Marta Paraventi
Leggi i suoi articoliRealizzata tra il 1612 e il 1615 la «Santa Maria Maddalena penitente» di Orazio Gentileschi è, insieme al successivo ciclo della Cappella della Passione e al «San Carlo Borromeo» della Cattedrale di San Venanzio, alla «Madonna del Rosario» già in San Domenico (oggi in Pinacoteca), al «San Carlo Borromeo» della Chiesa di San Benedetto e alla «Visione di Santa Francesca Romana» già nella Chiesa di Santa Caterina (oggi a Urbino, Galleria Nazionale delle Marche), emblema del fecondo periodo fabrianese dell’artista toscano. Gli ultimi studi riconducono le committenze citate, inclusa la perduta partecipazione alla decorazione della Chiesa di San Francesco, al legame con la famiglia Savelli che da Roma aveva rapporti con Fabriano, con lo scienziato Francesco Stelluti, membro fondatore dell’Accademia dei Lincei, sodale di Galileo, nato e periodicamente di ritorno a Fabriano tra il 1612 e il 1618 e con Francesco Santacroce, priore di San Venanzio.
Destinata all’altare maggiore della Chiesa di Santa Maria Maddalena, un piccolo oratorio appena fuori il centro di Fabriano, lungo la strada che conduce in Umbria, la pala è stata oggetto di un restauro conservativo eseguito da Federica Buccolini per conto della Pia Università dei Cartai, titolare della chiesa e proprietaria dell’opera, sostenuto con il contribuito di Chemiba, main sponsor, Fondazione Carifac e Rotary di Fabriano. Il restauro è durato circa nove mesi ed è stato presentato il 21 luglio al pubblico nel corso di una serata-concerto «Armonie per il Gentileschi» promosso dalla Pia Università dei Cartai.
«Nel 1966, ricorda la restauratrice, il dipinto era in restauro a Firenze; era stato foderato da poche settimane quando venne rovinato dalla piena dell’Arno. Del disastro subito dall’opera di Gentileschi non sono ad oggi reperibili fotografie: la cosa è abbastanza singolare e per questo sto continuando delle indagini setacciando alcuni archivi. A causa dei danni inferti dell’alluvione la tela fu foderata nuovamente, e probabilmente in quegli anni fu trattata con vernice Damar che nel corso del tempo, ormai pesantemente ossidata ed ingiallita, ha offuscato le note cromatiche originali. Tenendo presente che l’opera era stata foderata ben due volte nel giro di poco tempo, il mio obiettivo è stato quello, a distanza di decenni, di restituirne una corretta leggibilità e verificare che a livello strutturale fosse tutto coeso».
Seguace di Caravaggio, Gentileschi dimostra in quest’opera di seguire il suo stile: rende la figura della santa penitente in modo diretto, raffigurandola mentre, avvolta da lunghissimi capelli, contempla il crocifisso, inginocchiata sulla roccia, trattata come se fosse una sorta di altare; la donna è inserita in un contesto naturale che il restauro ha riportato alla sua luminosità cristallina, cifra stilistica dell’artista.
«Il restauro e le indagini realizzate, afferma Buccolini, hanno dimostrato che Gentileschi ha eseguito la Maddalena senza utilizzare disegni preparatori, spolvero e incisioni: ha dipinto per strati, infatti sotto i capelli della santa si vedono le foglie d’edera, sotto il teschio le piante raffigurate sullo sfondo. Nel dipinto non ci sono pentimenti, eccezion fatta per un piccolo tratto di uno dei due talloni. Ha usato pennellate veloci, fluide, evidenziando una grande padronanza del mezzo pittorico».
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