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Una sala del Museo Egizio del Cairo

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Una sala del Museo Egizio del Cairo

È nella sfera il futuro del Museo Egizio

Lo studio di fattibilità affidato a un comitato italiano. Nell’erigendo museo della civiltà egizia si prevede il ritorno virtuale delle collezioni ospitate nelle principali istituzioni mondiali. Il vecchio museo sarà recuperato

Anna Maria Farinato

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A due anni dalla costituzione di un comitato misto italo egiziano, voluto dal Ministro della cultura egiziana, si torna a parlare del «Museo faraonico», ovvero del progetto per un nuovo edificio in cui trasferire in tutto o in parte le collezioni del congestionato Museo egizio cairota, costruito nel 1902 (cfr. Il Giornale dell’Arte n. 109, mar. '93, p. 42). Nella riunione svoltasi ad aprile nella capitale egiziana la questione è stata rimessa in priorità e il protocollo firmato nel ’93 è stato ripreso e ampliato. L'Italia ha puntualizzato obiettivi e termini della collaborazione che si appresta a dare all’Egitto: cooperazione scientifica e tecnica (2 i miliardi stanziati dalla cooperazione internazionale), per la definizione di uno studio di fattibilità, cui la commissione prevede di lavorare ancora nei prossimi sei mesi, preliminare alla stesura di un bando di concorso per l’esecuzione delle opere. 

Andrea Bruno, docente di restauro architettonico presso la Facoltà di architettura di Milano e membro della commissione mista (di cui fanno parte gli italiani Fabrizio Ago del Ministero degli Esteri, Guido La Tella, consigliere della cooperazione internazionale, gli egittologi Silvio Curto e Sergio Donadoni, l'urbanista Francesco Karrer, il soprintendente e museologo Giovanni Scichilone, l'economista professor Pietro Valentino e, tra gli egiziani, Mohammed Saleh, direttore del Museo del Cairo e Abdel Nur El-Din, segretario generale delle antichità egizie) ci ha illustrato le conclusioni dell'ultimo incontro.


Professor Bruno, di un nuovo Museo del Cairo si parla da oltre trent’anni. Più volte annunciato, ha subito numerose battute d’arresto. A che punto siamo?
In effetti è una storia che risale almeno al 1960. È di quell’anno infatti un progetto dell'arch. Albini: conservo ancora un ritaglio di giornale in cui si diceva che le condizioni del vecchio museo, ormai insostenibili, imponevano la costruzione di un nuovo edificio. Era già stata individuata un’area di 100mila mq, sull'isola di Gezira, tra i due bracci del Nilo, in cui sarebbe dovuto sorgere un museo che accanto alle collezioni egizie ospitasse il museo d’arte islamica, il museo copto e altro. La conclusione dei lavori era prevista nel 1965.


All'inizio degli anni Ottanta c'era stato un progetto di ampliamento del vecchio museo.
Lo avevano proposto l’Icomos e l'Unesco nel 1981-82; prevedeva scavi sotto l’edificio e la costruzione di nuovi corpi da annettere all'esistente. Dello studio di fattibilità si occuparono allora Luis Monreal e Said Zulfikiar, dell’Unesco. Morto Sadat, nell’81, e cambiato il governo, il nuovo Ministro si era espresso a favore di un museo di nuova costruzione. Rifiutando l’idea di mantenere e ampliare l'esistente museo rinunciava ai 6 milioni di dollari che la Banca Mondiale aveva già stanziato per i lavori. Gli studi allora predisposti dall’Icomos, infatti, anche se oggi possono apparire forse un po’ sorpassati, avrebbero permesso di passare ad una fase propositiva.
Quando infine il governo dell'Egitto ha chiesto all’Italia la collaborazione per questo nuovo Museo del Cairo era ancora valida l'idea di abbandonare il vecchio museo per ricostruirlo nuovo, non lontano dalle piramidi, in un luogo in cui era già stata posata la prima pietra.


Abbandonando quindi il vecchio Museo Egizio?
La costruzione del nuovo museo prevedeva in effetti l’abbandono del precedente, cosa per noi assolutamente improponibile, e che sarebbe un grave errore fare, perché l’istituzione era nata con la volontà di farne un «museo egiziano» in un’epoca in cui i musei su misura non si costruivano ancora. E un museo che fa parte della storia della museografia, probabilmente l’unico al mondo ad avere nel giardino la tomba del suo costruttore, Mariette. Già nella passata riunione del comitato si era sottolineata la necessità di mantenere in vita un’istituzione che è diventata nel corso del tempo museo di sé stesso, un oggetto da conservare. Abbiamo continuato a difendere l’idea di mantenerlo in vita e siamo riusciti nel nostro intento. 

Quale sarà allora il suo destino?
L’antico museo verrà ripristinato e restaurato, nel senso più attuale del termine: si prevede di intervenire sulle parti esterne dell’edificio, sugli impianti di illuminazione, condizionamento, sicurezza, sempre nel rispetto, per quanto possibile, della museografia originaria ormai storicizzata. Pertanto verranno conservate le vetrine che facevano parte di questa prima sistemazione, mentre verranno riordinate le collezioni, gli oggetti che si sono accumulati nel tempo. Intere collezioni dal punto museografico sono presentate in modo del tutto inadeguato, contrario ad ogni principio di sicurezza, conservazione e presentazione. Il tesoro di Tutankhamon è totalmente sacrificato. 

