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«Ecco perché sono così arrabbiato con Celant»

Piero Mascitti, nominato da Rotella in vita suo esecutore testamentario, racconta come e a quale prezzo il critico, che lui stesso aveva incaricato, abbia estromesso lui e la Fondazione

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Era il 2000 quando Mimmo Rotella (Catanzaro 1918-Milano 2006) istituì una Fondazione destinata a tutelare e promuovere la sua opera. La dotò allora di un patrimonio di cento opere,  ma nel testamento ne aggiunse altre mille (un terzo delle opere del suo patrimonio d’arte) per garantirne il funzionamento. Intanto, nel 2001 aveva affidato la direzione della Fondazione a Piero Mascitti, oggi 54 anni, che lo affiancava dal 1985, suo braccio destro fino alla sua scomparsa, e indicato nel testamento come suo «esecutore testamentario artistico».

Ora, a dieci anni dalla morte di Rotella, Skira ha dato alle stampe il primo volume del catalogo ragionato dell’opera dell’artista, parte di un progetto più esteso di schedatura sistematica dell’intero corpus delle opere, curato da Germano Celant. La pubblicazione è stata realizzata in collaborazione con il Mimmo Rotella Institute, costituito nel 2012 dalla moglie Inna e dalla figlia Aghnessa Rotella e diretto da Antonella Soldaini, insieme alla Fondazione Mimmo Rotella, presieduta da Rocco Gugliemo. Ma l’uscita dell’opera ha riacceso il risentimento dell’uomo fiduciario di Rotella (oggi direttore artistico dell’Archivio Goffredo Parise-Giosetta Fioroni) nei confronti del curatore del catalogo, Germano Celant, che lui stesso aveva incaricato.

Piero Mascitti, lei ci ha chiesto di poter parlare del catalogo ragionato di Mimmo Rotella: vuole muovere qualche contestazione scientifica?
Assolutamente no: è un bellissimo volume e non ho nulla da contestare. Si basa sull’archivio delle opere che avevo realizzato io con Chiara Spangaro. Fui io stesso a suggerire Germano Celant a Rotella per la stesura del catalogo ragionato: il mio rapporto con Rotella è sempre stato molto stretto, bello. Quando si pose il problema di fare il catalogo generale, la prima persona designata fu Pierre Restany, con cui avevo un rapporto felice. Ero stato nominato da Rotella direttore della Fondazione Mimmo Rotella (un’istituzione riconosciuta dallo Stato), durante la Biennale 2001. Purtroppo ben presto fu chiaro che Pierre, per ragioni di salute, non era più in grado di affrontarlo. Mimmo allora pensò a Tommaso Trini, che negli anni Settanta aveva pubblicato un bel libro con le edizioni Prearo. Ma io, e qui mi scuso con Trini, pensavo che il critico che poteva dare una visibilità internazionale all’opera di Mimmo fosse Germano Celant e feci io stesso il contratto con lui, attirandomi le ire di Restany, che per mesi non mi rispose nemmeno al telefono. Bisogna ricordare che lui nella sua autobiografia, aveva definito Celant, «un gangster».

Una definizione pesante…
Certo, ma è pubblicata. Restany sosteneva che con l’Arte povera Celant avesse invaso tutti i musei, cancellando gli anni Sessanta. Incontrai Celant a Villa Croce, a Genova, dove Rotella aveva in corso una mostra, e Celant accettò di fare il catalogo ragionato. Il nostro rapporto all’inizio era cordiale. Mi chiese 40 dipinti di Rotella e 8.500 euro al mese per cinque anni, che io portai, mese dopo mese, nello studio milanese dell’avvocato Corbetta (ora scomparso), in via Freguglia. Era un grosso impegno economico e Rotella non voleva firmare il contratto. Fui io a convincerlo. Il contratto prevedeva che si arrivasse al catalogo ragionato; invece, poco prima che Rotella morisse, Celant pubblicò con Skira la monografia Mimmo Rotella. 1946-2005. Mimmo era gravemente malato, aveva un tumore, e si affidava completamente a me. Dopo la sua morte, però, tutto cambiò: nel testamento, dettato al notaio Gasparrini di Milano, Rotella lasciò come unica erede la figlia e nella sua disponibilità il 30 per cento delle opere. Nel 2012, sei anni dopo la morte, con Inna e Aghnessa Rotella, Celant creò il Mimmo Rotella Institute, un’entità priva di ogni status, diretta dalla sua storica assistente e braccio destro, Antonella Soldaini, che ha sede dove un tempo si trovava la Fondazione Mimmo Rotella, a Milano, in via F.lli Sangallo 8.

