Spalletti, Joseph Kosuth e Mario Airò, ai più giovani, come Anna Franceschini, Lorenzo Scotto di Luzio e Claudia Comte; prezzi da 6.500 a 270mila euro. «Il primo giorno abbiamo posto le basi per delle vendite che spero si formalizzeranno nei prossimi giorni. Le persone prendono tempo per maturare le proprie decisioni, ma c’è un buon flusso di collezionisti. Faccio Artissima da molti anni e so che può sempre riservare sorprese», afferma.
Contento delle prime vendite Peres Projects (Berlino, Seoul e Milano), che torna a Torino con una selezione di artisti fidelizzati e alcune new entry, da Shaung Li, Donna Huanca, Ad Minoliti a Rafa Silvares, e prezzi da 4.200 a 125mila euro: «Il primo giorno è andato bene; abbiamo fatto Artissima per molti anni, dal 2014 non eravamo più tornati fino allo scorso anno, speriamo di continuare bene anche nei prossimi giorni», ci dice Benedetta Tuzzi.
E nella fascia più alta, nella Torino frequentata anche da alcuni buoni portafogli italiani e internazionali, chi funziona bene sono gli artisti «di casa», italiani e torinesi, come Piero Gilardi, da Biasutti & Biasutti con opere recenti, e Giorgio Griffa, dalla romana Lorcan O’Neill con tele degli anni Settanta, Novanta e degli ultimi 15 anni (da 9mila a 70mila euro), molto apprezzate dai collezionisti italiani e tedeschi: «Siamo contenti delle prime vendite, tutte nella fascia intermedia, speriamo che il trand continui», afferma la direttrice Laura Chiari.
Un’ulteriore conferma arriva da Tornabuoni, colosso dell’arte moderna e contemporanea che a Torino porta il secondo dopoguerra: un focus sull’Optical art (Alviani, Scheggi, Dadamaino, Castellani e new entry come Francesca Pasquale), un piccolo excursus sul colore e l’astrattismo (Fontana e Albers, Dadamaino e Biasi) e un omaggio ai torinesi Carol Rama e Mario Merz; prezzi dai 30mila ai 400mila euro, fino a sfiorare il milione. «Abbiamo fatto alcune vendite consistenti, a collezionisti noti che già hanno opere di questi artisti», in particolare «collezionisti stranieri che guardano a opere più importanti di artisti torinesi o di Albers, conosciutissimo e apprezzato dagli anglosassoni e raro da trovare», conclude Ursula Casamonti.
Più cautela, invece, per opere, di fascia bassa ma di artisti meno conosciuti, come Emel Kurhan, Aret Gicir e Silvia Bingaz (da 3mila a 8mila euro), nello stand di Oktem Aykut (Istanbul), alla sua terza Artissima: «Le vendite non stanno andando molto bene, ma non sono la nostra priorità, siamo qui per incontrare gente», spiega il gallerista Doğa Öktem.
Insomma, come dice il fondatore del leggendario Studio Morra e presidente dell’omonima Fondazione partenopea, Peppe Morra, personaggio outsider che ha abbandonato le fiere nel 1976 e che abbiamo incontrato nel raffinato stand della salernitana Paola Verrengia (Marina Paris), «Si fa quel che si può... perché l’arte aleggia nel futuro del cosmo», ma per le conclusioni del mercato basterà aspettare solo un paio di giorni.
Come sarà l’arte del futuro? È la domanda che identifica Artissima nel mondo del contemporaneo, quello più all’avanguardia e internazionale dove la fiera torinese è ormai un brand riconosciuto di scouting e di ricerca ambito dalle giovani gallerie (per le quali costituisce un rodato trampolino di lancio) e dai colleghi già affermati (che qui possono osare con progetti innovativi, talvolta radicali).
Difficile rispondere. Ma muovendosi tra gli stand ariosi e ben illuminati delle 174 gallerie, straniere al 59%, emerge una prima certezza, e cioè che l’arte del futuro parla la lingua del «passato». La pittura è il medium predominante tra le migliaia di opere esposte (in allestimenti personali, bipersonali e collettivi sempre curati e ben calibrati). Figurativa, astratta, concettuale, variopinta, monocromatica, a parete, sul pavimento, realizzata con oli, acrilici, materiali e supporti classici o inusuali: sono molte le declinazioni che la proiettano negli anni a venire.
