David Ekserdjian
Leggi i suoi articoliDavanti a un’opera d’arte è naturale chiedersi non solo chi l’ha realizzata, ma anche dove ha vissuto e lavorato colui che l’ha creata. Già secoli fa questo desiderio ha portato alla conservazione delle case degli artisti e alla loro trasformazione in musei. Oggi si ha l’impressione che questa curiosità sia sempre più forte come dimostrano due case di artisti aperte in Inghilterra negli ultimi mesi dopo ambiziosi progetti di ampliamento: Leighton House a Londra nei pressi di Holland Park e Gainsborough’s House a Sudbury nel Suffolk.
In aggiunta a ciò, James Hall ha scritto un importante libro più o meno sullo stesso tema: The Artist’s Studio: A Cultural History (Thames & Hudson) pubblicato in Italia da Einaudi (Lo studio d’artista. Una storia culturale, trad. di Pietro Del Vecchio e Chiara Veltri, 288 pp., 114 ill. col., Torino 2022, € 36). L’apertura delle case d’artista non è un fenomeno esclusivamente britannico.
A Mantova, ad esempio, si possono visitare le imponenti case di Andrea Mantegna e di Giulio Romano che dimostrano quanto già nel Rinascimento gli artisti potessero vantarsi di essere personaggi di spicco nel loro ambiente. Benché siano edifici ottimamente mantenuti, non ospitano raccolte delle loro opere. Bisogna recarsi nel Museo Gypsotheca Antonio Canova a Possagno (Tv) per poter studiare dipinti, disegni e incisioni dell’artista nella sua casa natale, in accordo con i modelli originali in gesso per i suoi marmi nell’ampliamento di Carlo Scarpa realizzato nel 1957-59.
Al momento non esiste un’antologia delle case d’artista, ma mi auguro che un bel giorno qualcuno la scriverà. Tra i miei favoriti ci sono il Musée national Eugène Delacroix a Parigi, non tanto per i suoi interni, né per le opere e memorabilia che custodisce, ma perché si trova in rue de Furstemberg sulla Rive gauche, una delle zone più piacevoli della città, e il grandioso Rubenshuis ad Anversa, in parte chiuso da inizio anno per lavori di ampliamento. Nella sua magnificenza Leighton House è sempre stata degna rivale del Rubenshuis, ma mentre Rubens era un semplice cavaliere, il proprietario di Leighton House, già Sir Frederic, divenne Lord Leighton barone di Stretton proprio il giorno prima della sua morte (1830-96), unico artista britannico ad aver ricevuto questa onorificenza.
Grazie al contributo di circa 8 milioni di sterline, il progetto «From Hidden Gem to National Treasure» ha permesso di ampliare Leighton House, visitabile dall’ottobre scorso. Le più significative novità sono l’ala ripristinata con caffetteria che affaccia sul giardino, spazi per esposizioni, un magazzino e un «Learning Centre», miglioramenti che non cambieranno il suo fascino originario che deriva dal gigantesco studio, adatto per il presidente della Royal Academy, e ancora di più dall’Arab Hall con la sua fontana centrale, uno degli spazi più magici di Londra che si ispira alla Sala della Fontana del Palazzo della Zisa a Palermo. Per l’Arab Hall, progettata dal ceramista William De Morgan (1839-1917) e corredata da fregi dipinti da Walter Crane (1845-1915), Leighton aveva assemblato un’enorme collezione di ceramiche islamiche.
Mentre Leighton House fu interamente creata dall’artista, Gainsborough’s House, riaperta un mese dopo, è semplicemente la casa dove il pittore Thomas Gainsborough (1727-88) è nato e cresciuto. Verso il 1740 si trasferisce a Londra tornando a Sudbury per soli quattro anni, prima di spostarsi, prima a Ipswich, poi a Bath e finalmente ancora una volta a Londra, dove muore nel 1788. Comunque sia, non ha mai dimenticato il piatto paesaggio del Suffolk, che ospita per esempio Mr. and Mrs. Andrews nel loro indimenticabile doppio ritratto alla National Gallery. Le collezioni di Gainsborough’s House stessa sono relativamente modeste, ma numerosi prestiti di notevoli dipinti di sua mano dalla Tate, dalla National Portrait Gallery e da varie altre collezioni pubbliche e private, per lo più radunati nella Gainsborough Gallery, garantiscono un’ottima testimonianza del suo genio.
Inoltre, un paio di stanze sono dedicate a due altri artisti locali, il grande John Constable (1776-1837) e Cedric Morris (1889-1982), il primo vero maestro di Lucian Freud. In inglese, la parola «studio» dichiara di essere un prestito dalla lingua italiana per sottolineare il fatto che per noi l’artista, anche se lavora con le sue mani, non è un mero operaio. Questo concetto tipicamente rinascimentale coincide più o meno con la pubblicazione delle Vite di Giorgio Vasari (1511-74): le due edizioni datano al 1550 e al 1568, ma nel suo The Artist’s Studio James Hall inizia molto prima con ceramiche dipinte greche del VI secolo a.C. per finire con esempi contemporanei.
Inoltre, il frontespizio del volume presenta un’immagine dello studio caotico a South Kensington di Francis Bacon (1909-92), che si ritrova dal 2001 nella Dublin City Gallery. Dato il suo noto senso dell’umorismo, il pittore avrebbe adorato l’idea che oltre 7mila oggetti fossero identificati, catalogati e poi ricomposti a Dublino, sua città natale.
Molte delle opere che Hall analizza e illustra sono famosissime, ma il suo punto di vista è sempre originale e in compagnia con le «Meninas» di Diego Velázquez (1599-1660) e l’«Atelier» di Gustave Courbet (1819-77) ci sono bellissime sorprese tra cui due che risalgono al ’600. Uno è l’«Autoritratto con specchio e cavalletto» (1646) di Johannes Gumpp, artista austriaco nato a Innsbruck nel 1626 di cui non si conosce l’anno di morte, che si ritrova nella collezione degli autoritratti nel Corridoio Vasariano agli Uffizi, capolavoro e quasi unica sua produzione nota. L’altro, anch’esso un autoritratto, databile verso il 1670, è opera di Sir Godfrey Kneller (1646-1723) e lo rappresenta circondato da un busto di Seneca, un teschio, un globo terrestre, un libro di stampe e una figura scorticata che sembra riprodurre un modello perduto dello scultore fiammingo Willem van Tetrode (ca 1525-80).
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