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Giuseppe M. Della Fina
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Oggi, partendo dalla rupe di Orvieto, ho raggiunto l’area di scavo, a piedi. C’è un motivo preciso, che mi ha spinto a farlo: ho voluto ripercorrere la strada descritta dallo storico Procopio di Cesarea in La guerra gotica, dato che mi soffermerò sui rinvenimenti di età altomedievale e medievale avvenuti e che stanno avvenendo nell’area di Campo della Fiera.
L’autore ebbe modo di osservare da vicino la rupe essendo al seguito di Belisario, generale dell’imperatore Giustiniano, che riuscì a strapparla ai Goti dopo un assedio. Scrive Procopio: «Su quella altura gli Antichi costruirono una città senza mura né fornita di altra difesa, dato che parve loro quel luogo inespugnabile per natura. Infatti a quella conduce una sola strada tra le rupi».

Veduta dall'alto della chiesa nella fase altomedievale. Cortesia Associazione Campo della Fiera
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Quella (allora) unica via di accesso è divenuta attualmente Via Filippeschi, che si unisce a Via della Cava e termina con Porta Maggiore. Da lì, in 30 minuti, ho raggiunto l’area di scavo. I lavori relativi alla fase post-classica sono coordinati da Danilo Leone, docente di Metodologia e tecnica della ricerca archeologica presso l’Università di Foggia.
La fase post-classica che le campagne di scavo hanno restituito è di interesse notevole e suggerisce una linea ininterrotta di frequentazione dell’area sino al Seicento. Vediamo il quadro restituito: si parte da un punto di grande crisi, la lussuosa domus, che aveva ospitato il «praetor Etruriae», risulta abbandonata e crollata nella seconda metà del IV secolo d.C. Nei suoi spazi, durante il secolo successivo, s’insediò una ristretta comunità contadina: buche di palo per apprestamenti con tetti di paglia danneggiarono i pavimenti mosaicati.
Nel corso del VI (è il secolo in cui Procopio raggiunse la rupe nel quadro della Guerra gotica) il quadro iniziò a mutare: la domus venne liberata dalle macerie, che ancora la occupavano, e la grande aula, che era stata riservata ai «publica consilia», fu trasformata in una chiesa con nuovi pavimenti musivi (fine VI-inizi VII secolo). Intorno ad essa si sviluppò un cimitero restato in funzione sino al Duecento: in due/tre tombe sono stati rinvenuti oggetti di uso quotidiano che rinviano alla cultura longobarda. Nella campagna di scavo in corso sono state individuate dieci nuove tombe.

Veduta dall'alto della chiesa e del convento di San Pietro in Vetere. Cortesia Associazione Campo della Fiera
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Una piena ripresa della vita nella zona si ebbe, comunque, più tardi e si può seguire attraverso le fasi edilizie della chiesa, sulla quale s’intervenne nell’VIII e IX secolo d.C. Nel 1211 si ha la prima citazione dell’esistenza di una chiesa denominata San Pietro in Vetere, l’intitolazione con quella specifica «in Vetere» fa intuire che si era consapevoli della frequentazione assidua della zona in precedenza.
Nel 1226, nell’anno della morte di San Francesco, vi giunsero tra i dodici e i quindici frati francescani, tra i quali era Ambrogio da Massa, destinato a divenire beato: la sua comunità e gli abitanti di Orvieto, che, nel frattempo, era divenuto un florido Comune, lo avrebbero voluto santo.
Ai francescani si deve una nuova chiesa, che venne edificata sui resti di quella altomedievale, e un convento; nel 1260 ad essi subentrarono i Servi di Maria, che vi rimasero sino al 1265. Entrambi gli Ordini si trasferirono in città e costruirono loro chiese. La peste del 1348, che investì Orvieto con particolare durezza, venne avvertita anche dagli uomini e dalle donne che vivevano nell’area ai piedi della rupe.
La peste venne superata, seppure con difficoltà: la chiesa di San Pietro in Vetere continuò a funzionare seppure ridimensionata, il convento fu demolito. L’area intorno divenne sede di fiere periodiche per tutto il Quattrocento, il Cinquecento e il Seicento. Da qui il toponimo di Campo della Fiera.

Ipotesi ricostruttiva della chiesa e delle infrastrutture del mercato nel XV-XVI secolo (disegno M. Sbrancia). Cortesia Associazione Campo della Fiera
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In una pianta del Catasto Tiroli (1764) l’area risulta ormai terreno agricolo e solo la presenza della chiesa, probabilmente diruta, viene segnalata. Ė l’ultima testimonianza prima del ritrovamento dei suoi resti, grazie alla ricerca archeologica.
Resta da dire di una scoperta eccezionale avvenuta negli anni scorsi: lo scavo di un pozzo, profondo più di 11 metri, ha restituito reperti che vanno dalla metà del Duecento sino al Seicento. In particolare ceramiche, tra cui ben mille brocche che conservano le decorazioni e i colori intensi degli smalti. Vi è stato effettuato anche un rinvenimento singolare: una incisione in bronzo con la raffigurazione di Filippo IV il Bello, re di Francia. Essa è stata ritrovata spezzata in quattro parti all’interno del pozzo, come se qualcuno se ne volesse liberare.
Tra le ipotesi avanzate da Luca Becchetti (Archivio Apostolico Vaticano), vi è quella che la sua distruzione potrebbe essere collegata a una possibile damnatio memoriae in relazione alla posizione ostile assunta dal sovrano contro i Cavalieri Templari, che erano presenti nel territorio orvietano.

Incisione in bronzo di Filippo IV il Bello. Cortesia Associazione Campo della Fiera
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