Tra le giovani proposte e i mid-career, come Eugenio Tibaldi da Umberto di Marino con una serie di antiche incisioni di castelli su cui è intervenuto disegnando sex toys pop e colorati, spiccano qua e là grandi numi tutelari, Enrico Castellani e Paolo Scheggi (da Tornabuoni, Firenze), Cesare Tacchi (da Z2o, Roma), Gilberto Zorio (de Foscherari, Bologna), Piero Gilardi (da Biasutti & Biasutti, Torino), Giulio Paolini (da Repetto, Londra), Gina Pane e Marina Abramovich (da Richard Soltoun, Londra) e persino Francis Picabia.
La scultura e il disegno dialogano con la pittura in un virtuoso sistema dove il segno è il germe da cui molte opere traggono origine. La pittura gestuale e marcatamente materica con cui la sudafricana Mia Chaplin, da Whatiftheworld, dà corpo a nudi femminili aggrovigliati fa da eco alle sue sculture in ceramica, raffiguranti pance gravide attraverso una superficie che simula la pelle, pallida, livida e delicata. Il bestiario e le figure dipinti a olio e matita su carta da Francesco Balsamo per Collica & Partners, simili a proliferazioni di cristalli, si rispecchiano in uno stencil raffigurante un uomo, in cuoio, appeso alla parete, deformato dalla forza di gravità.
La manipolazione della materia esercitata dalle forze naturali è una grande costante qui ad Artissima. Margarethe Drexel per Doris Ghetta (Ortisei, Milano) riempie una serie di alambicchi con acqua e una mistura di foglie e lieviti che fermentando gonfiano palloncini bianchi di varie forme: il lattice ingloba l’energia senza opporsi alla sua forza, la accoglie e ne mostra i mirabili effetti. Tutto è in trasformazione e tutto ci trasforma, come vuole il tema scelto dal direttore Luigi Fassi: «Transformative Experience».
Per Sebastiano Sofia, da Boccanera Gallery (Trento), scultura e pittura sono due facce di un’unica medaglia. I soggetti che dipinge su tela e su tavola sono lupi, ombre dallo sguardo imperscrutabile che ci mettono in contatto con gli istinti più oscuri e brutali che albergano in ciascuno di noi e che egli esorcizza rompendo le tavole e lasciando visibile la spaccatura o manipolando blocchi di argilla cui conferisce le sembianze di una bestia. «La pittura è un corpo consapevole delle proprie crepe, un copro che accetta di spaccarsi per fare passare la luce», racconta l’artista.
Il rapporto tra uomo e bestia, dove la bestia rappresenta ciò che non conosciamo e non controlliamo, e che per questo ci fa paura, sottende tanti lavori, sia il tema la guerra, il riscaldamento globale, l’omofobia o il post colonialismo. Alicia Reyes McNamara da Niru Ratnam (Londra) dipinge una divinità mitologica antropomorfa azteca trasformata in un demone durante il colonialismo. È una figura ibrida, malvagia e decaduta che rivendica il proprio spazio e la propria natura.
Mezze animali e mezze umane sono anche le poetiche e malinconiche sculture di Giulia Cenci da Spazio A (Pistoia), calchi violacei di membra di cani realizzati in resina, polveri e quarzo, sistemati in pose che evocano fragilità e incertezza, come il mondo che attraversano. Accanto a essi, una fotografia dell’artista turco Andro Eradze raffigura una zampa di cane illuminata da una luce fosforescente e incorniciata da una ringhiera: è una visione notturna, il «luogo» in cui la ragione cede all’irrazionale, all’inconscio, al non umano.
«La ragione non è in grado di accettare l’esistenza e la rivelazione dell’ignoto, né il suo potenziale trasformativo, che va accolto come tale, senza illudersi di poterlo anticipare; bisogna desiderare di conoscere ciò che noi diventeremo» spiega Fassi. Accade nelle opere di Malo Chapuy da Mor Charpentier (Parigi), che colloca madonne e iconografie rinascimentali al cospetto di contemporanee architetture in cemento, creando un anacronismo in cui il passato e il presente sono entrambi fuori posto, o nel lavoro di Marco Pio Mucci da Castiglioni (Milano), un plinto bianco colorato con i gessetti blu delle stecche da biliardo, tabula rasa su cui scrivere una nuova storia dell’arte e dell’umanità.
L’arte di domani guarda oltre questa terra di confine tra la pittura e la scultura, l’umano e il non umano, l’ignoto e la ragione per condurci in un mondo nuovo, diverso, dove se inseriamo una vecchia moneta da 500 lire in un Jukebox degli anni Ottanta (opera di Mauro Cappotto da Collica & Partners, San Gregorio di Catania) seduti a un tavolino da bar, possiamo ascoltare poesie, chiudere gli occhi e trasformarci.
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