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Olga Scotto di Vettimo
Leggi i suoi articoli«Mi sarebbe difficile il rendere conto di questa giornata», scrive Goethe l’1 marzo 1787 nel suo Viaggio in Italia per descrivere le emozioni che lo hanno accompagnato durante la visita nell’area flegrea. «Una gita per mare a Pozzuoli, un breve tratto di strada per terra, passeggiate piacevoli nella contrada la più amena del mondo. Il suolo il più infido, sotto il cielo il più limpido! Acque bollenti, grotte le quali sprigionano vapori zolforosi, monti calcari, decomposti, selvaggi, ostili alla vita delle piante, e ad onta di ciò, vegetazione rigogliosa quanto si possa vedere dovunque; la vita che trionfa sulla morte; stagni, ruscelli, e per ultimo una foresta stupenda di querce, sulla pendice di un antico volcano. Il pensiero ricorre ivi, ora alla natura, ora alla storia dei popoli scomparsi. Si vorrebbe riflettere, meditare, ma non vi si riesce. Intanto sorride intorno a noi la vita, della quale pure non si può fare a meno. Ci stanno attorno persone colte, le quali conoscono il mondo, la sua essenza, ma per squisitezza di tatto sanno astenersi dallo abbandonarsi a considerazioni troppo serie».
Sono questi i tipi di incontri che hanno cadenzato i giorni di Panorama Pozzuoli, iniziati con le Colazione con l’artista. Tra gli ospiti Cristiana Perrella, direttrice del Macro e, da pochi giorni, presidente dell’Accademia Pontificia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon, ha dialogato per circa un’ora ai tavolini del chiosco del Bar Primavera con Fabrizio Corneli (Firenze,1958) ed Helena Hladilová (Kroměříž, Repubblica Ceca, 1983), le cui opere sono allestite in un’area ipogea, di Rione Terra e dell’Anfiteatro Flavio. «Afrodite di Capua» (2015) è il lavoro di Corneli, la cui ricerca è «una sintesi di calcolo geometrico e di riflessione filosofica sulla percezione, elaborata con gli strumenti di oggi e con il linguaggio estetico della contemporaneità» (Katalin Mollek Burmeister); mentre l’opera di Hladilová si compone di sette sculture in marmo bianco di Carrara, da cui «emergono, quasi per sortilegio, frammenti di corpi ibridi – occhi, orecchie, mani, piedi e code – in una commistione tra umano e non-umano» (Tea Gradassi).
Dopo le visite guidate emozionali (Maestro Antonio) e storiche (a cura di Aporema) al Rione Terra e a Cuma, all’ingresso del Rione Terra, nei pressi dell’opera di Ugo Rondinone (Brunnen, 1962), Eva Fabbris, la direttrice del Madre, museo di arte contemporanea della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, ha conversato con l’artista Lorenzo Scotto di Luzio (Pozzuoli 1972), che per la prima volta ha raccontato in pubblico la sua ricerca (anticipando anche l’ingresso nella collezione del museo di un suo lavoro, attraverso i fondi PAC), in occasione del talk «Cool memories», mentre uno spettacolare tramonto su Ischia incorniciava visivamente le loro parole. «Sarà mai possibile fare un incontro in un posto più bello?», ha esordito la direttrice Fabbris, esprimendo ad alta voce una domanda retorica condivisa da tutti i presenti.
La manifestazione di Italics, che sta volgendo al termine, ha ancora in serbo un calendario di eventi per l’ultimo giorno. Da citare ancora l’incontro al bar Il Grottino tra Giulia Pollicita, curatrice della mostra in corso alla Fondazione Morra Greco, con Rebecca Moccia (Napoli, 1992) e Clarissa Baldassarri. La prima espone a Rione Terra l’opera «Ancestors Syndrome (Sindrome delle Antenate)», del 2025: la «fusione in alluminio realizzata senza formatura, prende forma da una carta geologica del Vesuvio e dal ricordo dell’ultima eruzione del vulcano che nel 1944 coinvolse mia nonna la quale, distrutto il suo paese, fu qualche anno dopo costretta a sposarsi e migrare», ha spiegato l’artista.
Clarissa Baldassarri (Civitanova Marche, 1995) è l’autrice di «D’Incanto» (2024-225), performance site specific della durata di 20 minuti, realizzata in collaborazione con ArtGarage e Polezsky, lavoro in cui «la parola si spoglia e la corporeità si assottiglia fino a trasformarsi, come se il linguaggio rivelasse un’incapacità a esprimere tutto, e proprio lì trovasse la sua forza. La voce, liberata dal significato, si diffonde tra le pietre dell’Anfiteatro Flavio, trasformando l’architettura in corpo risonante». (Gabriella Rebello Kolandra).
La premiazione di Tomaso Binga con l’Italics d’Oro, e anche «I nomi “disobbedienti”: Panorami(ca) flegrea tra realtà e apparenza, storia e immaginario» talk tra Andrea Viliani, direttore del Museo delle Civiltà, e Fabio Pagano, soprintendente del Parco Archeologico dei Campi Flegrei. Chiara Parisi al Bar Primavera concluderà oggi il ciclo di incontri con artisti e galleristi davanti a un caffè, e alle 15 l’antropologo Marino Niola modererà l’incontro «Abitare ed essere. Il cinema come spazio immaginario di evocazioni e fratture per raccontare Pozzuoli» con Giuseppe Gaudino e Isabella Sandri (domenica 14 ore 15.00), autori dei due lungometraggi, «Calcinacci» (1991) e «Giro di lune tra terra e mare» (1997), che narrano storie, culture e tradizioni di Pozzuoli, in visione durante l’intera manifestazione, che così si conclude.
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