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Miuccia Prada

Foto: Archivio Harper's Bazaar

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Miuccia Prada

Foto: Archivio Harper's Bazaar

Ecco chi sono i 4 italiani nella top 100 dell’arte mondiale 2025

Dalla moda alla curatela, dall’arte contemporanea alla scena globale delle fiere, quattro personalità italiane ridefiniscono il concetto di influenza culturale nel mondo. Miuccia Prada, Vincenzo de Bellis, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo ed Eugenio Viola incarnano visione e capacità di innovare, ciascuno nel proprio campo. Le loro carriere raccontano storie di talento, determinazione e impatto internazionale, tracciando una mappa dell’Italia che guarda al futuro dell’arte e del design

Redazione GdA

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GLI ITALIANI NELLA POWER 100 DI ART REVIEW 2025

32° Miuccia Prada

Collezionista, Presidente e Direttrice della Fondazione Prada

Nata a Milano nel 1949, cresce in una famiglia che porta nel nome una lunga tradizione di artigianato e lusso: dal 1913, quando Mario Prada apre la boutique in Galleria Vittorio Emanuele II, la maison attraversa guerre, trasformazioni economiche e cambi generazionali. Ma quando la giovane Miuccia (al secolo Maria Prada) vi entra, negli anni Settanta, il marchio è ancora un laboratorio quasi domestico, lontano dal sistema globale a cui oggi appartiene. Lei, intanto, si forma in tutt’altra direzione: studi liceali classici, una laurea in Scienze Politiche alla Statale, un’intensa militanza politica e la recitazione al Piccolo Teatro. Un bagaglio apparentemente distante dalla moda, ma destinato a ridefinirla. Assumendo la guida dell’azienda negli anni Settanta, avvia una trasformazione che non ha nulla di rumoroso ma che, nel tempo, diventerà epocale. Introduce materiali tecnici e linee già proiettate verso un’estetica «anti-retorica». All’inizio degli anni Ottanta ridefinisce l’idea stessa di accessorio di lusso con le borse in nylon Pocono: leggere, funzionali, moderne. Diventano un fenomeno globale e aprono la strada alla costruzione del suo linguaggio. Il celebre logo triangolare – reinterpretazione della fibbia dei bauli storici – diventa un simbolo riconoscibile e, insieme, un atto di continuità con la propria eredità.

Il 1988 è l’anno della prima collezione prêt-à-porter femminile: un debutto che segna l’arrivo di una voce nuova, capace di leggere le contraddizioni e trasformarle in stile. Nasce l’«ugly chic», una nuova idea di bellezza che accetta il dissonante, sovverte le gerarchie estetiche e riflette il mondo reale più che un’astratta perfezione. Ogni collezione successiva diventa un esercizio di pensiero, un gesto di libertà che combina severità e ironia, intelletto e istinto. Da qui comincia il percorso che porterà Miuccia a essere riconosciuta dal «Time» tra le cento personalità più influenti al mondo e a ricevere riconoscimenti accademici internazionali – dal Royal College of Art di Londra al New Museum di New York. Nel 1993 nasce Miu Miu, il marchio più giovane, diretto, sperimentale: una sorta di «alter ego» che esplora la spontaneità e il desiderio, senza perdere il rigore concettuale che caratterizza la sua creatività. Intanto, la maison si espande nel mondo, innova produzione e distribuzione, investe in ricerca e tecnologia, senza mai tradire l’identità culturale che lei stessa definisce come «un modo per capire il presente».
Lo stesso impulso la guida nel campo dell’arte contemporanea, che negli anni diventa un territorio di azione sempre più centrale. Dalla collezione privata avviata con Patrizio Bertelli negli anni Novanta alla nascita della Fondazione Prada, come iniziativa culturale, nel 1993, l’arte non è un ornamento ma una necessità intellettuale. Le sedi di Milano e Venezia, progettate e trasformate insieme a Rem Koolhaas e OMA, danno forma a un’istituzione in cui convivono mostre, cinema, installazioni permanenti, ricerca e contaminazioni interdisciplinari. Tra gli interventi più iconici: la Torre Prada, il Bar Luce disegnato da Wes Anderson, le collaborazioni con artisti e autori che hanno ridefinito il ruolo delle istituzioni private in Europa. Accanto a Miuccia, un partner decisivo, il marito Patrizio Bertelli, incontrato nel 1977 e sposato l’anno successivo. Il loro dialogo  è una delle strutture portanti del gruppo. 

