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Antonio Mirabelli
Leggi i suoi articoliA due passi dal Teatro alla Scala e alle spalle della Galleria Vittorio Emanuele II, nel pieno centro di Milano, la Parrocchia San Fedele è un piccolo gioiello cinquecentesco incastonato in un angolo meno affollato rispetto alle pulsanti arterie di Cordusio. Ad accogliere i passanti nella piazza davanti all’edificio di culto è una statua bronzea di Alessandro Manzoni. Varcata la soglia, la chiesa regala agli occhi dei visitatori opere che abbracciano secoli di storia, dal Cinquecento di Simone Peterzano al Novecento di Lucio Fontana. Ma c’è di più. Proseguendo fino a poco prima dell’altare, una porticina consente di accedere al Museo San Fedele, parte di un progetto in cui artisti contemporanei dialogano con lo spazio e la spiritualità del posto. Proprio di questo progetto fa parte l’installazione di Alberto Biasi (Padova, 1937) che verrà inaugurata il 19 marzo, in contemporanea con la mostra «La danza della luce» nella Galleria San Fedele-Museo San Fedele. Ne abbiamo parlato con il direttore, padre Andrea Dall’Asta.
Com’è nato il Museo San Fedele?
Quando giunsi a Milano come responsabile della Galleria San Fedele cercai immediatamente di comprendere in che modo la Chiesa di oggi potesse riflettere sull’arte sacra contemporanea. Un forte divario si è creato, ormai da secoli, tra arte e Chiesa e la Galleria San Fedele mi è sembrata uno spazio ideale in cui intraprendere un progetto in cui gli artisti riflettessero sui grandi temi della fede cristiana attraverso una loro attualizzazione secondo i linguaggi contemporanei. Il 31 dicembre 2014 è così nato il Museo San Fedele. Itinerari di arte e fede, un dispositivo in continua crescita ed evoluzione, pensato per far compiere allo spettatore un percorso che dalla chiesa cinquecentesca di San Fedele conduce agli spazi della galleria. Qui emerge l’interpretazione dei momenti fondamentali dell’esperienza cristiana attraverso la lente contemporanea degli artisti. Così avviene per la «Gerusalemme Celeste» di David Simpson e di Nicola de Maria, rappresentata simbolicamente dallo spazio dell’abside.
Quali sono i numeri in termini di visitatori e iniziative del museo?
Sin dalla sua nascita Il Museo San Fedele accoglie molte migliaia di visitatori. Ogni anno organizziamo nella galleria circa sei mostre, di cui due riservate ai giovani del Premio San Fedele. Non manca inoltre una riflessione sull’arte antica. Per questo motivo il museo raccoglie, oltre ai lavori commissionati agli artisti o da loro donati direttamente, le opere che provengono dalle esposizioni temporanee della galleria e quelle antiche che erano custodite in alcune nostre case storiche.
Ci parli del Premio San Fedele.
È un premio residenziale centrato sulle ricerche dei giovani di oggi, in cui commissioniamo un’opera a partire da un tema di carattere umanistico e che si apre anche a progetti di arte sacra per le chiese. Per le altre mostre, invece, invitiamo artisti in sintonia con gli argomenti al centro della nostra attenzione apostolica. Per esempio, di recente abbiamo chiamato Nicola Samorì, che partecipò anni fa al Premio San Fedele, e gli abbiamo commissionato un’opera che sostituisse una formella lignea rubata in chiesa tempo fa. Contemporaneamente, abbiamo organizzato una mostra sul tema della «ferita» dal titolo «Intra Vulnera tua», riprendendo una frase della preghiera medievale dell’Anima Christi.
In che modo gli artisti collaborano con il museo e la collezione?
La maggior parte degli interventi sono site specific, come gli ex voto di Mimmo Paladino o la corona di spine di Claudio Parmiggiani, o ancora i lavori di Jannis Kounellis, Cristiane Löhr, Christian Megert, Mats Bergquist, Sean Shanahan, Sidival Fila ed Ettore Frani. Si tratta di donazioni fatte dagli artisti, ma non manca, in alcuni casi, la generosità dei privati, i quali fanno fronte alle spese vive, mostrando una disponibilità che ci ha sempre sorpreso come segno di stima e di amicizia.
Che cosa spinge, secondo lei, gli artisti a contribuire a questo progetto?
Gli artisti comprendono molto bene che in una Chiesa rimasta per decenni chiusa su sé stessa e su immagini devozionali espresse in forme amatoriali e dilettantesche, i loro lavori entrano in una storia animata da quel dialogo secolare di arte e fede di cui sono testimoni le nostre chiese storiche.
Come sarà la nuova installazione di Alberto Biasi che inaugurerete il 19 marzo?
Appositamente studiata per uno spazio che si apre sull’abside della chiesa, l’installazione affidata a questo maestro dell’arte ottico-dinamica è un’opera permanente dal titolo «Diventare luce», in cui le superfici luminescenti delle pareti si fanno memoria visibile del nostro passaggio. Lo spettatore entra in uno spazio luminoso in cui, dopo avere premuto un pulsante fosforescente, all’improvviso si accende una lampada di Wood. L’ombra dello spettatore si proietta in questo modo sulla parete. La performance da lui compiuta si fa simbolo della vita. Occorre decidere di fare verità su di noi attraverso quella luce, simbolo del divino, che proietta le nostre ombre. Tuttavia, dopo pochi secondi, la luce permane e l’ombra scompare. È come se fossimo stati definitivamente accolti da quella luce che è il destino stesso della nostra esistenza. È questo un messaggio semplice, ma potente, un modo per parlare della speranza di cui abbiamo oggi tanto bisogno: diventare luce. Credo si tratti della prima installazione veramente interattiva mai realizzata in uno spazio sacro, perfettamente attinente al periodo pasquale che stiamo vivendo.
Che cosa si augura per il futuro di questa collezione?
Vorrei tanto che il museo potesse ampliarsi e diventare un punto di riferimento per la città di Milano e non solo, per credenti e non credenti, per riflettere sulle sfide più importanti che l’uomo di oggi si trova ad affrontare.

Claudio Parmiggiani, «Corona di spine» (2014) altare maggiore della Chiesa di San Fedele a Milano. Foto Luca Casonato

David Simpson, «Gerusalemme Celeste» (2013). Foto Luca Casonato

Jannis Kounellis, «Senza Titolo (Svelamento)» (2012). Foto Luca Casonato

L’opera di Nicola Samorì ha coperto il vuoto lasciato dal furto di una formella lignea nella Chiesa di San Fedele
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