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«Suonatrice di chitarra» (1672), di Johannes Vermeer (particolare) conservato a Kenwood House

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«Suonatrice di chitarra» (1672), di Johannes Vermeer (particolare) conservato a Kenwood House

Guida alla visita: Kenwood House e Dulwich Picture Gallery nei dintorni di Londra

Anche i musei nei sobborghi della capitale inglese meritano un occhio di riguardo: ci accompagna lo storico dell’arte David Ekserdjian

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David Ekserdjian

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Il centro di Londra è pieno di musei di eccelsa qualità e quindi non deve sorprenderci il fatto che i visitatori non sono mai troppo interessati a esplorare i dintorni della città. Però, ci sono almeno due destinazioni che vantano collezioni che valgono il viaggio, come si diceva nelle vecchie guide Michelin.

Una è Kenwood House, bellissima villa a nord di Londra, nel parco di Hampstead Heath. La casa risale alla fine del Seicento, anche se il grande architetto Robert Adam (1728-92) è il responsabile della sua forma attuale (1764-80), avendo aggiunto soprattutto la grandiosa facciata e la sublime biblioteca. Gestita da English Heritage, grazie alla generosità del primo Conte (Earl) di Iveagh, dagli anni ’20 l’entrata a Kenwood è sempre stata gratuita. Ospita centinaia di opere d’arte in varie raccolte, non tutte esposte, ma i 63 dipinti della Iveagh Collection ne formano il gruppo più illustre, divisi tra Antichi Maestri e quadri della scuola britannica, in particolare di pittori della seconda metà del Settecento come Joshua Reynolds (1723-92) e Thomas Gainsborough (1727-88).

La collezione vanta due stupendi capolavori: la «Suonatrice di chitarra» di Vermeer e l’«Autoritratto con due cerchi» di Rembrandt. Com’è ben noto, Vermeer ci ha lasciato 35 dipinti, di cui le isole britanniche hanno l’immensa fortuna di possederne cinque: due alla National Gallery a Londra, altri due nelle gallerie nazionali di Edimburgo e Dublino, e uno nella Collezione Reale. La «Suonatrice di chitarra» è un’opera tarda, che sembra rappresentare una nuova direzione nella sua arte, ma devo confessare che a parte le sue bellezze evidenti, è sempre il dipinto alle spalle della protagonista ad affascinarmi. Questo piccolo paesaggio riproduce un vero quadro e non un’invenzione di Vermeer: anni fa sognavo di scoprirlo, ma nel frattempo Gregor Weber ha identificato l’originale di Pieter Jansz van Asch (1603-78), che veniva leggermente modificato da Vermeer (o c’era una variante). Nel caso dell’«Autoritratto con due cerchi» di Rembrandt, che risale agli ultimi anni della sua vita, a colpirci è invece il contatto personale con il vecchio pittore schiacciato dalla vita.

Se arrivare a Kenwood con i mezzi pubblici è un po’ una noia, il viaggio per raggiungere la Dulwich Picture Gallery nei sobborghi a sud della città è invece facilissimo: un quarto d’ora sul treno da Victoria Station e una breve passeggiata ci portano all’edificio creato dal grande architetto John Soane (1753-1837). Aperta nel 1817 e quindi alcuni anni prima dalla National Gallery, la Dulwich fu la prima galleria d’arte pubblica del Regno Unito. Fino al 1994 faceva parte del College of God’s Gift, una fondazione accademica responsabile per tre scuole private a poca distanza dalla galleria, anche se ora è gestita da un «Charitable Trust» (fondo di beneficenza) indipendente.
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La collezione di dipinti a Dulwich è ancora più estesa della sua equivalente a Kenwood, ma i suoi punti forti sono più o meno gli stessi: gli Antichi Maestri del Sei e Settecento e i ritratti inglesi sempre del Settecento come le adorabili «Sorelle Linley» di Gainsborough o la potentissima «Mrs. Siddons in guisa di musa tragica» di Reynolds. Anche qui troviamo Rembrandt: un giovanile «Ritratto di Jacob III de Gheyn», firmato e datato 1632; l’irresistibile «Ragazza alla finestra», firmato e datato 1645; e il commovente «Ritratto di un giovane». Verso la fine del Novecento, durante la curiosa mania per un minimalismo attributivo nei confronti di Rembrandt, quest’ultimo non veniva accettato come autografo dalla grande maggioranza degli esperti, venendo rifiutato anche nel catalogo completo della collezione pubblicato nel 1998; adesso è accolto, a mio avviso, a ragione, come una delle ultime tele che ha eseguito.

Di norma a Dulwich è il Barocco che domina e che non si limita né a un solo Paese e nemmeno esclusivamente al Nord o al Sud dell’Europa. Di conseguenza, per quanto riguarda il Nord la scuola olandese non si confina per niente a Rembrandt, mentre i fiamminghi possono vantare pezzi imponenti di Rubens, ai quali tornerò fra poco, e del suo allievo geniale Van Dyck. La rappresentazione del Sud è almeno dello stesso livello: per la Francia un bel misto di non meno di cinque dipinti di Poussin, divisi tra mitologie e quadri religiosi, in compagnia di due quadri di Guido Reni e di altri due del Guercino per l’Italia, ma anche di quattro straordinarie opere di Murillo per la Spagna. Ma anche il secolo successivo non è assente, con dipinti di Giambattista Tiepolo e Watteau, e due Canaletto, uno italiano del «Bucintoro al molo nel giorno dell’Ascensione» e uno inglese della «Veduta del vecchio ponte di Walton».

L’importanza della sua collezione permanente, in combinazione con il sostegno di vari enti, significa che la Dulwich ha anche la capacità di organizzare mostre di elevato livello internazionale. Molto ragionevolmente la mostra più recente, «Rubens and Women» (chiusa il 28 gennaio), si basava sulla presenza di non meno di nove suoi dipinti, dai piccoli bozzetti al monumentale (è alto quasi due metri) «Venere, Marte e Amore», a Dulwich. Però, per arrivare al totale di 43 opere, tra dipinti, disegni e sculture (notevole un’antica Venere accovacciata databile al II secolo d.C. dalla Collezione Reale), sono giunti in aiuto numerosi prestiti di spicco, molti dei quali dai più illustri musei del mondo: gli Uffizi, il Prado, il Kunsthistorisches Museum di Vienna e le Staatliche Kunstsammlungen di Dresda, anche se la presenza di opere come il grandioso «Ritratto della marchesa Maria Serra Pallavicino» da Kingston Lacy, una casa di campagna nel Dorset, o l’adorabile piccolo notturno della «Fuga in Egitto» dalla galleria di Kassel dimostrava che la scelta era dettata dalla pertinenza del pezzo all’argomento della mostra e non semplicemente dalla provenienza.

David Ekserdjian, 26 febbraio 2024 | © Riproduzione riservata

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