Nel 2015 il Presidente della Repubblica conferisce a Miuccia Prada il titolo di Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana: un riconoscimento raro, che premia non solo una carriera ma un contributo culturale che ha ridefinito l’immaginario del Paese. La sua forza sta nella capacità di intendere la moda come un «campo di pensiero», oltre che un «mezzo», per rendere visibile ciò che si muove nella società.
Oggi, mentre il gruppo affronta un passaggio generazionale con l’ingresso attivo dei figli e con nuove collaborazioni creative, Miuccia continua a interrogarsi sul senso del proprio lavoro. Non crea per decorare il mondo, ma per leggerlo, per interpretarlo e per partecipare, attivamente, alla sua trasformazione.
 

36° Patrizia Sandretto Re Rebaudengo

Collezionista, Fondatrice della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino

Collezionista, mecenate, fondatrice e presidente della Fondazione che porta il suo nome, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (Torino, 1959) ha trasformato un’intuizione personale in un sistema culturale strutturato, capace di incidere sulla scena internazionale e al tempo stesso sulla vita civica della sua città. Laureata in Economia e Commercio, muove i primi passi nell’azienda di famiglia, erede di quella generazione di imprenditori che nel dopoguerra contribuì alla rinascita industriale italiana. Lì apprende la disciplina, la ricerca, la cura del dettaglio: principi che trasferirà nell’arte quando, nei primi anni Novanta, sceglie di dedicarsi interamente al contemporaneo.
La decisione nasce da una visione precisa: fare dell’arte un luogo di studio, produzione e sperimentazione, non solo di acquisizione. Nel 1992 inizia la sua collezione, scegliendo la contemporaneità più viva e rischiosa. È un percorso che si intreccia subito con figure emergenti, come Maurizio Cattelan – allora ancora poco noto – di cui acquisisce opere che anni dopo il Guggenheim vorrà in prestito per una mostra storica. Dalla collezione personale nascerà, nel 1995, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, con sedi oggi a Torino, Guarene e Madrid.

Il suo impegno non riguarda solo la produzione artistica: è un lavoro di rete istituzionale. Siede nei board internazionali del MoMA, della Tate, del Philadelphia Museum of Art, del Bard College e del Rockbund Art Museum di Shanghai. Un ruolo che porta Torino nel mondo, e che nel 2020 le vale il titolo di Ambasciatrice delle eccellenze torinesi e, più di recente, il riconoscimento di Torinese dell’Anno.
Il legame con la città è profondo e narrativo. «Torino, scrive, è rigore e follia, geometria e inquietudine: un luogo che forma lo sguardo». La prima sede della Fondazione, progettata da Claudio Silvestrin e inaugurata nel 2002, nasce proprio su un’ex area industriale di Borgo San Paolo, di fronte a un giardino pubblico. A Guarene, invece, il dialogo è con il paesaggio: un parco di sculture immerso tra querce, vigne e migliaia di salici nani piantati per catturare CO₂, un museo all’aperto dove natura e arte crescono insieme.

Le sue programmazioni anticipano spesso i temi del presente. Nel 2003-2004 un anno dedicato alle artiste e alle questioni di genere; dal 2006 il Premio StellaRe, che celebra il contributo femminile a scienza, cultura, politica ed economia; tra 2007 e 2008 il ciclo «Greenwashing», che introduce nel dibattito pubblico parole allora quasi inedite come «impronta ecologica» ed «compensativa». Ambiente, equità, sostenibilità non sono slogan: sono linee guida che la Fondazione applica nei processi e nella progettazione. Una crescita organica, che nel 2017 porta alla nascita della sede madrilena e oggi guarda a una nuova apertura nella laguna di Venezia, sull’isola di San Giacomo. A queste si affiancano produzioni di opere, mostre, spazi: dalla prima personale di «Arte inglese oggi» negli anni Novanta alle produzioni per artisti come Avery Singer, Ian Cheng, Adrian Villar Rojas, Magali Reus, Josh Kline, Berlinde de Bruyckere.
Docente alla IULM, presidente del Comitato Fondazioni Arte Contemporanea, parte attiva nel Gruppo Tecnico Cultura di Confindustria per oltre quindici anni giurata del Premio Campiello, la sua attività è costante, trasversale, spesso pionieristica. «Mi fido dell’arte contemporanea e confido nella mia buona stella blu», scrive. Una frase che restituisce la cifra del suo lavoro: una combinazione di visione, disciplina, rischio calcolato e un’irrinunciabile fiducia nel potere trasformativo dell’arte.