Rimaneva però la Fondazione Mimmo Rotella, riconosciuta dallo Stato, a tutelarne la figura.
La Fondazione, che è presieduta da Rocco Guglielmo (notaio in Catanzaro, presidente della Fondazione Rocco Guglielmo e direttore della programmazione artistica del Marca-Museo delle Arti Catanzaro, Ndr), firmò un contratto con il Mimmo Rotella Institute, cui affidò tutti i poteri. A quel punto la moglie e la figlia (figlia che Rotella adorava, e moglie cui riconosco di spendersi con ogni energia per la memoria del maestro) hanno ogni potere. Ereditano il diritto d’immagine, che l’artista aveva dato alla Fondazione prima di morire, nonché il diritto di pubblicare il catalogo ragionato. L’archivio, che è patrimonio della Fondazione, era custodito nella sua sede, ma nottetempo, senza alcuna delibera del Cda della Fondazione e senza nemmeno redigere un inventario (due omissioni gravissime), un uomo che chiamerò «l’uomo nero» perché non lo voglio citare, ma che gode della fiducia di Inna e Aghnessa Rotella ed è ringraziato nel catalogo ragionato trasferì l’archivio dalla Fondazione al Mimmo Rotella Institute.  Così sono stato estromesso. Allo stesso modo, sono stato estromesso dalla mostra «Mimmo Rotella e il cinema», che avevo ideato per la Pinacoteca Civica di Locarno, diretta da Rudy Chiappini, scegliendo personalmente le opere e, su pressione di Celant, sono stato sostituito da Antonella Soldaini.

Dunque lei non muove contestazioni al catalogo generale, ma deplora il trattamento che le è stato riservato dal Mimmo Rotella Institute.
Rotella è stato per me il padre che non ho avuto ed è stato il mio maestro. Con lui ho viaggiato, sono andato per musei, ho imparato tanto, lui mi spiegava l’arte antica e contemporanea. Non contesto il catalogo, ma che sia stata disattesa la mia nomina a suo esecutore testamentario artistico e a direttore e consigliere a vita della Fondazione. Sono stato ancora nel comitato autentiche del catalogo ragionato proprio perché sono la sua memoria storica. Ma vorrei rassicurare Celant che non andrò «ai giardinetti», come mi ha gentilmente suggerito. Ho curato e ho in programma parecchie mostre, numerosi audiovisivi per Sky Arte e in Russia farò un documentario con Mimmo Calopresti su Francesco Misiano, un calabrese di Ardore, che partecipò alla fondazione del Pci e fu eletto deputato ma dovette fuggire dalle aggressioni dei fascisti in Russia dove, di fatto, fondò il cinema russo con la casa di produzione cinematografica Mezrabpom. È il nonno del critico e storico dell’arte russo Viktor Misiano, un altro grande calabrese come Rotella, come Leonida Repaci, come Corrado Alvaro. Ho voluto questa intervista perché Celant nel catalogo ragionato non rispetta e non cita come dovrebbe la Fondazione Mimmo Rotella, anzi ha cercato di cancellarla. Io dico che se a Restany hanno dedicato una sala del Pompidou, a Celant  dedicheranno il caveau di una banca.

Ada Masoero, 06 dicembre 2016 | © Riproduzione riservata

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