In sintesi quello che noi proponiamo è il recupero del Museo Egizio del Cairo con tutte le sue valenze di museografia storica e di interesse dell’edificio e delle collezioni. Questo programma, non certo facile, di riordino museografico, sarà compito specifico dei professori Donadoni e Curto e del professor Scichilone per quanto concerne la museologia e coordinazione del nuovo complesso. La nostra intenzione non è certo quella di impoverire il museo: una volta liberate le sale meno monumentali, ci piacerebbe allestire una sezione didattica sul fenomeno dell'egittomania, un fenomeno molto interessante e di richiamo per il grosso pubblico.


La zona del Cairo, centralissima, in cui è ubicato il vecchio museo si è rivelata sempre più inadatta ad accogliere grandi flussi di visitatori. In quale contesto sorgerà il nuovo?
Dovrebbe essere edificato in un'area extraurbana, su un plateau dove è già stata posta anni fa la prima pietra. Una zona in cui non vi sono presenze archeologiche note e che per quanto interessata di recente da un massiccio insediamento edilizio, è in una buona posizione, con vista sulla città e sulle piramidi, che distano appena 2 km e, come sappiamo, non sono più minacciate dalla costruzione dell'autostrada. Da questa posizione si ha un punto di vista sulle piramidi che dovrebbe esorcizzare lo sgradevole approccio che si ha arrivando dal Cairo. Per adesso, e noi vogliamo che resti in questi termini, il nuovo museo si configura più che come un oggetto architettonico definito come un contenitore di funzioni: culturali, scientifiche, tecnico-storiche e così via. Nei prossimi mesi la commissione lavorerà per perfezionare e meglio definire questo studio di fattibilità, dopo di che, in questo quadro che tiene conto da una parte del museo antico e dall'altra del museo in divenire, vedremo di riempire di contenuti anche queste linee operative.


Può aiutarci a immaginare contenitore e contenuti?
Posso descrivere una forma simbolica: una sfera ideale, intorno alla quale si dispongono dei «satelliti» che accoglierebbero i musei egizi di tutto il mondo, i laboratori scientifici e i centri di documentazione, deposito e ricerca. L'idea è nata pensando alle collezioni egizie disperse nel mondo. La proposta, che è stata accolta molto bene, entrando a far parte della materia di discussione di questo protocollo, è di creare nel nuovo spazio la possibilità di riproporre in modo virtuale, e parzialmente in modo fisico, una visione in tempo reale di tutti i musei egizi del mondo. La diaspora di oggetti egizi ha avuto inizio già nel Medio Evo e nel Rinascimento, ma ha avuto il suo momento più forte con le campagne napoleoniche e il sorgere dell’egittomania. Le modalità sono ancora tutte da studiare, naturalmente, ma vorremmo che il Louvre, l’Egizio di Torino, il Metropolitan, il British Museum venissero coinvolti in una sorta di restituzione simbolica degli oggetti che a suo tempo furono «trasferiti» e che sarebbe antistorico pretendere di far tornare in Egitto; oggetti che sono divenuti messaggeri di cultura per milioni di persone nel mondo. Per questo vorrei riprendere e riportare in questa sfera ideale il tesoro di Tutankhamon, come nucleo che torna ad assumere un ruolo centrale: ciò che è stato tolto dalle piramidi, dalle tombe, per essere esposto in un museo dovrebbe ritrovarsi in questo luogo emblematico intorno al quale si irradiano e convergono tutte le opere sparse per il mondo.
 

In che modo le istituzioni da lei citate dovrebbero contribuire?
Quella che noi proponiamo è una rilettura complessiva dell’Egitto attraverso tutti gli studi degli ultimi secoli. Con gli attuali sistemi di visualizzazione, e tramite mezzi più tradizionali, quali i modelli o le ricostruzioni, le nazioni che detengono testimonianze egizie devono sentire il dovere morale di «restituire», in immagine, tutte le cose che mancano all'Egitto oggi, principalmente gli obelischi e la statuaria che integrava le grandi architetture. E con tutti quei plusvalori aggiunti che sono frutto delle ricerche scientifiche condotte negli anni. L’impegno finanziario che dovrebbero assumersi queste nazioni può considerarsi un investimento come rilancio d'immagine per i musei tutti.
 

Quali reazioni ha provocato la vostra proposta?
Parlando con vari responsabili dell’Unesco i riscontri sono stati molto favorevoli. Tra l’altro, mi è stato ricordato che, sempre nei programmi Unesco, esiste un progetto molto importante, avviato alcuni anni fa, il Museo della civiltà egiziana, che per varie ragioni non ha mai avuto sviluppi. All’interno del museo virtuale da noi proposto, di questo museo della diaspora alla rovescia, rientrerebbe anche il Museo della civiltà egiziana, con il contributo di tutti gli altri musei d'Egitto: quelli di Luxor, Assuan, Abu Simbel.

Anna Maria Farinato, 01 luglio 1995 | © Riproduzione riservata

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