75° Vincenzo de Bellis

Curatore, Direttore delle fiere di Art Basel

Nato a Putignano nel 1977 e cresciuto a Castellana Grotte, de Bellis non proviene da un contesto artistico: la sua famiglia aveva legami con l’agricoltura e l’imprenditoria. La passione per la cultura lo porta a studiare Conservazione dei Beni Culturali a Lecce e a scoprire l’arte contemporanea durante una breve ma decisiva esperienza alla Fondazione Prada, dove osservare Germano Celant al lavoro accende in lui l’interesse per il ruolo del curatore. Dopo un master in Management per direttori di musei d’arte e architettura contemporanea a La Sapienza e un percorso formativo al Bard College di New York, de Bellis amplia la propria prospettiva internazionale e sviluppa capacità di analisi e progettazione curatoriale che segneranno tutta la sua carriera.
Il suo percorso pratico parte dal Museion di Bolzano, ma la svolta arriva con la co-fondazione di Peep-Hole a Milano, uno spazio indipendente nato per dare visibilità agli artisti emergenti, che opera per sette anni consolidando la reputazione di de Bellis come curatore innovativo e attento. Nel 2012 arriva la direzione di Miart, la fiera d’arte di Milano, che sotto la sua guida si trasforma in un appuntamento di riferimento internazionale, capace di attrarre collezionisti e gallerie da tutto il mondo. Da qui il passaggio oltreoceano con la nomina a curatore al Walker Art Center di Minneapolis, dove porta avanti progetti di grande rilievo, tra cui la prima retrospettiva americana di Jannis Kounellis, maturata in sei anni di lavoro e considerata uno dei momenti più significativi della sua carriera.
A Art Basel, de Bellis affronta una sfida complessa: mantenere la leadership globale della fiera adattandola alle nuove dinamiche del mercato e alle esigenze di gallerie, artisti e collezionisti. Ogni sede della fiera assume una propria identità: Miami è il crocevia tra Nord e Sud America, Hong Kong il ponte tra Oriente e Occidente, Parigi un riferimento per l’arte europea, mentre Basilea resta l’evento originale e tra i più internazionali. Il suo approccio mira a rendere le fiere spazi non solo commerciali ma anche culturali e di ricerca, come dimostra il progetto Art Week Tokyo, concepito per connettere il pubblico globale alla scena artistica giapponese.

Nonostante il ruolo internazionale, de Bellis mantiene un’attenzione costante all’arte italiana. Pur riconoscendo la qualità degli artisti del nostro paese, individua criticità strutturali: un sistema educativo obsoleto, un mercato limitato da politiche fiscali poco favorevoli, un collezionismo debole e la mancanza di una cultura di autosostentamento tra gli artisti, elementi che spesso ne limitano la visibilità internazionale. Tra i talenti italiani su cui punta ci sono Diego Marcon, Patrizio Di Massimo e Nicola Samorì, artisti con una forte identità e un riconoscimento crescente che de Bellis ha contribuito a valorizzare anche nelle selezioni di Art Basel Unlimited. Il suo approccio curatoriale si distingue per la capacità di costruire narrazioni coerenti e stimolanti, bilanciando tradizione e innovazione, sostenendo le gallerie consolidate e offrendo visibilità ai talenti emergenti. L’obiettivo è chiaro: rendere il mercato dell’arte più accessibile e sostenibile, favorire nuove generazioni di collezionisti e creare un ecosistema in cui artisti, gallerie e istituzioni possano crescere insieme. La carriera di Vincenzo de Bellis mostra come competenza, strategia e coerenza possano trasformare un percorso locale in un ruolo centrale nel panorama globale dell’arte contemporanea.
 

96° Eugenio Viola

Curatore, Direttore artistico del Museo d'Arte Moderna di Bogotà

Eugenio Viola (Napoli, 1975) è una delle figure più influenti della curatela contemporanea italiana sulla scena globale. La sua carriera, costruita in quasi venticinque anni di attività, si distingue per una forte attenzione alla dimensione politica dell’arte, alla performatività del corpo, ai diritti umani e al ruolo delle istituzioni culturali come agenti di trasformazione sociale. Oggi è Chief Curator del Museo de Arte Moderno de Bogotá (MAMBO), dove guida un programma espositivo che ha contribuito a rilanciare l’identità dell’istituzione nel panorama latinoamericano.
Nato in Italia, Viola ha ottenuto la laurea triennale in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli (2001), la laurea magistrale in Organizzazione e Comunicazione delle Arti Visive all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano (2002) e, successivamente, il dottorato in Metodi e Metodologie della Ricerca Archeologica e Storico-Artistica presso l’Università di Salerno (2010). 

