Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliCon la consegna del cantiere all’impresa esecutrice prende il via, a Sesto Fiorentino, la ristrutturazione dell’edificio che ospita il Museo Ginori, chiuso dal maggio 2014 a seguito del fallimento della Richard-Ginori e dal 2017 proprietà demaniale, affidata alla Direzione regionale musei della Toscana del Ministero della Cultura fino al termine dei due lotti di lavori. Per il primo lotto degli interventi di ristrutturazione, il Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica) ha stanziato 1,9 milioni di euro a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-13; un ulteriore finanziamento, sostenuto dal Piano Strategico Grandi Progetti Culturali di 5,5 milioni di euro consentirà il recupero integrale dell’edificio, per accogliere gli 8mila manufatti in porcellana e maiolica dell’antica manifattura Ginori di Doccia, poi Richard-Ginori databili dal 1737 al 1990, una preziosa raccolta di modelli scultorei in cera, terracotta, gesso e piombo dal XVIII al XX secolo, lastre in metallo incise e pietre litografiche per la stampa dei decori, un archivio di documenti cartacei e disegni (300 dei quali appartenenti al Fondo Gio Ponti), una biblioteca storica, una biblioteca specialistica e una fototeca.
Tomaso Montanari, presidente della Fondazione Museo Archivio Richard Ginori della Manifattura di Doccia, costituita dal 2019 su iniziativa del Ministero della Cultura, della Regione Toscana e del Comune di Sesto Fiorentino con il compito di gestire le collezioni e gli archivi del Museo e di coordinare le attività scientifiche e culturali del Museo, sottolinea come esso sia una realtà molto presente nel territorio, sopravvissuta al fallimento della Richard-Ginori proprio grazie a un movimento popolare. «La Fondazione si è assunta la responsabilità dell’allestimento, un compito che non era nei piani originari, secondo cui la Direzione Regionale avrebbe dovuto consegnarlo alla Fondazione solo dopo il collaudo. E abbiamo prima di tutto provveduto a mettere al sicuro, a nostre spese, la collezione nei depositi di Art Defender».
Ci saranno cambiamenti nella struttura creata da Pier Niccolò Berardi nel 1965, esempio di architettura razionalista che rimanda alla Stazione di Santa Maria Novella, alla cui progettazione Berardi aveva lavorato trent’anni prima insieme a Giovanni Michelucci?
«Il museo era stato concepito come uno showroom aziendale ed aveva un senso in quel contesto, ma ora la sua funzione è mutata. Non possiamo conservare la sfilata paratattica delle vetrine in un unico spazio, perché risulterebbe noiosa e poco fruibile da un pubblico che, ricordiamolo, sarà in buona parte composto da scolaresche, avendo la funzione didattica di illustrare i legami tra scultura e porcellana. Quindi, pur rispettando l’architettura originaria, è necessaria una scansione in sale, pur lasciando sempre visibile la struttura di Berardi. Anche le vetrine originali non potranno essere riutilizzate perché troppo deteriorate, ne conserveremo esposta solo una».
Quali saranno i tempi?
«Mi auguro un paio di anni. Posso esprimere la mia soddisfazione nell’aver visto la continuità positiva tra il mandato del ministro Franceschini e quello del ministro Sangiuliano: mi sembra un fatto quasi clamoroso in questo nostro squinternato Paese».
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