Al MAMBO ha firmato mostre che hanno posto il museo al centro di un dialogo internazionale: dalle retrospettive dedicate a Teresa Margolles, artista fondamentale per la riflessione su violenza, memoria e identità, a progetti monografici su figure come Voluspa Jarpa, Dor Guez, Luz Lizarazo, Nataly Quiñones, Camilo Bojacá e Juan Fernando Herrán. Il suo lavoro ha ampliato la presenza di artiste e artisti latinoamericani nel discorso globale, contribuendo a un ripensamento critico della modernità e delle sue narrazioni dominanti. In collaborazione con Julius Baer ha ideato e curato il Julius Baer Prize for Latin American Female Artists, primo premio dedicato esclusivamente alle artiste donne in America Latina, sottolineando la sua costante attenzione alle questioni di genere e di rappresentazione.
Prima di approdare a Bogotá, Viola ha svolto un ruolo cruciale nel consolidamento del Perth Institute of Contemporary Arts (PICA), in Australia, come piattaforma di ricerca sul corpo, la performance e la sperimentazione interdisciplinare. Come Senior Curator ha presentato importanti progetti dedicati a Cassils, Christian Thompson e soprattutto alla grande mostra di Kimsooja, che ha messo in relazione il linguaggio dell’artista coreana con le prospettive culturali dell’area Asia-Pacifico, rafforzando il posizionamento internazionale del centro.
Dal 2009 al 2016 ha lavorato al Museo Madre di Napoli, dove ha contribuito alla definizione di un’identità curatoriale riconoscibile, capace di intrecciare storia e contemporaneità. Ha curato retrospettive di figure chiave come Vettor Pisani e Giulia Piscitelli, oltre alle prime grandi mostre italiane dedicate a Boris Mikhailov e Francis Alÿs, ampliando il dialogo del museo con alcune delle voci più incisive dell’arte globale. Al Madre ha inoltre sviluppato un’attività pionieristica dedicata alla performance, invitando artiste e artisti tra i più radicali della scena internazionale — tra cui Tania Bruguera, Regina José Galindo, Ron Athey, Kira O’Reilly — e avviando un confronto senza precedenti sul ruolo del corpo come strumento politico.

La sua esperienza espositiva comprende oltre cento mostre in Europa, Medio Oriente, Australia e Americhe, e due partecipazioni alla Biennale di Venezia: il Padiglione Estonia nel 2015 e il Padiglione Italia nel 2022. Quest’ultimo, costruito intorno a un unico artista, Gian Maria Tosatti, ha rappresentato una scelta radicale e senza precedenti, che ha posto al centro dell’attenzione internazionale una riflessione sulla crisi delle democrazie occidentali, sulla vulnerabilità e sulle forme di resistenza collettiva.
Accanto all’attività curatoriale, Viola è autore di oltre sessanta cataloghi e pubblicazioni, tra monografie e antologie critiche dedicate a figure come Marina Abramović, ORLAN, Regina José Galindo, Mike Parr e Teresa Margolles. La sua produzione teorica affronta temi come la performance, il corpo politico, la violenza sistemica e le estetiche della resistenza, fornendo strumenti analitici oggi utilizzati in ambito accademico e istituzionale. Scrive regolarmente per riviste come «Artforum», «Arte», «Flash Art» ed è stato contributor per Treccani.
È membro di IKT (International Association of Curators of Contemporary Art) e di CIMAM (International Committee for Museums and Collections of Modern Art), ed è stato riconosciuto Miglior Curatore Italiano da «Artribune» nel 2016 e nel 2019. Nel 2014 la rivista britannica «Apollo» lo ha inserito tra le personalità più influenti della scena artistica internazionale, un riconoscimento che testimonia il peso della sua ricerca e del suo posizionamento critico. Attualmente Viola è Direttore Artistico della 24ª Biennale Arte Paiz, «The World Tree», che chiuderà il 6 febbraio 2026 tra Città del Guatemala e Antigua. Il progetto, incentrato sull’albero del mondo come simbolo cosmogonico condiviso da molte culture, riflette la sua visione di un’arte capace di connettere memorie ancestrali e urgenze contemporanee, radicandosi nel territorio ma parlando a una dimensione globale.
 

Redazione GdA, 04 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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